Attraverso il Tau viene espressa una forza che potrà venir suscitata solo dalla potenza dell’amore disinteressato; potrà essere utilizzata per azionare macchine che rimarranno però ferme se usate da persone egoiste. Forse a qualcuno è noto che Keely costruí un motore funzionante solo in sua presenza. Egli non imbrogliava assolutamente il pubblico; in lui stesso infatti stava la forza motrice, scaturita dall’anima, che può mettere in movimento ciò che è meccanico. Una forza motrice che può essere solo morale, questa è l’idea del futuro: la forza piú importante, che va immessa nella civiltà perché questa non vada verso la propria distruzione. La sfera meccanica e quella morale si compenetreranno, perché in avvenire la prima non sarà nulla senza la seconda. Noi oggi stiamo sfiorando questo confine. In futuro le macchine non saranno azionate solo dall’acqua e dal vapore, ma da una forza spirituale, da una moralità spirituale. Questa forza viene simboleggiata dal segno del Tau, e in modo poetico vi accenna anche l’immagine del Santo Graal.
Da: Rudolf Steiner, Natura e scopi della massoneria (O.O. N° 93).
«Un pianoforte invece è proprio come il “filisteo”: non ha in sé l’uomo superiore. Il pianoforte è lo strumento dei “filistei”: è un bene che esista altrimenti i “filistei” non avrebbero musica alcuna, ma è sorto già da un’esperienza materialistica della musica. Perciò è lo strumento che si può usare nel modo piú comodo per risvegliare l’elemento musicale nel campo della materia. Ma è proprio pura materia che viene usata per il pianoforte, tanto che proprio il pianoforte è potuto diventare oggi l’espressione della musica. Cosí si deve dire che il pianoforte è naturalmente uno strumento assai benefico (altrimenti avremmo dovuto prendere fin da principio in aiuto lo Spirito, per l’insegnamento musicale nella nostra epoca materialistica), ma è lo strumento che, nel vero senso musicale, deve essere superato. L’uomo deve liberarsi dall’impronta pianistica se vuole sperimentare il vero e proprio elemento musicale. Qui bisogna dire che è sempre una grande esperienza quando le composizioni di un musicista come Bruckner, che realmente vive per intero nell’elemento musicale, vengono poi suonate sul pianoforte. Il pianoforte scompare nella camera, in Bruckner, il pianoforte scompare! Si crede di udire altri strumenti, si dimentica il pianoforte».
Da: Rudolf Steiner, L’essenza della musica (O.O. N° 92).
VII – Storia del pianoforte. Il musicologo Piero Rattalino, nel suo Storia del Pianoforte, dedica un ampio spazio alla nascita del pianoforte: «La Bibbia può trasmetterci il nome di chi introdusse l’uso degli strumenti musicali: Jubal, “padre di quanti maneggiano la cetra e il flauto”. Anche l’organo, prototipo di tutti gli strumenti a tastiera, ha un padre conclamato: Ctsibio di Alessandria, vissuto nel secolo III a.C. Quando scendiamo nei secoli bui, le paternità s’offuscano: il clavicembalo, già in uso nel secolo XIV e fiorentissimo fino alla metà del Settecento, e il clavicordo noto nel secolo XV e usato fin quasi alle soglie dell’Ottocento, sono figli di nessuno. Il pianoforte, strumento moderno, strumento illuministico, no. Il pianoforte ha un padre incontestato, oltre che vari illegittimi pretendenti alla paternità. Il padre si chiama Bartolomeo Cristofori, nato a Padova il 4 maggio 1655, cembalaro al servizio del principe Ferdinando de’ Medici, in Firenze, dal 1688 o 1689. …Padre o fattore? In realtà, parrebbe che il pianoforte non venisse concepito dal Cristofori, ma che da lui, povero artigiano a cui toccava di farsi in quattro per accontentare i suoi padroni, venisse ideato quando un gruppo di nobili fiorentini scoprí le magagne del clavicembalo. …Mario Fabbri ha ritrovato, dopo piú di due secoli e mezzo, i documenti che fissano a “du’ anni prima del Giubileo” [del Giubileo del 1700, e quindi al 1698] gli inizi degli esperimenti condotti “per volere del Ser.mo Gran Principe Ferdinando” e al 1700 la primissima descrizione di un “Arpicembalo di Bartolomei Cristofori, di nuova inventione, che fa il piano e il forte”, e ha ricostruito le discussioni alla corte medicea, durante le quali – testimonianza del compositore e poeta Giovanni Maria Casini – si argomentava “il come si possa render su gli strumenti il parlar del cuore, ora con delicato tocco d’angelo, ora con violenta irruzione di passioni”, osservando nel contempo che “il Cembalo non completa tutto l’esprimere di sentimento umano”. Era sensata, questa critica? Forse sí, per un cortigiano circolo di intellettuali; ma non teneva conto di un fatto: che il clavicembalo è strumento a tastiera e che la tastiera (o manuale) è una macchina. Aveva ragione il Casini, il cembalo non poteva piú esprimere tutta la gamma di sentimenti umana, giacché il sentimento umano andava espandendosi oltre l’uomo superiore, ossia – per cosí dire – al di sotto di esso.
Qualcosa di estremamente significativo accadde nella Francia del Settecento: nacque il consumo d’arte. Proprio in quel tempo si costituí una nuova immagine del fruitore d’arte, il quale – armato esclusivamente di spontanee e istintive capacità di apprezzamento e di giudizio – teorizzava che “chiunque ha il diritto di dare il proprio giudizio”. Giudizio non passante per la sfera del pensare ma per quella del sentire. L’incontro con l’oggetto artistico doveva essere mutuato solo dal sentimento; questo sentimento fu la causa dell’estrema volubilità che, nel Settecento, si denunciava quale tipica caratteristica del pubblico d’arte francese. Con queste parole si esprimeva, Étienne La Font de Saint–Yenne, un critico d’arte dell’epoca: “Forse che si ragiona per sapere se il ragú è buono o cattivo? …Si gusta e si capisce se è buono. Ebbene è lo stesso, in qualche modo, per i quadri: piacciono perché ci “toccano”».
Antecedenti a tale decadere nel sentimento – nel cosiddetto sensismo – sono da ritrovare nella cultura secentesca, in una cultura del bello che già andava estraniandosi dall’elemento trascendente, ispirativo. Questo processo di decadimento entro l’elemento di un pensiero puramente fisico, indurente, non dovrebbe indurci a considerare tale processo alla stregua dell’attuale “pensiero morto”. Tale processo del pensiero avrebbe dovuto portare equilibrio entro una sfera del sentire in procinto di un’autonomia che invece non si realizzò.
L’individuo che non abbia reso autonoma la propria regione del sentire, credendo di ascoltare il contenuto del mondo ascolta esclusivamente se stesso, ossia il risuonare della propria relazione con il mondo; non già il mondo: la relazione. Conclusa nel proprio silenzio, l’esperienza del sentire si estroflette al mondo. L’individuo, allora, nel pieno silenzio di sé sentirà risuonare il contenuto del mondo.
Il sentire dell’uomo secentesco avrebbe dovuto concludersi entro l’interiorità dell’uomo alfine di sperimentare un sorgere di una luce nell’elemento del sentire.
Questo non avvenne e s’ingenerò un’ombra del destarsi del sentire che operò, invece, prevaricando l’autonomia del pensare. Il sentimento dunque, invece di elevarsi oltre se stesso, s’inabissò entro di sé: a ragione, quindi, non bastarono piú i suoni del cembalo per esprimere tutta la gamma delle passioni umane.
Il pianoforte fu realmente inventato per esprimere l’irrompere delle passioni, per rendere quel parlare del cuore che evidentemente non si era piú in grado di ascoltare.
La nascita del pianoforte è figlia di questo novello consumo d’arte, e con grande rapidità si espanse in tutta Europa. Le prime composizioni a stampa dedicate al pianoforte apparvero già nel 1732. Il compositore pistoiese Ludovico Giustini pubblicò a Firenze, dodici Sonate da Cimbalo di piano e forte, detto volgarmente di martelletti. Tali sonate vennero poi ristampate ad Amsterdam nel 1736.
I primi pianoforti, costruiti, in Italia ed in Europa da altri artigiani od organari, videro la luce a brevissima distanza di tempo dal primo prototipo progettato dal Cristofori.
Interessante l’evoluzione della commercializzazione dello strumento, che ben presto si diffuse in tutta Europa: il pianoforte verrà costruito in serie e già a partire dal 1772 si passerà dalla costruzione in bottega a quella in fabbrica. Una delle prime fabbriche di pianoforti fu quella del londinese John Broadwood che già alla fine del Settecento superava i cento dipendenti, producendo oltre quattrocento pianoforti l’anno, distribuiti in Europa, America e India. Non v’è da stupirsi, siamo alle soglie della Rivoluzione industriale. Il pianoforte, in un certo senso, può considerarsi una macchina prodigiosa, inventata e perfezionata, in toto, dall’ingegno umano.
IX –La meccanica del pianoforte quale espressione prodromica di una tecnica morale. Domandarsi perché, compositori eccelsi quali Mozart, Beethoven, Schubert, Chopin, Brahms, Debussy, Ravel… abbiano scelto il pianoforte quale strumento principe della propria indagine e produzione, sarebbe a questo punto rilevante.
L’orecchio è organo di percezione spirituale, e quanto fine può essere la percezione uditiva di un compositore? Perché dunque provare simpatia per uno strumento tanto separato dall’uomo superiore?
Perché la straordinaria sensibilità di Debussy arrivò ad esprimere equoree caratteristiche musicali degli esseri elementari utilizzando quale mezzo d’espressione proprio il pianoforte? Uno strumento “per filistei” non implica necessariamente che il compositore sia esso stesso un filisteo.
Il pianoforte – dopo i primissimi prototipi del Cristofori – si sviluppò in pieno clima di Rivoluzione industriale, la sua nascita e il suo concepimento, però, non sono ascrivibili ad essa. Nel respiro storico che genera epoche, nel preludiare di una nuova stagione storica, è contenuta – in modalità germinale – tanto la volatilizzazione delle idee originarie (che sopravvivono alla stagione di cultura) quanto la cinigia del pensiero morto che, immessa nel presente, diventa inoculo delle forze ostacolatrici agenti dal futuro. I moti, gli ideali di una stagione di cultura si esprimono attraverso la stagione medesima, ma non consistono in essa.
Il tempo dell’Ostacolatore non è mai reale. Vi è un tempo futuro che è pura rappresentazione ed agisce a ritroso sul presente divenendo immagine tragica; tale tempo si attiva quando ad un vecchio pensiero morto è concesso di entrare nel presente raffinando la cenere della propria cenere. Il pensiero morto entra nel presente con una realtà che non gli è propria e che pure ha guadagnato: un commisto materiale scimmiottante la sovrasustanzialità del pensiero vivente. Non esiste uno strumento musicale dalla meccanica piú complessa del pianoforte. Non esiste strumento musicale che sia stato prodotto in fabbrica, prima del pianoforte.
Potremmo considerare la storia degli strumenti musicali come divisa in due categorie. Da un lato gli strumenti edenici – cioè tutti gli strumenti il cui funzionamento non risulta coperto da coperchio – e dall’altro i post-edenici, introducenti elemento meccanico e perciò “velati” da un coperchio (organo, clavicembalo, pianoforte…).
Vi sono due differenti modalità di relazione con gli strumenti musicali: una relazione diretta (in cui il musicista agisce direttamente sulla produzione del suono) ed una relazione mediata (il musicista si avvale dell’intercessione della meccanica dello strumento per produrre il suono). La meccanica degli strumenti musicali è solitamente nascosta da un coperchio, come velata. La nudità degli strumenti edenici risulta perduta ove sorga il manifestarsi di un – seppur primitivo – elemento meccanico. Eppure l’organo può essere considerato uno strumento appartenente alla famiglia degli aerofoni, imitante gli aerofoni. Il clavicembalo ed il clavicordo possono venir collegati rispettivamente alle categorie degli strumenti a pizzico e a sfregamento. Tali strumenti sono dotati di una meccanica “aerea” (vedasi a questo proposito il funzionamento del salterello).
Sia per l’organo che per il clavicembalo l’intervento sulla dinamica non è possibile se non attraverso l’utilizzo di escamotages (raddoppio dei manuali per il clavicembalo, maggiore o minore accesso d’aria nei mantici dell’organo…).
La meccanica del pianoforte, per quanto nata da un ricco insieme di elementi imitativi, costituisce nel suo complesso, un unicum originale; difatti il pianoforte non imita alcuna classe di strumenti avendoli – per cosí dire – metabolizzati al suo interno. La meccanica del pianoforte vive entro un profondo legame con l’elemento terrestre, con la forza di gravità. Tutta la meccanica dello strumento vive del respiro di questa forza. L’elemento aereo in cui pure viveva la meccanica del clavicembalo, con il pianoforte viene perduta. Con il pianoforte la meccanica diventa pienamente terrestre, fino a diventare in grado di esprimere il “tocco” dell’interprete. Dobbiamo comprendere a fondo cosa voglia dire “tocco”.
L’organo e il clavicembalo pagano dazio per la loro emancipazione tecnica. Gli esecutori, essendo slegati dalla possibilità di incidere sulla dinamica, dovevano inventarsi una grammatica dell’espressione, dell’agogica; questa si consolidò in una prassi interpretativa tramandata essenzialmente per via orale.
Il pianista può intervenire direttamente sulla dinamica dello strumento. Sarebbe forse piú corretto dire: il pianoforte può accogliere l’impulso neuro-muscolare del proprio interprete. Questa affermazione potrebbe essere considerata quale ovvietà se riferita ad uno strumento edenico, ma non è possibile licenziare brevemente questa straordinaria peculiarità del pianoforte. Ciò che caratterizza questa trasmissione non è piú un’azione diretta su uno strumento, ma un’azione mediata: la meccanica del pianoforte è innanzitutto in grado di rivelare il “tocco”: quella peculiare sonorità che diversifica il suono di un pianista dall’altro. La nota essenziale del pianoforte è questo trasformare un impulso neuro-muscolare – attraverso un elemento puramente meccanico – in suono individualizzato.
Il pensare del pianista si trasforma in un gesto, in un fine impulso neuro-muscolare. Tale impulso viene trasferito su un tasto e qui trasformato in energia meccanica.
Tutto quello che accade all’interno del pianoforte dopo che l’interprete abbia trasmesso l’impulso al tasto, dovrebbe essere guardato con la giusta devozione.
Lo scrittore Roberto Cotroneo, nel suo romanzo Presto con fuoco, individua un elemento caratteristico del pianoforte. Egli mette in relazione un piccolo perno posto all’interno del pianoforte e chiamato commutatore tra l’azione del tasto e quella della meccanica, con l’immagine del punto in cui l’anima si congiunge alla materia. In effetti qualcosa di molto simile a questo trait d’union si verifica ogni volta che si preme un tasto del pianoforte. Siamo in grado di riconoscere il tocco di quel tale pianista, di caratterizzarlo quale appartenente ad una determinata scuola pianistica…
Il “tocco” – voglio ripeterlo – risulta essere l’espressione dell’accoglimento di un impulso neuro-muscolare entro l’ambito di una forza meccanica, operante quale medium tra l’impulso neuro-scolare e la produzione del suono.
La meccanica del pianoforte, in parte ereditata dai precedenti strumenti a tastiera (aventi però meccanica aerea) ed in parte modificata con l’inserimento di martelliera imitante le bacchette in pelle con cui veniva suonato il cymbalom (strumento oggi confinato al rango di strumento folkloristico ungherese) perde l’elemento aereo per acquisire l’elemento percussivo (collegato all’elemento terra).
Questa caduta nella gravità fa acquisire allo strumento la qualità del “tocco”: l’interprete è ora posto nella condizione di lasciare le proprie orme entro l’elemento musicale-interpretativo.
Il pianoforte potrà pure essere superato quale strumento musicale; la sua imago meccanica, invece, rimarrà. Con il pianoforte, l’elemento musicale decade in un ambito umano troppo umano, però, attraverso il pianoforte, all’elemento sonoro è dato sviluppare una sorta di senso del tatto. L’elemento musicale individuale, si concentra, fino a potersi esprimere nel tocco.
Nel tocco, in realtà, qualcosa di profondo si realizza quale evidenza: il nostro sentire, il nostro pensare, vengono spinti entro le braccia, fino alle estremità delle dita. Il palmo delle mani rappresenta una sorta di sintesi sensoriale, musicale: possiamo trovare nel palmo delle mani l’espressione di un innalzamento del pensare, poiché attraverso di esse il pensare acquista orientamento, equilibrio, senso concreto della verità. Possiamo trovare nelle mani un innalzamento del sentire poiché in esse il sentire non riflette noi stessi. Attraverso il palmo delle mani si incontra il reale bisogno di comprensione dell’universo, finalmente non riflesso, non mediato. Nelle mani l’uomo diventa il cosmo dell’universo e l’universo si palesa all’uomo. Nel palmo delle mani l’uomo e l’universo sono due esseri perfettamente diversificati e, per cosí dire, posti nella condizione di potersi guardare negli occhi, in relazione pura, non mediata. L’universo dona all’uomo, attraverso le mani, la capacità di sperimentare la verità sul proprio corpo fisico. Non vi è attenzione, presenza di spirito che possa ritenersi conclusa, senza questa possibilità di ascolto.
X – Il pianoforte scompare. Prendendo come assunto la possibilità, data al suono, di spiritualizzare la materia, perché – per usare le parole di Steiner – quando sul pianoforte viene eseguita la musica di Bruckner il pianoforte scompare? Che il pianoforte scompaia grazie alla musica di Bruckner, o grazie a quella di Debussy, evidenzia la peculiarità del pianoforte di scomparire, di rendersi trasparente! Attraverso il pianoforte ci è dato assistere alla trasformazione della forza meccanica, mediante l’irradiare delle mani.
La meccanica del pianoforte è un prototipo germinale di quello che le macchine potranno divenire in un lontano futuro, quando si lavorerà attraverso la tecnica morale.
Il pianoforte è essenzialmente un “macchinone” in grado di appesantire al punto da divenire uno scafandro, ma in grado, allo stesso tempo, di ospitare in sé quelle forze di levità tali da renderlo trasparente al punto da esprimere le profondità del pensiero musicale e dell’animo umano.
Il pianoforte è quella macchina in grado di divenire “trasparente”, “cristallina” e di farsi portatrice del corpo musicale dell’essere umano.
Nicola Gelo (4. continua)