Sharin, è il mese di Nissan;
ieri hai compiuto
venti primavere,
e il Grande Eunuco
ti ha donato uno zari di seta.
Da cinque sei rinchiusa
nell’harem del Sultano,
sperando di varcare la Porta d’Oro,
quella porta che potrebbe
non aprirsi mai.
Hai vent’anni, Sharin,
venti fioriture di rose,
cinque inverni trascorsi
presso l’alto camino
di maiolica azzurra,
cinque calde stagioni
nel giardino remoto,
tra gli arabeschi d’ombra
e i gelsomini spioventi
sulle chiare fontane d’alabastro.
Cinque lune di Nissan
e la rosa sboccia,
cinque anni d’attesa
e la rosa muore.
Gli artisti di palazzo
tracciano abili, sui muri,
lodi all’Onnipotente;
ma chi segnerà
sui marmi porporini
la tua pena segreta, Sharin,
lo smeraldo puro del tuo dolore.
Ieri, un uomo di Venezia,
città di là dal mare,
ha portato candelabri
di vetro colorato
per la sala del trono.
Attraverso le grate
del gineceo, trepidante,
lo hai guardato,
con i tuoi occhi scuri d’ossidiana,
e per un attimo hai sognato
che il Sultano ti cedesse a lui
per la sua merce strana.
Ma l’uomo biondo è ripartito
senza domandare,
senza neppure sapere
delle tue venti stagioni sciupate
nel tepore opprimente del camino,
nell’ombra triste
del giardino remoto.
Con lui,
avresti volentieri lasciato
questo mondo sommesso
di sospiri, di pianti soffocati
nei lunghi corridoi,
e l’angoscia di vivere
altre primavere
senza essere amata.
E infine, un giorno,
anche il tuo destino
verrà segnato
dall’ignota mano
con la cieca sentenza
di un sigillo:
la stessa mano
che non t’ha sfiorata
reciderà lo stelo della rosa,
e non sarai piú colta.
Cosí, tu appassendo vivrai
in una qualunque
delle tante stanze,
di questo bieco Palazzo
che ha nome Paradiso.
Spesso, quando
il tramonto infiamma
l’acqua viola del Bosforo,
vorresti avere ali di cicogna
e migrare a ponente,
oltre i monti d’Epiro,
verso città e paesi
d’uomini biondi,
e donne senza velo.
Fulvio Di Lieto