Questi i titoli dei sedici racconti contenuti nel libro: Il modello, Salvare il rococò, Quark, Come fu che bruciò la biblioteca di Alessandria, Acqua alle corde, La mosca bianca, L’orso transilvano, L’armatura, Orza la barra, Icaro, Il gatto nel motore, La stufa, L’aquilone, Il merlo, La pigna, L’alluvione.
Alcuni li riconoscerete, se li avete letti sull’Archetipo nei numeri degli anni scorsi. Riunirli ha significato raccoglierne il messaggio, talvolta scherzoso, altre volte dolente, altre ancora rasserenante.
Dal racconto “L’aquilone”, ecco un breve stralcio rappresentativo:
L’aquilone aveva terminato il suo volo scomposto nella macchia di mirti e corbezzoli tra il bordo del canale e l’avvallamento di dune che dividevano la spiaggia dalla litoranea. Guido aveva seguito la traiettoria disarticolata fino al tonfo nella vegetazione. Sapeva quindi il punto dove cercare. Si mosse affondando nella sabbia. Decise di seguire l’alzaia del canale per camminare piú spedito. Un gabbiano volteggiò sul greto stridendo, un altro lo inseguí, risalirono con un’impennata sfiorandosi, poi una volta in quota si divisero con una improvvisa virata. Lui e Silvia, appaiati, caduti, divisi. Il cielo vuoto.
«È suo, questo?» l’uomo alto, dai capelli candidi, carichi del riverbero marino, uscí dalla nacchia reggendo quello che restava dell’aquilone.
Lo tese a Guido che rispose: «Grazie, sí, è di mio figlio… Il vento, lui non è molto abile» prese i rottami con impaccio. Il suo sguardo dovette lasciar trasparire tutta la pena e la delusione che provava. La giornata rischiava di finire nel modo peggiore. L’uomo sovrastava Guido di un bel po’ e lo stava adesso guardando con una luce cordiale negli occhi azzurri. Doveva essere un nordico, pensò Guido, il pilota di qualche compagnia aerea straniera in sosta a Fiumicino, tra un volo e l’altro.
«Lo dia a me – disse l’uomo – provo a rimetterlo a posto» e lo prese con delicatezza dalle mani di Guido. Armeggiò con le assicelle, la carta telata, rivoltò l’aquilone, lo compattò in pochi secondi, o forse erano minuti, ma Guido era talmente frastornato, ipnotizzato da quanto l’uomo faceva, che non riuscí a rendersi conto esattamente di quanto stesse accadendo.
«Ecco, penso che cosí dovrebbe poter volare di nuovo».
«Grazie – disse confuso Guido – mio figlio sarà felice» e prese l’aquilone.
«Lei però non riesce ad esserlo» seguitò l’uomo fissando Guido intensamente, ma con dolcezza.
«A essere cosa?» replicò meccanicamente.
«Felice – ripeté l’uomo sorridendo. – La sua aura è bella ma dolente, rotta da linee scure. Lei soffre, non è cosí?».
Quella frase suonò strana, quasi provocatoria, e Guido ne rimase piú che turbato, ferito. Ma non volle dare seguito alla conversazione. Annuí appena, poi disse: «Lei è stato molto gentile, la ringrazio di nuovo. Buona domenica!».
«Anche a lei – rispose l’uomo, calmo. Poi chiese: – Non mi ha detto come si chiama».
«Guido Salteri» e fece per andarsene.
«Piacere, io mi chiamo Angelo Chiari. Buona domenica a lei e soprattutto ai suoi due incantevoli figli. Hanno due aure bellissime, ma anche le loro sono disturbate da linee grigie. Soffrono, lo sa?».
Guido avrebbe voluto ribattere qualcosa, obiettare alle esternazioni di quella specie di occultista della domenica che gli stava dicendo di aure, di dolore. Avrebbe voluto sapere chi gli dava il diritto, ma poi Francesco era sbucato dalla duna e si era avvicinato per riprendersi l’aquilone.
«Oh che bello! – esclamò raggiante – non si è neppure rotto!»…
Fulvio Di Lieto, Vita morte sogni e miracoli, Racconti
Edizioni Amazon Pagine 200 € 12,00
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