Relativamente al corretto atteggiamento del terapeuta verso il paziente ed al giusto comportamento da tenere ai quali abbiamo accennato precedentemente, bisogna sorvegliare attentamente alcuni comportamenti comuni e correggerli: ci riferiamo soprattutto alla collericità, all’indifferenza, alla frettolosità, alla generica distrazione, alla durezza, alla tendenza coercizionale, alla scarsa considerazione per la sofferenza fisica altrui (essendo questa invariabilmente soggettiva e quindi non quantificabile), alla poco oculata permissività, alla titubanza, alla suscettibilità e perfino a certe forme di aggressione fisica, o meglio a cose che il paziente percepisce come tali: il tono della voce, la gestualità, il riso ecc.
Altro elemento che il medico deve curare in taluni casi è la ferma dolcezza (o la dolce fermezza) con la quale si disporrà ad illustrare le modalità terapeutiche congiunte all’Iscador e alle regole e alle condizioni richieste soprattutto in rapporto alla durata e alla conduzione della terapia. Queste nella maggioranza dei casi esigono che il trattamento debba essere protratto per mesi e anche per anni e anni, senza interruzioni: salve fatte per quelle decise dal medico. Questo, se deve esercitare la sua capacità di autorevolezza nei confronti del malato, lo può fare avendo come fine quello di trasmettere in esso la persuasione circa la durata diuturna delle cure e circa la ritmicità con le quali queste dovranno effettuarsi.
Sembrano facili per il medico adempimenti di questo tipo: ma non lo sono affatto quanto lo sono per il paziente. Ma sovente, anche se non sempre, alcune sregolatezze del malato conseguono alla scarsa fiducia da esso nutrita per le cure prescrittegli. E piú di una volta a tale sfiducia il medico stesso può aver dato il suo contributo non poco decisivo. Anche quando il sanitario si è convinto di non aver collaborato alla sfiducia di cui dà prova il suo paziente, vi è sempre un elemento inconscio in lui al quale è possibile addossare una dose di responsabilità, sia pure lieve. Sarebbe quindi preferibile, in senso assoluto, se anche di piccole responsabilità incoscienti non fosse dato di reperire la piú piccola traccia. Come si vede, non poche sono le forme di accortezza, di vigilanza e di attenzione alle quali il medico deve ispirare la sua azione di terapeuta che, come si verifica allorché è chiamato a prestarsi per un paziente neoplastico, non potrà né dovrà mai fare appello a criteri di giustificazione e di autodifesa discolpante.
Del resto abbiamo già accennato a qualcosa di simile allorché cominciammo a trattare il tema concernente i tumori. Siamo sinceramente convinti dell’esistenza di medici che, come seguaci della Scienza dello Spirito, non solo posseggono le qualità di cui finora abbiamo dissertato, ma le posseggano meglio di quanto noi possiamo avere dato indicazione; e siamo altresí persuasi che altri ve ne sono che possiedono qualità quasi insospettabili e superiori a quelle finora dette. Evidentemente esse sono state concepite non dalla nostra modestia ma, se mai, soltanto dalla nostra limitatezza.
[In un momento in cui la classe medica risulta essere cosí violentemente sotto attacco, in parte per colpa propria, ovvero a causa di alcuni esponenti di essa chiusi in una dimensione eccessivamente materialistica o protesi verso un protagonismo mediatico, che è l’esatta antitesi di quello che dovrebbe essere il giusto atteggiamento di chi esercita la scienza di Ippocrate, ma in parte, diciamolo, per l’assurda pretesa di alcune persone prive di adeguate conoscenze di volersi “sostituire” ai medici stessi, le parole di Amleto risultano essere estremamente importanti. La crisi della medicina è grave, perché se da una parte sono state raggiunte scoperte e conquiste sbalorditive (soprattutto in campo chirurgico, cosa questa già sottolineata da Rudolf Steiner che all’inizio degli anni ’20 dello scorso secolo affermava che la chirurgia era l’unica branca della medicina ad essere effettivamente progredita rispetto alla medicina antica), dall’altra si è perso di vista il paziente come individuo e dall’altra ancora appare che in taluni casi medici a vocazione olistica (anche nell’ambito della medicina ad orientamento antroposofico) tendano a compiacere un po’ troppo i pazienti, assecondandone alcune manie, attualmente piuttosto esasperate. Ma il problema piú grave, forse non ben analizzato e compreso, è che il numero totale dei medici è in drammatico calo (in alcune regioni del Nord Italia vi è una vera e propria emergenza), e ciò determinerà, tra non molti anni, una impossibilità di soddisfare i bisogni sanitari della popolazione, con le conseguenze che si possono immaginare! Al di là del calo delle nascite, appare evidente che la professione medica esercita uno scarsissimo fascino sui giovani, e ciò dovrebbe essere oggetto di una attenta riflessione].
Quindi per il medico vale tenere presenti taluni dettami etico-deontologici suggeriti dalla logica e dal buon senso del migliore equilibrio interiore:
1) Anche se per certi nostri pazienti noi siamo i medici migliori che l’universo medico abbia espresso, ciò non deve indurci a dimenticare che esistono molti medici migliori di noi stessi, siano o non siano seguaci della Scienza dello Spirito. Ciò che a qualcuno sembra inerente alle nostre qualità, in realtà è proprio il frutto di quanto abbiamo appreso dai nostri maestri di scienza medica. O di certi nostri dolori.
2) Non la Scienza dello Spirito ci fa migliori medici, ma ciò che vogliamo conoscere amando la verità contenuta nella Scienza Spirituale. Rudolf Steiner è il piú grande risanatore, nella misura in cui ne seguiamo veramente la via risanatric Non compete alcun privilegio a noi, né altro diritto preferenziale rispetto ad ogni medico, solo perché siamo seguaci dell’insegnamento del Dottore. Se mai a noi spetta maggiore numero di adempimenti e di sacrifici.
3) Sia solo l’amore il legame con il malato e questo ci autorizzi con la sua piena fiducia (in noi e nella nostra opera di medici) ad agire da parte nostra per il suo interesse esclusivo. Ciò ad ognicosto. La dignità nostra non sia considerata mai degradabile, se la nostra condotta avrà saputo anteporre il vero interesse per l’infermo ai nostri, fossero questi anche quelli ritenuti inamovibili da certa mentalità pervasa di mero ossequio deontologico. Ben altro degrada la nostra dignità: e si tratta di elementi pertinenti alla nostra persona.
4) Mai illudere il malato, né illudersi sul suo conto. Mai gioire egoisticamente dei nostri “pezzi di bravura” al suo cospetto. Saper gioire solo in “eco” al paziente, ma in forma del tutto impersonale.
5) Saper accettare “l’impossibile” che il paziente ci richiede. Non fuggire la difficoltà soprattutto se ne potranno conseguire effetti dai quali il nostro prestigio e la nostra fama di professionisti “di successo” possano essere compromessi in forma piú o meno vistosa.
6) Accettare l’insuccesso sempre come una vera lezione dalla quale è perciò posto il compito di ricominciare daccapo lo studio e l’esame di ogni problema del paziente. Mai cedere alla depressione, mai alla disperazione, mai alla passività abulica ed agnostica.
7) Dimenticare se stessi per ricordare meglio i propri malati. Questo capovolgimento della memoria e della coscienza animi l’amore da rinnovare quotidianamente. Non Io sono il risanatore, ma il Cristo che è in me. Non Io sono il medico valido; ma medico vero e capace di risanare è il Cristo in me. Quindi tutta la gioia e la gratitudine vadano al Cristo, al Solare Logos di Luce, Principio della Vita. E sia l’animo serio, e riconoscente, fedele, a Rudolf Senza R. Steiner nulla avremmo saputo della Essenza Eterna della conoscenza del Cristo. Personalmente, oltre a R. Steiner l’animo guarda a Giovanni Colazza e soprattutto a Massimo Scaligero. Senza Massimo non avremmo saputo alcuna cosa inerente a Rudolf Steiner. Né avremmo conosciuto ed amato quella figura meravigliosa che Giovanni Colazza incarnò come uomo e come medico.
[Personalmente, senza alcuna retorica ma con la più assoluta convinzione, l’animo riconoscente del curatore di questi Quaderni di Scienza dello Spirito e di Medicina va ad Amleto Scabellone e a sua sorella Mimma, essendo Colazza morto prima della mia nascita ed avendo perduto io il mio Maestro Massimo Scaligero quando ero giovanissimo. Senza Mimma ed Amleto non sarei mai riuscito a comprendere quel poco che sono riuscito a comprendere della grandezza delle luminose figure citate da Amleto! Senza di loro, inoltre, non sarei stato in grado di comprendere quella esperienza decisiva per il mio sviluppo spirituale che Massimo ha illustrato in alcuni suoi testi chiave e la cui comprensione è stata possibile soltanto grazie a ciò che Amleto e Mimma mi hanno insegnato e trasmesso].
Amleto Scabellone (19. continua)
La trascrizione dell’articolo e le note esplicative tra parentesi quadre sono a cura di Fabrizio Fiorini.