La svolta di vita

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La svolta di vita

Svolta di vita

 

All’inizio degli anni Sessanta, oltre a coltivare la mia passione per la pittura mi ero indirizzata anche alla musica. Andavo a lezione da una mia zia, professoressa di pianoforte, in via Iside, a Roma. Il mio rendimento era alquanto scarso, ma mi piaceva l’at­mosfera dei tanti giovani che vi si alternavano. Era un’epoca in cui la mia ricerca di un percorso interiore era continua, e sempre delusa. Dopo l’evento di Lourdes avevo cercato un incontro con alcuni sacerdoti, ma erano stati una vera frustrazione, non riuscivo a sopportare una risposta catechistica tanto dogmatica e restrittiva. Avevo bisogno di spiritualità, ma libera e costruttiva.

 

Jiddu Krishnamurti

Jiddu Krishnamurti

 

Come molti giovani di quel tempo mi ero allora rivolta al­l’Oriente. Roma pullulava in quel periodo di guru e pseudo maestri di ogni tipo e specialità. Tanti personaggi venivano in cerca di adepti, alcuni reclamizzati con manifesti affissi in ogni angolo della città, altri con interviste in Tv, altri ancora con un glamour da star, come Krishnamurti, che scendeva dall’hotel Flora lungo Via Veneto, vestito di una candida e ascetica tunica e con intorno rappresentanti del­l’élite romana e straniera dell’epoca, tra le quali la sua fedelissima Frances McCann, ognuna di loro pronta a firmare cospicui assegni per permettergli il lusso di cui amabilmente si circondava.

 

Avevo avuto diversi incontri con vari personaggi, tutti deludenti, e ogni volta c’era il balzello da pagare per un discorsetto che avrei potuto leggere su uno qualunque dei libri che in quel periodo acquistavo nella incessante ricerca.

 

Quella mia zia insegnante di pianoforte era anche una spiritista molto dotata. Chiamava a suonare – naturalmente attraverso di lei – personaggi del calibro di Beethoven, Bach o Mozart, e ogni volta il tocco in effetti cambiava, era poderoso, o solenne, o leggero e vivace.

 

Un vero spettacolo. Ma lo spiritismo non mi attraeva affatto, e a parte la sua divertente espressione teatrale, sentivo che non era tanto un percorso di formazione quanto piuttosto una perdita di identità. E non volevo perdere la mia.

 

Un giorno che nella sala di musica, dove erano altri giovani, esprimevo un giudizio molto severo su tutti i presunti orientatori dell’anima, che secondo me orientavano solo verso il proprio portafoglio, una ragazza tra gli altri, Mariella Dalla Chiara, che suonava in modo mirabile, puntò su di me i suoi occhi azzurri come il cielo e mi disse: «Il signor Massimo non è cosí. Lui è un vero Maestro!».

 

«Immagino, ne sono sicura» risposi, in tono canzonatorio. «Quanto costa il suo predicozzo?».

 

Mariella mi assicurò che non c’era nulla da pagare, ma bisognava attendere per un appuntamento. Riluttante sulle prime, mi decisi però a fare un altro tentativo, anche se ero sicura che sarebbe stato inutile come i precedenti. Ero arrivata alla convinzione che dipendesse da me il rifiuto di tutto ciò che mi veniva proposto e che tanti invece trovavano seducente.

 

Venne il giorno fissato per l’incontro, che si sarebbe svolto a casa del “signor Massimo”, a Via Innocenzo X, cosa che accadeva raramente. Molti in quel periodo lo incontravano ai tavoli del bar Gianicolo. Mentre salivo le scale, mi preparavo la corazza di scherno, critica e ripulsa che mi ero costruita per difesa a causa dei tanti abboccamenti fallimentari. Suonai e mi venne ad aprire una persona che emanava dolcezza e serenità. La mia corazza si sciolse come neve al sole.

 

Massimo Scaligero

Massimo Scaligero

 

Dopo avermi fatto accomodare in una stanza semplice e disadorna, senza richiami esotici e mirabolanti, Massimo iniziò a parlare. Fu un’esperienza travolgente. Tutto quello che diceva lo riconoscevo come se lo avessi già dentro di me e mi si chiarisse, illuminandosi di luce vera, possente, sicura, inoppugnabile. Parlò delle basi dell’antroposofia, della costituzione dell’uomo, del pensiero vivente, dell’Io, e io sentivo che tutto, insospettabilmente, era già dentro di me e lo stavo ritrovando. Ogni parola era Verità e potevo percepire con sicurezza che quella Verità, esposta in modo tanto chiaro e luminoso, dava finalmente un senso alla mia vita.

 

Un’ora fu come un’intera giornata. Avevo ascoltato dei contenuti di sapienza che avrei potuto da quel momento far vivere in me e che sarebbero divenuti la base della mia esistenza. La decisione fu presa in quel momento, una decisione dalla quale non sarei piú tornata indietro.

 

Poi Massimo si alzò, mi regalò il libro che era uscito qualche mese prima, il Trattato del pensiero vivente, e mi accompagnò alla porta. Percorrevo il corridoio in un silenzio irreale, senza il suono dei tacchi delle mie scarpe, in genere assai sonori. Lo salutai e iniziai a scendere le scale. Ancora quel senso di strana sospensione. Nessun suono dagli scalini. Guardai in basso e mi accorsi che ero a un palmo da terra. Non toccavo il suolo! Continuai cosí lungo la strada, fino alla macchina. L’esperienza era stata talmente forte che aveva causato una incredibile levitazione. Ero emozionata, ma anche preoccupata. Come avrei potuto guidare in quella condizione? Mi fermai, ripensando a tutto quello che avevo sentito ed era sbocciato come un fiore dentro di me. Dovevo coltivare quel fiore, lavorare alla trasformazione del mio essere, tanto imperfetto, cosí poco simile a quello che era il traguardo da raggiungere.

 

Lentamente scesi a livello di terra, entrai in macchina e guidai fino a casa. Il mio pensiero di riconoscenza si volgeva a Mariella, che era stata il tramite tra l’oscurità e la Luce.

 

Iniziai subito a leggere il Trattato, e grande fu la mia delusione. Non riuscivo a capire nulla di quello che leggevo. Ero sempre stata una lettrice accanita, avevo divorato la biblioteca della scuola, con tanti classici della letteratura italiana, francese, inglese e russa, tomi difficili da digerire, ma che avevo letto con facilità e passione. Acquistavo continuamente libri, in quel periodo soprattutto di esoterismo orientale, e adesso, un libretto come quello mi rimaneva ostico, incomprensibile. Decisi che ne avrei parlato con Massimo nel successivo incontro. Che fortunatamente mi fu fissato non molto tempo dopo. Avevo telefonato per dire che mi erano necessarie delle spiegazioni, e l’appuntamento era stato stabilito dopo solo quindici giorni.

 

Nel secondo incontro parlai soprattutto della mia difficoltà ad abbordare un libro all’apparenza semplice, ma di cui non riuscivo a seguire il nesso. Massimo sorrise e mi disse che avrei dovuto ricominciare con pazienza a leggerlo. Io ribattei che era inutile, dato che non lo capivo. Ma lui insisté che lo facessi come atto di volontà. Dovevo leggerlo anche senza capirlo, andando avanti con fiducia. La mia fede era altissima, quindi una volta tornata a casa ricominciai la lettura. All’inizio fu proprio come la prima volta, un seguito di frasi indecifrabili, ma andai avanti. Poco dopo la metà del libro qualcosa cominciò a divenire comprensibile, e man mano che procedevo si chiariva ancora di piú. Arrivai alla fine velocemente, con una facilità che avevo creduto impossibile. Cosí ricominciai dall’inizio, e la cosa straordinaria fu che tutto era divenuto chiaro, logico, perfetto nella struttura e persino nella musicalità della parola. Al termine mi sembrò di aver letto un piccolo prezioso poema.

 

Poi arrivarono gli altri libri, e gli altri incontri. La strada era stata intrapresa.

 

Marina Sagramora