Hugo Von Hofmannsthal sulla soglia del pensiero vivente

Letteratura

Hugo Von Hofmannsthal sulla soglia del pensiero vivente

Hugo von Hofmannsthal

Hugo von Hofmannsthal

 

Un segmento centrale della crisi storica e valoriale della cultura della Mitteleuropa austriaca, che si è profondamente confrontato, sulla scia della tradizione intellettuale e filosofica austriaca dell’Otto­cento, è rappresentato dalla percezione della incertezza linguistica, dalla riflessione della crisi dell’esperienza linguistica con gli studi di Hugo von Hofmannsthal, Robert Musil (1880-1942) e Ludwig Wittgenstein (1889-1951) [Cfr. Allan Janik – Stephen Toulmin, La Grande Vienna – Garzanti, Milano 1984].

 

Per Hofmannsthal la crisi del linguaggio poetico, suggellata dalla Lettera di Lord Chandos, del 1901, viene anticipata da un decennio di lirica intensa, raffinatissima, elegante, in cui la lingua viene modellata, distillata, resa duttile fino all’estenuazione e alla rarefazione del significato per un’apoteosi della liricità. In quei primi anni di attività poetica Hofmannsthal mostra una estrema vivacità con pubblicazioni con lo pseudonimo di Loris, perché era troppo giovane per usare pubblicamente il suo vero nome (in Austria ai liceali non era consentito pubblicare: altri tempi, altra saggezza). In quei primi anni compose anche ‘piccoli drammi’, che sono l’apice di questa sua maniera poetica, doviziosamente insistente su marmi, oro, sete e broccati, giardini in fiore e nubi leggiadre: intreccio formalmente mirabile tra la variazione austriaca dell’impressioni­smo e il raffinato Jugendstil viennese, come conferma emblematicamente l’incipit del dramma Il folle e la morte del 1893:

 

 

Il folle e la morte

Il folle e la morte

 

Claudio solo. E seduto alla finestra. Crepuscolo

gli ultimi monti avvolge lo splendore

umido smalto l’aria vespertina:

nuvole alabastrine verso l’alto

si levano, ombre grigie orlate d’oro.

Simili nubi i primitivi un tempo

dipingevano ai piedi della Vergine.

Ombre di nubi azzurre sui declivi,

ombre di monti nelle valli, e lento

si muta in grigio il lucido smeraldo

dei prati: sulle vette resta l’oro.

Ora una nostalgia mi torna intensa…

 

 

Tutto resta sfocato, levigato, immobile, senza azione, rimane il suono poetico. Questa eleganza lirica aveva sedotto i giovani colleghi dello Jung-Wien, contribuendo a creare quella maniera singolare ed unica che connotava quella intensa stagione poetica, sollecitando anche un altro notevole poeta tedesco, lo ieratico Stefan George (1868-1933) di chiedere insistentemente la collaborazione di Hofmannsthal alla sua rivista e collana di poesia, per altro senza soverchi risultati.

 

Lerttera di Lord Chandos

 

Tuttavia, a prescindere dall’indubitabile successo in sintonia con l’atmosfera estetica di quel tempo, in cui il naturalismo veniva lentamente sostituito da correnti antagoniste come il decadentismo e il simbolismo, Hofmannsthal cominciava lui medesimo a percepire una qual certa inconsistenza di questo fulgore formalistico che reclamava un approfondimento, un esame critico che venne compiuto nel 1902 con un saggio breve e decisivo per la comprensione della crisi del linguaggio lirico novecentesco, dal titolo, sobrio e puntuale; Ein Brief che ormai viene ricordato come Lettera di Lord Chandos [si cita dall’edizione del testo a cura di Roberta Ascarelli, Studio Tesi, Pordenone 1992].

 

In poche, magistrali, inconfutabili meditazioni, l’autore – che si avvale del rivestimento del Seicento inglese con una elegante epistola del giovane Lord del titolo a Francis Bacon, il filosofo dell’empirismo. Il giovane aristocratico, pur nella crisi del linguaggio, non può rinunciare all’eloquio elegante del nobile formalismo barocco, ripercorrendo le stazioni della presa di coscienza della vacuità della comunicazione lirica. Chandos parte dalla fase in cui era ancora solida la fede nella facoltà dell’espressione letteraria tesa a un ambizioso progetto: «Nel suo complesso quest’opera doveva recare il titolo di “Nosce te ipsum”. Per essere breve: in una sorta di costante ebbrezza tutto ciò che esiste mi appariva allora una grande unità: il mondo spirituale e quello fisico non mi sembravano formare alcun contrasto».

 

E il percorso intellettuale si avvicina al nucleo portante della ricerca: «Dovunque io mi trovavo al centro delle cose, mai mi si manifestava la parvenza di fenomeni: ovvero mi figuravo che fosse metafora ogni cosa e fosse ogni creatura una chiave per le altre e sentivo di essere ben io l’uomo capace di disporle una dopo l’altra in un solo anello».

 

L’impalcatura metaforica per la conoscenza delle cose collassa improvvisamente: la metafora si svela quale non essenza e il nome, la denominazione è la metafora universale che crolla irreversibilmente come non cosa, non essenza: «Il mio caso, in breve, è questo: è venuta completamente meno in me la facoltà di pensare o di parlare con coerenza di una qualsiasi cosa».

 

Questa crisi si rivela particolarmente acuta e insanabile proprio di fronte alle definizioni della vita spirituale e dell’attività intellettuale. Siamo nei pressi dell’abisso nichilistico e nel contempo del­l’illuminazione mistica dell’incoerenza della finitudine: «Provavo un incomprensibile disagio anche solo a pronunciare le parole “spirito”, “anima” o “corpo”.  …Le parole astratte, di cui pure la lingua deve valersi, secondo natura, per poter esprimere con chiarezza un qualsivoglia giudizio, mi si sfacevano nella bocca come funghi ammuffiti».

 

Dopo il dissolvimento del significato delle parole astratte l’insensatezza assale anche il campo semantico delle cosiddette denominazioni degli oggetti concreti, per esempio: annaffiatoio, erpice, cane, camposanto, storpio, piccola casa colonica. È la rivelazione della crisi semantica, dell’irrime­diabile scollamento tra nome e cosa. Lord Chandos si trova ormai nel dilemma tra mutismo nichilistico e intuizione che trascende il nesso tra significante e significato, non piú salvabile nella realtà empirica, nell’esperienza quotidiana. Si attraversa questa posta stretta della percezione dell’insi­gnificanza con il salto mortale mistico che trascende la crisi, ma anche ogni attività intellettuale e artistica come è stata esperita prima della crisi. Siamo alle soglie di una rivelazione mistica, in cui il pensare non è piú l’attività nota, perché sprofonda o – se si preferisce – si sublima nell’intuizione del pensiero che pensa il pensiero, che si libera dalle astrazioni e dalla passività quotidiana per un’espe­rienza veramente straordinaria, al di là della vita ordinaria, in cui Lord Chandos percepisce la paralisi della scrittura che è anche il superamento di ogni prassi letteraria e intellettuale, quella propria del pensiero dialettico, per aprirsi a una dimensione ignota verso una misteriosa metanoia dell’essere: «Ho avvertito, con una determinazione non completamente disgiunta da una sensazione di dolore, che anche negli anni avvenire, in quelli che seguiranno e in tutti gli anni di questa mia vita, non avrei piú scritto alcun libro né in inglese, né in latino  …poiché la lingua nella quale mi sarebbe forse dato non solo scrivere, ma anche di pensare non è né la latina, né l’inglese e neppure l’italiana o la spagnola, ma una lingua di cui neppure una parola mi è nota, una lingua nella quale mi parlano le cose mute e nella quale, un domani ormai nella tomba, sarò chiamato a scolparmi di fronte a un giudice sconosciuto».

 

Siamo in piena sfera mistica in cui l’autore giunge al limite del silenzio, alla metamorfosi spirituale del pensiero, alla discesa dal mentale al cuore come profetizzato dai grandi mistici e Iniziati, dalla gnosi al sufismo, dalla cabala all’esicasmo, dall’ermetismo persino all’antroposofia: «Mi sembra allora che il mio corpo si componga in un cifrario le cui cifre mi svelino ogni cosa. O che potremmo addivenire a un nuovo, presago rapporto con tutto ciò che esiste se solo incominciassimo a pensare con il cuore».

 

Quanta strada dai marmi e dalle sete di Loris alla percezione del trascendimento del pensiero dialettico verso il pensare col cuore!

 

In realtà La lettera rappresenta solo una stazione dell’itinerario intellettuale e letterario. Ma quelle considerazioni di Lord Chandos non erano solitarie; in quei medesimi anni nel romanzo giovanile di Robert Musil, Die Verwirrungen des Zöglings Törless, (I turbamenti dell’allievo Törless), pubblicato nel 1906, affioravano un sentimento e un’intuizione analoghi: «Törless sentí che era venuto il momento in cui avrebbe parlato in modo chiaro, comprensibile, trionfante delle cose che, prima vaghe e tormentose, poi senza vita né forza, aveva avuto dentro. Non è che un pensiero nuovo gli avesse recato quella sicurezza e quella lucidità. …Sí, ci sono pensieri vivi e pensieri morti. Il pensiero si muove sulla superficie piena di luce, che in ogni momento può essere accertato lungo il filo della causalità, non richiede necessariamente di essere quello vivo. …Un pensiero, anche se ha attraversato la nostra mente da molto tempo, diventerà vivo solo nel momento in cui qualcosa che non è piú pensiero e non è piú logico si accosta a esso, cosí che noi cogliamo la sua verità al di là di ogni giustificazione, come un’ancora che da esso penetri nella carne viva e insanguinata. …No, non sbagliavo quando parlavo di una seconda vita, segreta e inosservata delle cose! Io… io non l’intendo in senso letterale, non sono non l’intendo in senso letterale, non sono quelle cose che vivono …ma ero io ad avere una seconda vista mediante la quale vedevo tutto questo non con gli occhi della ragione. Cosí come sento che un pensiero acquista vita in me stesso, altrettanto sento che qualcosa vive in me alla vista delle cose, quando i pensieri tacciono. C’è qualcosa di oscuro in me fra tutti i pensieri che non posso misurare col metro razionale, una vita che non si esprime a parole e che però è la mia vita».

 

Questo è il centro del romanzo giovanile di Musil, cosí come il pensare col cuore è l’esito della peregrinazione nella superficie delle parole e del pensiero. Questa comune ricerca è la cifra di una civiltà estenuata alla ricerca di un senso da dare alla storia e all’attività dell’uomo e della comunità.

 

Elektra

 

Una ricerca che si slancia verso sentieri mistici, aspri da percorrere coerentemente, che sfioravano il fallimento, e infatti Hofmannsthal dopo Chandos si dette all’opera lirica, collaborando con Richard Strauss. Pochi giorni prima del suicidio, il 7 maggio 1940, Walter Benjamin scriveva ad Adorno: «Hofmannsthal ha rinunciato al compito che compare nella Lettera di Chandos. Il suo ‘mutismo’ era una sorta di punizione. La lingua di cui Hofmannsthal si è privato, potrebbe essere proprio quella che all’incirca nello stesso momento venne data a Kafka. Kafka si è assunto infatti il compito di cui Hofmannsthal si è mostrato moralmente e anche poeticamente incapace» [Cfr. Marino Freschi, Il silenzio del principe. Saggi di letteratura austriaca, Bibliopolis, Napoli 1983].

 

Lord Chandos aveva intuito la vera natura del pensiero, quello vivente al di là del sipario del pensiero pensato, di quello disfatto e passivo della quotidianità. Ci resta un grande testo che sfiora la tradizione sapienziale e non è poco. Kafka, che conobbe Rudolf Steiner a Praga, ebbe una coerenza straordinaria, quello che avrebbe potuto trasformarsi in una realizzazione spirituale. Ma non gli fu concesso: morí a 41 anni di tubercolosi.

 

 

Marino Freschi