L’atteggiamento della preghiera

Socialità

L’atteggiamento della preghiera

 

La generazione degli attuali sessantenni, settantenni e oltre, potrà ricordare quanto i comuni comportamenti della giornata fossero in passato costellati di atti di fede, di brevi preghiere e di proverbi intonati al mistico o al religioso, che condivano il quotidiano in ogni forma, aiutando e dando un senso anche ad avvenimenti difficili o dolorosi: “Dio manda il freddo secondo i panni”,  “Aiutati che il Ciel t’aiuta”, “Chi dona, il Ciel ti ridona”, “Ognuno pensa per sé e Dio per tutti”, “Gente allegra il Ciel l’aiuta”, “L’uomo propone e Dio dispone”… e potremmo continuare a lungo. Ce n’era per ogni occasione: queste brevi sentenze fornivano un appoggio, e spesso un significato, a quanto accadeva.

 

Preghiera bambino

 

Ai bambini si facevano giungere le mani fin dalla primissima età, e le ingenue preghiere della sera introducevano al sonno dando sicurezza e conforto, con la richiesta di perdono per le piccole intemperanze della giornata: «Oh Gesú d’amore acceso, non ti avessi mai offeso. Oh mio caro e buon Gesú, non ti voglio offender piú!», e seguiva la preparazione al sonno: «Gesú, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia. Gesú mi metto nelle tue mani, tienimi stretto fino a domani».

 

Ingenue parole, comprensibili ai piú piccoli, che automaticamente le ripetevano, senza soffermarsi sul loro significato. Ma dette a voce alta insieme alla madre, e a volte anche al padre, erano il giusto viatico prima della partenza verso il mondo dei sogni.

 

Dice Maître Philippe: «Si insegna a un bambino la sua preghiera; quando è diventato vecchio, si ricorderà ancora di quella preghiera che i suoi genitori gli hanno insegnato a due o tre anni, ed è forse la sola cosa della sua prima età di cui si ricorderà».

 

Si affidavano i bambini all’Angelo custode. Quando un incidente grave era stato evitato per miracolo, ci aveva pensato l’Angelo, o anche “Santa Pupa”, una tata celeste che vegliava sui pargoli piú vivaci.

 

Poi, con gli anni, le ingenue preghiere si dimenticano, confinate nell’aura dorata dell’infanzia, da cui ci si è allontanati per sentirsi liberi da condizionamenti mentali e tradizioni che si ritengono ormai consunte. Si vive nell’oggi, storditi dai miracoli da cui si è circondati: una rutilante tecnologia che affascina e ingabbia, se non si utilizza con la dovuta parsimonia e il necessario distacco.

 

Può accadere però nella vita, all’improvviso, qualcosa di serio, di grave, di imprevisto: un incidente, una malattia, un dolore sentimentale, una ‘pandemia’… Quel karma che abbiamo chiamato con le nostre azioni, pretende da noi e dalla società intera una trasformazione completa. Può giovare, come aiuto, una meditazione profonda, che è anch’essa preghiera, cosí come è preghiera un atto di generosità verso gli altri, o la riconciliazione con chi ci ha offeso o danneggiato, o il sopportare con pazienza una situazione al limite della tollerabilità.

 

Pregare è il modo diretto per stabilire un colloquio con il trascendente. Rivolgersi alle tre persone della Trinità: al Padre, al Christo, o alla Madre Divina, è creare una dimestichezza con lo Spirito. Tutto quanto ci circonda, quanto ci succede di lieto o di tragico, ha un senso apparente legato alla vita esteriore ed uno nascosto da comprendere, perché divenga per noi, in ogni caso, esperienza positiva.

 

Collegare ogni avvenimento al nostro percorso verso la mèta finale – che è il ritorno alla nostra vera Patria – ci aiuterà a decifrarne il significato e la ragione ultima. Che è sempre per avanzare: a volte con passo tranquillo, a volte, dopo un ostacolo che ci ha fatto rallentare, per riprendere con maggiore lena.

 

Scrive Massimo Scaligero in una lettera a un discepolo: «È il momento della continua preghiera al Divino, perché soccorra l’umano. La preghiera è un atto di suprema semplicità, o atarassia, dinanzi al Divino, e una invocazione senza tensione, perché gli amici malati siano soccorsi, perché gli esseri sofferenti siano aiutati, perché il male del mondo sia elaborato dalle anime ridestantisi. Elevare dal cuore l’invocazione di aiuto per coloro che sono in pericolo, o attraversano una grave prova. Questa preghiera deve essere continua, una comunione con il Christo nel cuore, ininterrotta. Da questa preghiera fluisce la forza della compassione per tutto l’umano [Vincere il catoblepa – L’Archetipo, luglio 2010].

 

In un periodo di vita come l’attuale, in cui molti hanno attraversato, o tuttora attraversano, crisi di paura per quanto ci riserva il futuro, correndo ai ripari non con la forza della saldezza interiore o con l’ausilio interiore della preghiera ma con l’acquiescenza esteriore a una imposizione di tipo socio-sanitario, sarebbe importante rileggere ciò che dice Rudolf Steiner nella sua conferenza dal titolo “Intima natura della preghiera”, tenuta a Berlino il 17 febbraio 1910 (O.O. N° 59). Eccone un breve passo: «Chi guarda con angoscia e con timore a quello che il futuro può apportargli, ostacola il proprio sviluppo, impedisce la libera esplicazione delle proprie forze animiche. Nulla veramente ostacola tanto questa libera esplicazione delle forze animiche quanto la paura e l’angoscia di fronte all’ignoto che dall’avvenire penetra nell’anima. Quello che la dedizione nei confronti dell’avvenire potrà apportarci, solo l’esperienza potrà giudicarlo veramente. Che cos’è infatti la dedizione nei confronti degli avvenimenti futuri? Nella sua forma ideale questa dedizione è quello stato d’animo per cui l’uomo dice a se stesso: “Qualunque cosa debba avvenire, qualunque cosa la prossima ora o il prossimo giorno possano apportarmi, io non sono in grado di cambiarla, essendomi essa del tutto ignota, né con la paura né con l’angoscia. Io l’attendo con la piú perfetta calma interiore, con perfetta tranquillità d’animo”. Da un tal sentimento di dedizione rispetto agli eventi avvenire risulterà che un uomo, il quale rassegnato e con perfetta tranquillità d’animo sappia andare incontro all’avvenire senza attenuare per questo in nessun modo la propria energia e la propria forza, sarà in grado di esplicare nel modo piú intenso e libero le energie dell’anima. Quando l’anima accoglie in sé sempre piú quell’atteggiamento chiamato dedizione rispetto agli eventi che ci fluiscono dal futuro, allora è come se tutti gli ostacoli svanissero, uno dopo l’altro. Ad un siffatto sentimento di dedizione l’anima non può abbandonarsi per costrizione, non può abbandonarsi per un arbitrio tratto dal nulla. Questo sentimento di dedizione è il risultato di quello che possiamo chiamare l’atteggiamento della preghiera rivolto al futuro e al corso dei suoi avvenimenti pervaso di saggezza».

 

Atteggiamento che può divenire fonte di silenzioso aiuto per chi vive con noi, o ci frequenta nei luoghi di lavoro, Non dobbiamo convincere nessuno con le parole: l’esempio vale piú di un discorso, che si presta spesso a contrapposizioni. Avere vicino una persona serena nonostante le difficoltà esteriori, ricrea intorno un’atmosfera purificata e costruttiva.

 

Con Christo

 

Si può pregare mentre si lavora, cosí come mentre si cammina. Massimo Scaligero mi disse un giorno che utilizzava sempre, camminando, la “preghiera continua”, e mi consigliò di fare altrettanto. Una breve frase – come l’inizio del prologo di Giovanni: “In principio era il Verbo”, o “Non io ma il Christo in me” di Paolo – è un utile mantram su cui cadenzare il passo, da sgranare come un rosario accordandolo con il movimento degli arti. E se cammineremo in compagnia della preghiera, potremo forse sentire il tocco lieve, sulla nostra spalla, di Chi, inavvertito, sempre ci accompagna.

 

 

Marina Sagramora