Siamo ora arrivati al punto centrale dell’ideale cerchio in prospettiva denominato Socialità. Nei precedenti articoli tale centrale questione è stata affrontata in modo decentrato.
Questo perché in seguito all’affermazione di tesi ufficiali “antroposofiche”, che hanno finito per fare breccia un po’ dappertutto, ci si è trovati a indicare per Tripartizione dell’organismo sociale qualcosa di completamente differente o anche antitetico rispetto a quanto Massimo Scaligero insegnò negli scorsi decenni. Addirittura oggi si parla in Italia, regolarmente, di “triarticolazione”, non di Tripartizione. Sappiamo invece che Scaligero insegnò continuamente che il concetto di “triarticolazione”, per quanto usato in passato dal Dr. Steiner nel contesto nazionale tedesco o mitteleuropeo, è nel Karma e nella storia del popolo italiano inattuabile e a tal punto fuorviante che in luogo della Tripartizione si finisce per supportare un progetto sociale e un programma pedagogico del tutto estranei alle Esigenze Sociali moderne della nostra nazione.
Vi sono tre elementi fondamentali, che vanno sperimentati in ideale e storico divenire, non astrattamente o rigidamente fissati.
Il primo è, come del resto specificò Rudolf Steiner ne La Missione di Michele, in Esigenze Sociali dei Nuovi Tempi, nei Memorandum e, sia pur molto di lato, nelle Conferenze finali sui nessi karmici, che non è nemmeno concepibile la via della Tripartizione se non si ha il coraggio di contemplare la centralità della missione dei singoli spiriti nazionali nell’evoluzione della terra. Il Dottore nelle sue ultime Conferenze chiarifica appunto il senso e il significato di un’audace “ideologia risorgimentale” realizzata negli odierni tempi storici.
Il secondo è che la Tripartizione potrà essere definitivamente partorita solo dal comune sacrificio assolutamente cosciente di una élite spirituale, ma fervidamente patriottica, e al tempo stesso di milioni di onesti e laboriosi cittadini che forse non posseggono quella medesima qualità di Autocoscienza sacrificale, in senso “nazionale”, delle élite ma che alla prova dei fatti storici risulteranno necessari e provvidenziali come le suddette. Non si dimentichi che Scaligero era solito affermare che il piú grande eroe della nazione, nei nostri tempi, è il “buon padre di famiglia”, il “piccolo artigiano”, il volitivo imprenditore, il lavoratore che sacrifica se stesso, i suoi desideri, le sue naturali brame, per il benessere o la dignità della propria famiglia e quindi della collettività nazionale e popolare. Scaligero prevede già dagli Anni ’50 che ove scomparisse questa strategica figura sociale, che ha reso storicamente grande e rispettato il nostro popolo, l’Italia sparirebbe. Riguardo alla questione della élite spirituale, Scaligero fu lapidario con suoi seguaci il 4 novembre 1978 (Cfr. Graal n. 81-82, 2003, pp. 23, 29): «Quando da ragazzo leggevo dei testi in cui si diceva che l’Iniziato vince e lascia il volgo, lascia gli impotenti al loro destino, trovavo la cosa suggestiva, ma dopo ho capito …che sotto quell’affermazione di grande superiorità si nascondeva invece una gran debolezza. Qualunque grande Iniziato incarnato sulla terra, sa da sempre di dover fare i conti con il grado di evoluzione in cui si dibattono gli uomini, in cui i deboli soffrono, e soffrono piú di tutti. …Esseri forti sono quelli che malgrado le ingiustizie sociali sopportano, sapendo che solo la conoscenza aiuta a superare le ingiustizie, le percosse, le bombe, la distruzione». Tale è il significato dell’individualismo etico nel contesto della missione dell’Anima di popolo.
Il terzo è il “realismo pratico” dell’Idea Tripartita; altra è per Scaligero la ricchezza che diviene mezzo per la elevazione della vita, grazie all’uso fraterno e patriottico del capitale, altro è «il capitalismo di tipo sovietico o democratico» (Cfr. Il Pensiero come Antimateria) che paralizza l’economia e l’armoniosa dynamis sociale. In questo senso l’ideale dell’armonia collettiva nazionale deve venire prima di «soluzioni utopiche o impossibili, come esaltazione di diritti individuali o parificazioni assurde».
Al contrario di queste soluzioni utopiche, i cui effetti stiamo tragicamente sperimentando nelle società civili occidentali, sbrindellate nei loro stessi fondamentali giuridici e morali, la proposta di Scaligero è realistica, nel rispetto delle leggi, della libera espressione dell’individuo, tutelato socialmente come individuo proprio dall’organismo tripartito, per il quale il lavoro è un valore metafisico, non una merce. La vita dotata dei mezzi necessari, nella visione realista dello Scaligero, deve essere assicurata a tutti, nessuno escluso: ciò sarebbe rapidamente conseguibile ove si arrestasse quell’enorme sperpero di ricchezze che viene dai giganteschi organismi burocratici, tecnologici, finanziari di cui necessitano le odierne società, ma soprattutto ove si lasciasse libera iniziativa alle forze originarie dell’organismo economico, perciò ai creatori di lavoro, ai geniali organizzatori della produzione collettiva generale, la cui missione è organizzare il benessere della comunità nazionale, sabotati da una cattiva finanza e da un cattivo statalismo.
Nella visione di Massimo Scaligero, il lavoratore dell’azienda è un volontario, l’impresa ha un obiettivo spirituale, che consiste nel rendere le operazioni produttive veicolo delle forze interiori individuali e nella pratica della fraternità umana mediante i rapporti produttivi. L’obiettivo spirituale esige un organamento economico non burocratico, con la missione lavorativa indipendente dal compenso, come contemplato nella Tripartizione steineriana.
È a tal punto realistico il messaggio di Massimo Scaligero – «La Socialità non è un punto di partenza, ma un punto di arrivo» – che in quelle nazioni autenticamente patriottiche, democratiche, libere, in cui questi princípi si sono gradualmente affermati, per quanto non integralmente, sul campo storico sociale, vediamo un’evoluzione comunitaria e un’armonia nazionale che noi siamo ancora ben lungi dal raggiungere. Sappiamo come Scaligero seguisse con estrema attenzione, sin dagli anni ‘50 dello scorso secolo, i progressi sociali della Nazione giapponese e come fosse particolarmente connesso al Karma di quel popolo dell’Estremo Oriente, a cui dedicò d’altra parte, oltre a molteplici articoli in riviste specializzate, anche un libro: Zen e Logos. Pure in questo caso, esponenti ufficiali del mondo antroposofico italiano continuano viceversa a prendere esplicitamente come modello univoco e assolutistico di riferimento un mondo mitteleuropeo o germanico che, nonostante la sua feroce organizzazione ideologica di sostanza economicistica, sembra viceversa assai spento nelle sue originarie, pur eccelse, motivazioni spirituali.
Le stesse scelte ideali dello Scaligero in anni precedenti, tacciate con estrema superficialità e con enorme pressapochismo proprio e soprattutto nei vari contesti antroposofici e “esoteristici”, dovrebbero poter essere contemplate alla luce della missione dei molteplici e differenti Karma di popolo nel quadro del sanguinoso scontro novecentesco tra Occidente e Oriente, uno scontro che andò ben al di là di quello degli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo, uno scontro che ha caratterizzato l’intero Novecento e che sta anche caratterizzando i primi decenni di questo secolo. È del resto significativo che il sistema educativo e storiografico giapponese, a differenza di quello italiano, è assolutamente orientato in senso “nazionale” fondato sul concetto di essenza nipponica (nihonjinron). Tale via pedagogica del Sol Levante è comunque oggi integrata nel rispetto verso quegli stessi popoli e quelle molteplici nazioni, le piú grandi e potenti della terra, dalle quali fu contemporaneamente colpito con una terribile e incendiaria violenza mai prima, e nemmeno dopo, sperimentata dal genere umano nell’orribile agosto del 1945.
Pierre Grosser è un lucido storico della grande guerra mondiale novecentesca per quanto la sua monumentale ricerca risenta spesso di un astratto economicismo di scuola marxista o liberale ben differente dalla metodologia moderna fondata sul ciclo storico spirituale (Cfr. Vangelo di Marco di R. Steiner).
Tale metodo dello storico francese spesso finisce per alterare la sostanza degli eventi rappresentati. Nonostante ciò il Grosser ha perciò confermato in tempi recenti la profezia di Rudolf Steiner sul Novecento espressa da quest’ultimo nelle varie conferenze sulla polarità tra Oriente e Occidente. Anche su questo piano, se la nostra storiografia rimarrà cosí vanitosamente eurocentrista e continuerà, nel migliore dei casi, a proporre l’astratta rappresentazione della “guerra civile europea”, passi in avanti verso un’armonica integrazione internazionale rispettosa dei singoli spiriti nazionali non saranno possibili; e chi non avanza anche lentamente e prudentemente, indietreggia. Va qui detto che per quanto abbia avuto un valore propagandistico e geopolitico, piú che morale, per quanto non vi siano state le scuse, l’atto pubblico dell’ex presidente statunitense, il 27 maggio 2016, a Hiroshima è stato in questa auspicabile direzione l’atto per ora piú significativo di questo secolo.
Oggi analisti o storici occidentali di peso, molto ben considerati dalla comunità scientifica occidentale, da Adam Tootze a Federico Rampini, da Giulia Pompili a Niall Ferguson, per fare solo qualche nome, si chiedono di nuovo quale il sia il segreto del popolo giapponese capace sistematicamente di risorgere dalle piú devastanti macerie. Domanda che vediamo, ormai da decenni, periodicamente ripetersi proprio nei contesti di acuta crisi storico-spirituale dell’umanità.
Si parla oggi, nei consessi scientifici di specie, di una vera e propria lezione giapponese all’Occidente come scrisse un nostro quotidiano nello scorso dicembre riprendendo il motivo di una testata d’oltreoceano. Dal piano sociale e giuridico diritti-doveri alla forza e qualità di resistenza e reazione “nazionali” di fronte alla grande catastrofe, anche gli esperti di casa nostra dicono che proprio da loro, piú che dai sempre piú malmessi americani o tedeschi, dovremmo invece prendere esempio. Dal toyotismo al modello di società 5.0 la razionalizzazione sociale di tipo giapponese è sul piano mondiale, per i nostri esperti, la piú armoniosa ed evoluta.
Non è assolutamente fine di questo articolo parteggiare per un popolo o per un altro o esprimere un giudizio definitivo e acritico sulle conclusioni cui sono giunti i nostri esperti. È doveroso notare che nell’Estremo Occidente, anche le soluzioni che improntate dal gigantismo tecnologico si autolegittimano, grazie ai media compiacenti e oltremodo partigiani, come le piú progressiste e moderne, ben contemplate rivelano il loro carattere assolutamente reazionario e regressivista e che viceversa l’unica grande istituzione mondiale ad aver creato un programma di ricerca sull’attività spirituale e sovrasensibile nel pensare è stata già da anni il MITI (Ministry of Trade and Industry) del Giappone, tra i leader mondiali della rivoluzione tecnologica dei nostri tempi, se non vero e proprio leader mondiale avendo concretizzato un saggio modello di civilizzazione né anglo-statunitense né cinese.
L’Italia, grazie al realismo ideale e alla concezione della Socialità trasmessa da Massimo Scaligero, potrebbe appunto essere in una posizione molto avanzata e di vera avanguardia verso un nuovo, alternativo modello di sviluppo sociale davvero moderno.
Silvano Aspromonte