Oltre i nove anni

Pedagogia

Oltre i nove anni

LA VITA DEL BAMBINO

 

TRA INFANZIA E PUBERTÀ

 

 

Arte? Sento ancora alcuni che sghignazzano perché noi, lavorando alla ricostruzione della scuola italiana, abbiamo creduto che il fanciullo dovesse essere considerato artista, sia pure in germe, già all’inizio del suo sviluppo. L’uomo è artista? Tutti siamo artisti? Anche il bambino che comincia a balbettare le parole percepite sulle labbra materne e le impronta dell’anima propria è un artista. Riconoscete questo e riconoscerete la natura incancellabile dello spirito umano. Come volete che si sviluppi l’allievo dentro la scuola? Come volete che questo spirito si apra, viva, e cresca, se incominciate a negargli quello che è la sua natura e il suo diritto? Lasciate che egli sia artista, rispettate questo suo carattere essenziale! Perciò date carattere artistico all’insegnamento.

 

Giovanni Gentile, discorso tenuto a Firenze il 9 maggio 1926

 

 

Rimango lí, nella stanza ormai buia, e penso a tutte le cose strane e tristi che fanno parte della vita. È l’ora in cui migliaia di bambini, in migliaia di stanze, riflettono come me su quello che suc­cede dentro di loro e nel mondo che li circonda. Questi pensieri, gli adulti non li conoscono. D’al­tronde, come potrebbero conoscerli? Se mai si avvicinano a noi, in quei momenti, è solo per chie­derci: Cosa fai qui? Perché non giochi? Perché questo silenzio? Fanno fatica a capire che dopo aver corso, giocato e guardato cose di ogni tipo, un bambino possa provare il bisogno di ritirarsi in un angolo. Tuttavia, in questo momento, egli è costretto a intrattenersi con se stesso, perché sono pochissimi i bambini (forse uno su mille) che possono trovare un aiuto e un appoggio in un adulto o in un amico.

 

(Janusz Korczak, Quando ridiventerò bambino)

 

 

Creazione dal nulla

 

Bimbi con flauto

 

Il fatto di studiare musica o educazione all’immagine non vuol dire necessariamente aver a che fare con l’arte. Quando la maestra entra in classe dicendo: «Oggi, come ogni lunedí, ci dedicheremo all’acquerello» non sta facendo arte. Suo­nare l’Inno alla Gioia sputazzando nel flauto pentatonico non vuol dire “dare carattere artistico all’insegnamento”.

 

Ogni creazione artistica è preceduta dal nulla. Anche Dio, nella mitologia cristiana, ha creato il mondo partendo dal nulla: “Le tenebre ricoprivano l’abisso”.

 

 

Sia luce!

 

L’incontro con l’Ombra, con la percezione di uno spazio interiore – che inizialmente appare come un vasto abisso – può essere esteriorizzato al di fuori del bambino.

 

Occorre trovare degli spazi in cui il bambino possa venir guidato nella relazione con l’abisso che giace in lui e, da questo spazio, organizzare la propria creatività.

 

L’artista è colui che si confronta con il vuoto e con la tenebra disciplinando e organizzando i propri pensieri. C’è un momento, prima della creazione di un’opera d’arte, in cui si brancola nel buio e non si sa bene quale direzione imboccare: dinanzi si ha uno spazio vuoto e non è facile proseguire.

 

Bambini seduti in classe

 

Ecco: i bambini a questa età avrebbero bisogno di “spazi vuoti” in cui poter creare dal nulla.

 

Organizzare degli spazi in cui lasciare che siano i bambini a proporre delle attività da realizzare at­traverso un certo numero di incontri (costruire una zattera, realizzare un murale…) oppure gestire dei momenti di ozio, in cui star tranquilli senza l’in­combenza orrida del dover fare qualcosa a tutti i costi!

 

Quello che avvelena lo spirito infantile è la tra­smissione ripetitiva, meccanica o sciatta del cono­scere: questa modalità porta alla disaffezione, all’av­versione preconcetta verso la conoscenza.

 

Uno dei grandi guasti che produce l’immobilità fisica durante la formazione scolastica è la conse­guente immobilità conoscitiva durante la vita succes­siva. La mancanza di entusiasmo che pervade l’appren­dimento diviene apatia conoscitiva nel successivo sviluppo dell’individuo.

 

 

Horror vacui

 

Molti bambini di oggi, essendo sempre piú carichi di impegni, non riescono piú a stare per conto proprio.

 

Henning Köhler mi raccontava che sempre piú spesso arrivavano nel suo istituto bambini incapaci di restare per conto proprio a giocare, a oziare, a disporre del proprio tempo o del proprio ambiente.

 

L’organizzazione iper-strutturante che conforma i bambini carichi di impegni finisce spesso col privarli di quell’autonomia che invece pervadeva i bambini delle precedenti generazioni.

 

 

Incessante lavorío

 

Lavori in classe

 

Ci sono classi in cui gli alunni vengono abituati ad un costante e pressoché ininterrotto lavorío: i bambini vengono sommersi di attività fino all’ultimo istante di lezione.

 

Indipendentemente dalla sensatezza di tali attività, que­sta modalità operativa – assai diffusa – costituisce un grave problema per lo sviluppo dell’autonomia del bambino: le “cose da fare” vengono sempre imposte dal di fuori, dalla volontà dell’insegnante. Il bambino gestirà con fatica que­gli spazi che non siano già stati preconfezionati.

 

Le modalità con cui i bambini reagiscono a questo in­cessante lavorío sono essenzialmente due: il senso di colpa o la confusione.

 

La confusione giunge poiché i bambini, sprovvisti del­l’ingiunzione del maestro, si confondono, non sanno cosa altro fare. Allora si agitano, possono dire cose stupide, alzarsi dai banchi credendo che la lezione sia finita, creden­do che l’assenza di ingiunzioni corrisponda ad una man­canza di polso del nuovo insegnante.

 

Tali bambini vengono abituati ad un continuo prendere ordini, ed è dunque comprensibile un simile atteggiamento da parte loro.

 

Il senso di colpa, invece, caratterizza la risposta dei bambini piú piccoli abituati a non fare pause durante le lezioni e ad essere ligi nel lavoro. I bambini piccoli imitano con le forze piú profonde del loro animo tutto quanto si esprime attorno a loro. E se un insegnante concepisce la pausa come un “far niente”, e quindi come una colpa, trasmetterà anche ai piccini lo stesso meccanismo di pensiero.

 

 

Un esempio

 

Una favola in classe

 

Giorni fa ho sostituito una collega in una classe se­conda. Ho pensato cosí di regalare a questi bimbi l’ascolto di una fiaba. Mi hanno ascoltato con atten­zione ed ho avuto la chiara percezione che per loro quel momento costituisse davvero qualcosa di magico. Poi, alla fine dell’ora, qualcuno ha detto: «Ecco: oggi non abbiamo fatto niente!». Era la vocina di una bimba, il tono non era affatto sgarbato ma imitava chiaramente la tiritera che ripetono gli adulti quando i bambini “perdono tempo”.

 

“Chi sei tu? Cos’hai di bello da offrirci? Cosa ci por­terai di bello oggi?” Queste sono domande che i bam­bini rivolgono silenziosamente a ogni educatore.

 

 

Un’osservazione

 

classe difficile

 

Le classi abituate a lavorare in modo ingiuntivo sono classi che tendono a “scoppiare” una volta arrivate in quarta. I bambini diventano straordinariamente irrequieti e questa irre­quie­tezza viene gestita con difficoltà, poiché le sue ragioni sono difficili da afferrare dall’esterno. Gli alunni si rabboniscono soltanto con i maestri che sono in grado di “domarli”, ma sono proprio questi insegnanti ad avere una responsabilità importante riguar­do all’origine dell’irrequietezza della classe.

 

L’irrequietezza, in questi casi, è direttamen­te proporzionale alla forza con cui i bambini sono stati riempiti – nel corso degli anni pre­cedenti – di forze iper-strutturanti e inibenti le singole individualità.

 

Tale irrequietezza resta comunque un’anco­ra di salvezza per i bambini: le loro individualità, in tal modo, provano a riprendersi lo spazio che gli è stato sottratto.

 

 

Cosa fare?

 

Bambini vicino a un canale

 

Avremmo bisogno, di tanto in tanto, di interrompere l’at­tività didattica all’interno delle classi. Ascoltare il suono del fiume che scorre, guardare insieme il calare del sole, resta­re insieme per la sola voglia di esserci: di questo avrebbero bisogno i bambini alla soglia della pubertà. Spazi in cui osservare il sorgere del silenzio, l’irradiare della luce fra le tenebre. Gli educatori dovrebbero occuparsi per un giorno al mese o per poche ore alla settimana, esclusivamente del­la relazione con i bambini a loro affidati. La disposizione poetica che pervade l’animo infantile ha bisogno di corri­spondenze nella sfera del quotidiano.

 

Dare “carattere artistico all’insegnamento” vorrà dire permettere al bambino di sperimentare quelle forze che rendono udibile il silenzio e luminosa la tenebra.

 

 

Nicola Gelo (2. Fine)