Dal baratto alla finanza

Economia

Dal baratto alla finanza

Tutti gli esseri viventi “lavorano” per vivere. Non è dato sopravvivere senza l’attività attiva di ogni essere sulla terra. Ne sono esentate, ma solo in apparenza, solo le piante, che pure svolgono anch’esse una loro primaria funzione, offrendo con il loro sviluppo, fioritura e fruttificazione, nutrimento ai viventi. Per mangiare, coprirsi, proteggersi, chiunque ha bisogno di muovere la volontà, senza che nulla gli sia garantito. Per quanto questo sembri lapalissiano, è bene rimarcarlo perché, per l’uomo uscire dallo stadio primario di sopravvivenza non è significato sfuggire a questa legge, ma semplicemente sapersi organizzare per una vita migliore. Comunque se non si nutre in tempo utile, se non si copre o non si protegge, semplicemente muore.

 

Il baratto

 

Possiamo dire che l’economia della nostra epoca sia iniziata, inequivocabilmente, quando gli abitanti delle comunità si specializzarono nelle attività, per poi scambiarsi i manufatti. La specializzazione del lavoro è talmente patrimonio comune che non è mai piú stata messa in discussione dalla preistoria ad oggi. Però di contro è diventato un elemento talmente connaturato nella nostra mentalità che non ci facciamo piú caso. Simbolicamente possiamo dire che ognuno lavora per gli altri senza accorgersene.

 

Ora, per semplificarci i discorso, immaginiamo una piccolissima comunità arcaica, di sole quattro persone: un contadino, un pescatore, un cacciatore, un artigiano. L’esempio serve esclusivamente a semplificare il discorso, partendo da un ipotetico periodo economico arcaico. Immaginiamoli tutti e quattro in cerchio intenti a scambiarsi il frutto del loro lavoro. Hanno già capito che se ognuno si fosse dedicato ad un’attività specifica, avrebbero ottenuto un tenore di vita migliore sia come qualità che come quantità. Molto presto si aggiunse una figura carismatica, qualcuno in grado di curare le persone ferite, di intercedere con Dio, di insegnare i segreti della vita: un Druido.

 

Questo esempio ha l’unico scopo di rendere evidente come nell’interazione commerciale tra i quattro si possa raggiungere facilmente un equilibrio di scambio. Equilibrio in difficoltà per l’arrivo dell’offi­ciante, dovendo tutti e quattro rinunciare a qualcosa di essenziale per mantenerlo. Per non perdere i propri tenori di vita, tutti cominciarono a produrre di piú, affinché nessuno perdesse qualcosa di essenziale per donarla al quinto. L’introduzione del denaro ebbe lo scopo di facilitare, non tanto gli scambi, ma la quantificazione del valore di scambio degli oggetti. Quindi il manufatto acquistò valore in base a parametri piú complessi di prima. Se prima avevano un valore essenzialmente in base al concetto di essenzialità, poi acquistarono importanza fattori quali la complessità nel procurarli oppure costruirli, il tempo dedicato, le materie o gli strumenti necessari ad ottenerli.

 

Soprattutto il concetto di rarità acquistò importanza nel determinare il valore di un manufatto o di un prodotto agricolo. Infatti è il dato piú sensibile alla variazione del prezzo da sempre, perché coinvolge direttamente l’aspettativa di soddisfazione di chi lo cerca. Questo per dire, uscendo dall’esempio e allargando l’argomento, che se si produce un quantitativo di merce superiore alle esigenze della popolazione, abbiamo una sovrapproduzione con evidente predita di valore dalla stessa. Al contrario se produciamo di meno delle esigenze delle persone, il suo valore sale, perché non tutti riescono ad approvvigionarsene. Nei mercati piú semplici i nuovi equilibri, rispetto ai volumi di produzione, sono abbastanza facili da considerare, perché chiaramente tutto si basa sulle rimanenze di magazzino. Nelle società piú ampie, nei mercati piú complessi diremmo, il discorso si fa difficile, perché ogni errore in questo senso è sentito su larga scala.

 

Curandero

 

Tornando all’esempio del villaggio dei quattro piú uno, l’arrivo del Druido-Guaritore comportò una variazione di produzione di merce, che di fatto abbassò il valore della stessa. Considerando la moneta come unità di misura, questo comportò un prezzo piú basso dei beni. Dove effettivamente alla fine ognuno aveva soddisfatto i propri bisogni, ma per farlo aveva dovuto lavorare di piú. Quindi a parità di lavoro si era impoverita. A quel punto subentrò un nuovo elemento. Ognuno di loro, per non doversi impoverire lavorando di piú allo stesso prezzo, aggiunse, al calcolo del costo del manufatto, una quota in piú. Un saggio marginale di guadagno, un plusvalore, un profitto. Tutti termini che indicano una cifra in apparenza arbitraria aggiunta al prezzo normale dei manufatti. Il fatto che non sia realmente arbitraria ci porterebbe fuori tema. L’importante è capire come il plusvalore diede possibilità al Sacerdote del villaggio di ricevere la propria prebenda, senza che gli altri perdessero il rispettivo tenore di vita.

 

Di fatto qualunque attività di servizi riesce ad esistere solo se i mercati primario e secondario: agricoltura, artigianato ed industria, possono sostenerlo. Lo spazio monetario per mantenerlo è proprio il plusvalore dato alle merci. Il noto economista scozzese Adam Smith sostiene che tutto quello che è speso nel terziario è denaro “perso”, perché non ha un controvalore merceologico. Idea che, abbiamo visto, ha un suo fondamento. Però egli stesso ammette che chi offre servizi, comunque ha bisogno di manufatti, e quindi il denaro, a patto che le merci ed i servizi abbiano i giusti prezzi, sono di giro e rientrano comunque nel circuito economico. Se, ovviamente, sono del medesimo mercato. Per mercato intendiamo spazi dove interagiscono scambi di merci e servizi. Cosí abbiamo un mercato cittadino, dove tutte le attività di una medesima città scambiano i propri prodotti; un mercato nazionale, che riguarda quegli scambi di un intera popolazione, e un mercato internazionale. Bisogna comunque tener ben presente che un mercato non è per forza limitato nello spazio e nel tempo. Produrre qualcosa in Sicilia, ad esempio, per venderlo anni dopo a Roma, riguarda il mercato cittadino romano.

 

L’altro elemento importante è il concetto di ciclo economico di un mercato. Cioè una sorta di cerchio attorno al quale sono i vari attori, che si passano di mano in mano articoli e monete, in modo che iniziando dal commerciante A, alla fine del giro il denaro ritorni nuovamente ad A. In questo l’esempio dei quattro piú uno è esemplificativo. Ed ogni volta che è difficile capire un meccanismo, ci si può rifare a quel racconto. Se il cerchio fosse perfetto, non ci sarebbe problema. L’utente A si ritroverebbe, a fine ciclo, con tutta la merce di cui ha bisogno e di tutto il denaro speso i inizialmente. Ma i mercati odierni sono talmente complessi che troppo spesso questo virtuoso giro di moneta e beni non si completa, e l’utente A non rientra di tutto il denaro impiegato. Perché un po’ si perde, viene messo da parte, risparmiato, oppure confluisce in mercati esteri. Ripartendo il giro per un nuovo scambio di beni, il denaro a disposizione è ogni volta sempre di meno. Bisogna anche tener presente che con la sua comparsa il denaro ha dato valore alle merci, ma di conseguenza lo ha acquistato. Cosí abbiamo denaro e merci che hanno un’interdipendenza di valore: l’una, ovviamente, inversamente proporzionale al­l’altra. Cioè quando la merce perde valore, i prezzi si abbassano perché ne acquista di conseguenza la moneta; viceversa nel caso opposto. Se l’emissione del denaro fosse unica, ad ogni giro di intermediazione il denaro a disposizione sarebbe piú raro quindi i prezzi scenderebbero. E se nell’immediato ciò potrebbe sembrare positivo, già nel brevissimo periodo questo crollo dei prezzi significherebbe un grave impoverimento di tutti gli operatori economici, che già al secondo turno di transazioni non potrebbero piú ottemperare ai loro bisogni. Quando si arriva al “secondo giro” di transazioni, molti beni sono già acquisiti, e per il momento non ce ne è piú bisogno.

 

Facilmente si arriva ad un equilibrio produttivo, evitando eccessi di sovrapproduzione che aumenterebbero il valore del denaro, perché la merce aumenta e quindi si deprezzerebbe. Il denaro invece è piú delicato. Proprio per evitare una deflazione dei prezzi, i governi immettono regolarmente denaro sul mercato per cercare di mantenere costante la quantità di soldi in circolazione. Quindi si tratta di regolare il quantitativo di denaro in circolazione. Se si immettono troppi soldi si accende l’inflazione, al contrario, invece abbiamo fenomeni deflattivi. Però, mentre qualunque merce deperisce, ed è abbastanza facile calcolarne i tempi di ricambio per evitare la sovrapproduzione, il denaro, invece, non deperisce. Il denaro accumulato rimane, diventando indipendente dalla merce con cui era stato scambiato, che potrebbe anche essersi totalmente esaurita, e quindi modificando il rapporto tra moneta già circolante e merce in vendita. Aumenta la quantità di moneta, quindi perde valore, e i prezzi crescono: ne deriva l’inflazione.

 

Finora i governi hanno cercato i tenere sotto controllo l’inflazione in due modi diversi. Il modello tedesco è stato quello di alzare la produzione dei manufatti per compensare la perdita di valore del denaro (sono inversamente proporzionali: se uno acquista valore l’altro li perde). In Italia si è preferito limitare la produzione. Probabilmente è stata la peggiore soluzione, perché abbiamo chiarito che il denaro messo da parte, nel suo valore, non deperisce. Prontamente imitata dall’Europa con l’euro; dove infatti l’introduzione di questi non ha soddisfatto nessuno, compresa la Germania, soprattutto nel rapporto con la merce. Infatti la sua scarsa emissione sta creando ovunque particolari difficoltà nel reperire denaro, facendolo diventare sempre piú raro. Qui il discorso si allarga ad altri contenuti, che saranno oggetto di alte indagini. Comunque le soluzioni per tenere sotto controllo l’inflazione, la tedesca, oppure quella richiesta a gran voce di stampare denaro, non sono le migliori. Tamponano nel breve periodo, ma alla lunga fanno danni.

 

La ricchezza delle Nazioni

 

Questo problema lo aveva chiarito molto bene già Adam Smith nel suo libro La ricchezza delle nazioni, dove ci dice che i primi ad avere problemi inflazionistici furono i Romani all’epoca dell’imperatore Tiberio. Il quale, non capendo il fenomeno, prese la decisione peggiore che potesse prendere: crocifiggeva i commercianti rei di alzare i prezzi. In realtà il fenomeno, che nel suo svolgersi è chiarissimo a tutti, non ha mai trovato soluzione. Ed effettivamente, se non ci fossero stati periodi di carestia e povertà assoluta ancora circolerebbero, come valore di denaro e non monetario ovviamente, i soldi romani, forse anche egizi. L’economista scozzese però notò come l’unico periodo che ebbe l’infla­zione sotto controllo malgrado una forte circolazione di merci, fu quando la corona Inglese usò l’astuzia di immettere monete d’oro dal peso certificato, che tutti i sudditi dovevano per legge scambiare a valore nominale, e che invece quando si riportavano nelle casse di Stato venivano valutate a valore reale. Egli usa una bellissima immagine, raccontando di come, passando di mano in mano, strusciata tra le dita, la moneta si consumasse perdendo peso ed anche valore. Ebbene Smith ammette che quella perdita di valore monetario, non riconosciuta dalle casse invglesi, fosse positiva per l’economia, in quanto aiutava a tenere sotto controllo l’inflazione, mantenendo il giusto rapporto tra moneta circolante e merce. Egli stesso ammette che in questo c’era una sorta deperimento, “scadenza” diremmo noi, del denaro. Sarà poi Rudolf Steiner nel I punti essenziali della questione sociale e ne I capisaldi dell’economia, a spiegarci molto bene le funzioni del denaro: la sua creazione, la sua circolazione e il suo deperimento, con la definizione di: denaro d’acquisto o di vendita, denaro di prestito o di debito, e denaro di dono.

 

Il denaro risparmiato e non in circolazione crea una sorta di “vasca” di raccolta di moneta utile dopo le crisi per dare motore all’economia. È sempre necessario che in ogni sistema economico qualcuno accumuli ricchezza. Questi, in un rapporto sano con la società che lo circonda, gli permette di investire, muovere l’economia, dare lavoro e far circolare merci e denaro. Proprio come fosse una vasca che contiene acqua piovana, pronta ad essere distribuita per le varie esigenze. In questo senso il ricco patriarca avrebbe un ruolo molto positivo. I grandi industriali come Ford, Kennedy, Getty, sono stati questo.

 

Nell’economia moderna si è instaurato però un sistema che ha avuto origine già nel medioevo, e forse anche in epoca romana, e che poi si è sviluppato in modo massivo nella seconda metà dell’Ottocento in Inghilterra e in Francia. Cioè la suddivisione in piú parti del capitale di una società. Nacque e si sviluppò per dividere il rischio d’impresa. Piú persone partecipavano al capitale di una azienda che diventava anonima, e i proprietari si dividevano i rischi di fallimento o il successo. Questo capitale veniva suddiviso vendendo dei titoli, chiamati azioni. I titoli autonomi potevano essere ceduti a terzi, ed erano al portatore.

 

La prima Borsa valori belga, ad Anversa

La prima Borsa valori belga, ad Anversa

 

Circa nel 1.500 in Belgio si aprí un mercato di questi titoli, per attutire i rischi dei titoli mercantili. In sintesi cosí è nata la Borsa, che prende il nome dalle tre borse nello stemma della Casa dove iniziarono queste trattative. Questo preambolo per dire che ad un certo punto nacque una compravendita di questi titoli, che aumentavano o diminuivano il loro valore seguendo le sorti dell’azienda natía. Però è bene notare che le aziende diventano completamente estranee a tutte le eventuali compravendite dei titoli azionari. Chi le possedeva, e le possiede oggi, ha titolo di proprietà, divide i guadagni, ma nulla deve all’azienda se vende le proprie azioni a terzi. Questo ha creato, in particolare nel mondo anglosassone, un mercato azionario completamente indipendente dalle industrie rappresentate. In sintesi l’economia finanziaria ha preso il sopravvento su tutti i settori dell’economia e detta le sue leggi. Si è creata una classe di imprenditori che lucra sulle oscillazioni di mercato che le azioni hanno. Una sorta di cancro nell’economia reale. Perché non contribuisce ad essa e specula solo sulle vicende imprenditoriali delle aziende S.p.A. La forza del settore finanziario è diventata tale che le linee aziendali vengono decise per posizionarsi al meglio sul mercato azionario e quindi avere lauti guadagni, non dal lavoro della stessa, ma dal lucro borsistico che ne segue. Il mercato mobiliare si divide in tre grandi settori: un settore azionario, che abbiamo visto; un settore obbligazionario, che sono titoli sui debiti aziendali d’investimento, ed uno monetario, che è la speculazione tra le varie divise monetarie (dollaro, euro, yen ecc.). Poi ci sono i titoli di Stato e varie, ma in questo momento non ci interessano.

 

L’idea di poter comprare qualcosa che ti consente di di avere lauti guadagni a fine anno con i dividendi, è molto seducente per tutti. Però, come abbiamo visto, le azioni, dopo la loro emissione, hanno una vita autonoma, e non rispondono piú a veri criteri di lavoro. Fondamentalmente esse rappresentano un valore che oscilla senza ragioni concrete legate al propria attività. Questo fa sí che in realtà non generino ricchezza. Lo farebbero se rimanessero ancorate all’azienda e alla volontà di successo degli stessi azionisti, ma non è cosí. Molti di loro non possono neanche partecipare ai consigli d’ammi­nistrazione e comunque è raro abbiano diritto di voto. Per cui la loro proprietà è fittizia. Questo significa che durante le contrattazioni della Borsa c’è un valore esclusivo tra il denaro e l’azione in quanto tale, quale pezzo di carta. Le compravendita delle azioni segue oscillazioni proprie, ma non può creare ricchezza, perché la merce è data, ne varia solo il prezzo. Assomiglia molto al gioco d’azzardo, dove guadagna chi riesce a ingannare gli altri, speculando sulle variazioni di prezzo. Proprio come a poker dove la posta la vince uno perché la perdono gli altri, senza averne nulla in cambio.

 

Mercato azionario

 

Sappiamo che il mercato azionario è tenuto in mano a poche potenti famiglie in tutto il mondo, che sono le uniche a guadagnarci veramente. Il loro guadagno nasce da continue immissioni di capitali che la gente fa, cercando fortuna. Se non ci fosse questo continuo afflusso di denaro, la Borsa si sarebbe già esaurita. Ogni persona che abbia un minimo di disponibilità viene convinta da qualcuno ad investire in Borsa. Per qualche tempo le cose funzionano, poi all’improvviso il tracollo di tutti i risparmi: «Però – gli viene detto – non disinvesta si rialzerà! Anzi investa ancora di piú! Questo è il segreto!»

 

Che è accaduto? La mia tesi è che quelle poche grandi famiglie che hanno il mercato azionario in mano, buttano le reti in mare. I pesci, con il sogno di diventare ricchi, investono tutti i loro risparmi, poi, quando è il momento, le reti vengono tirate in barca. Sono migliaia di miliardi l’anno bruciati. Ma non bruciati nel senso della scadenza del denaro, magari.! Bruciati perché confluiscono nei forzieri di pochissime persone al mondo che, piú diventano ricche, piú è facile per loro fare i “pescatori”. Queste sono risorse tolte all’economia reale, alle aziende, a chi ha voglia di lavorare.

 

C’è una sola vera soluzione al sistema, è quella prospettata da Rudolf Steiner con la sua Tripartizione dell’organismo sociale. Nel suo libro già citato, I punti essenziali della questione sociale, egli scrive: «La dipendenza della vita spirituale e giuridica da quella economica, sviluppatasi negli ultimi secoli come fenomeno del tempo, è oggi ritenuta una necessità di natura. Non ci si accorge della verità, che appunto questa dipendenza spinge l’umanità alla catastrofe; ci si abbandona al pregiudizio che basti cambiare l’ordinamento economico attuale in un altro che generi da sé una nuova vita giuridica e spirituale. Si vuole modificare soltanto l’ordinamento economico, invece di riconoscere che va soppressa la dipendenza delle altre due sfere della vita sociale dalla forma economica. Nel momento attuale del­l’evoluzione storica del mondo, non si tratta di mutare semplicemente il genere di dipendenza della vita spirituale e della vita giuridica dalla vita economica; si tratta di configurare la vita economica a mezzo di provvedimenti che, con conoscenza di causa, provvedano alla produzione e circolazione dei beni senza esercitare, da questo punto di vista, la menoma azione sulla posizione di diritto rispetto agli altri uomini, né sulla possibilità di svolgere le loro facoltà con l’educazione e la scuola».

 

Se questi pensieri saranno pensati da molti, e se qualcuno tra i governanti, dopo oltre un secolo da quando sono stati concepiti ed espressi, vorrà prenderli in considerazione e applicarli, sarà forse possibile sanare la situazione disastrosa che si è venuta a creare, con l’esagerato arricchimento di pochissimi a detrimento delle moltitudini di diseredati nel mondo.

 

 

Massimo Danza