Il lutto non è una malattia, ma può farci ammalare se gli impediamo di esprimersi. Non è l’esperienza del morire e della morte che nuoce alla vita e alle forze del futuro del bambino, bensí l’essere lasciato solo con le sue domande, con il suo dolore e la sua paura; questo è ciò che gli fa piú male.
Inger Hermann
Una premessa
Il concetto di morte è divenuto evanescente. Si muore, questo è certo, ma la relazione con il concetto, con l’idea della morte, sembra essere svanita dalla coscienza collettiva.
Fino a qualche anno fa la morte irrompeva ancora nei condomíni, nei caseggiati di cemento, sconvolgendone per qualche giorno il grigiume. La morte entrava nelle vite degli altri con le sue cerimonie, i suoi cortei, i suoi manifesti.
Quando uno dei vicini moriva, noi bambini non potevamo giocare a pallone per tre giorni. Rimanevamo a casa ad attendere l’uscita del corteo. Osservavamo il corteo, vedevamo piangere gli adulti: quelle scene erano per noi molto piú eloquenti di tanti discorsi. Non parlavamo tra di noi di quelle immagini, poiché il desiderio di tornare a giocare catturava ogni nostra attenzione. Eravamo noi bambini con i nostri giochi a riportare la vita nel cortile.
Sul comò di mia nonna, accanto alle immagini e statuine dei santi, vi trovavano posto le immaginette dei defunti: zii, prozii, trisavoli… legami ancestrali il cui reale intreccio con la mia vita di bambino era l’esclusiva appartenenza al mondo dei morti. Erano là perché non erano vivi: questo ci bastava e lo capivamo. Vi era certamente una mitologia sui defunti ma noi non la conoscevamo.
Guardavamo quelle foto con una certa riverenza: qualche volta scorrevamo le immagini come fossero delle figurine. Quelli erano i morti, e benché non sapevamo chi fossero o come realmente avessero guadagnato quello status, per il solo fatto di essere sul comò della nonna accanto ai santini, alla candela che si accendeva per i malati e alla grande campana di vetro con dentro la Madonna, meritavano rispetto.
Quando si entrava nella stanza della nonna, l’incontro con i morti era obbligato e non se ne spaventava nessuno. La timida lucina lasciata sempre accesa accanto a loro delimitava, con il suo lucore, una sorta di regione della memoria.
La nonna morí sul lettone accanto al comò con i santini e le immaginette dei morti. Poco tempo dopo il comò venne liberato e la lucina riposta in un cassetto.
Non ho mai dimenticato quello stato di dialogo con il mondo dei defunti in cui noi tutti eravamo obbligati dalla contingenza del simbolo ad una relazione certa seppur non mediata da alcuna confessione religiosa, mistica o esoterica.
Il libro
Il libriccino di Inger Hermann, Parlare della morte con i bambini (Edizioni Arte dell’Io, 64 pagine) è in grado di offrire numerosi spunti di riflessione a genitori e educatori accompagnandoli nel tema del morte.
Nella nostra società la morte ed il morire sono argomenti tabú, secondi esclusivamente agli altrettanto proibiti temi della vita e del vivere. Se fossimo culturalmente orientati verso un principio di rispetto per la vita ed il vivere, allora anche la morte ed il morire troverebbero naturale collocamento.
La storia recentissima che tutti abbiamo esperito, ha amplificato le difficoltà di relazione con questi temi. E se fino a qualche tempo fa si assisteva ad una privatizzazione della morte confinata o inibita entro le mura domestiche – o in quelle delle proprie stanze – negli ultimi periodi abbiamo assistito ad una sorta di sparizione del morire e della morte. Sale d’ospedale perlopiú inaccessibili ai parenti, assenza di cerimonie funebri, impossibilità di piangere i propri cari: in definitiva si è andati verso una evanescenza del concetto.
Non è piú utile chiedersi se questi fatti siano stati o meno generati da direzioni savie del pensare umano. Occorre comprendere quanto tali fatti influenzeranno la futura socialità umana. In effetti, parlando della morte e del morire, si parla di una delle piú alte espressioni dell’arte dell’incontro.
Le uniche risposte che possiamo offrire ai bambini sono quelle riscaldate dal calore della nostra coscienza.
Il libriccino di Inger Hermann ci invita al dialogo.
Nicola Gelo
Dalla presentazione in rete
Come posso spiegare a un bambino la morte quando muore una persona cara a lui vicina? Come posso accompagnare un bambino o un ragazzo nel lutto per la perdita di un fratello o di un genitore? Come posso parlare con bambini o ragazzi malati terminali?
Ciò che sta piú a cuore a Inger Hermann non sono tanto le risposte concrete e le spiegazioni, quanto un particolare appello a dialogare con i bambini, a donare loro attenzione e a stare loro accanto nei momenti difficili.