Nei campi ardono papaveri,
e la ginestra segna
dove ha fine la terra
e preme il cielo
con imperi d’azzurro.
Viene ora il tempo
degli alti zenith roventi,
di ampie volte fiammanti
dove le costellazioni
tracciano solchi perlati
sul volto della notte.
Solitarie montagne nutrono
il richiamo del cuculo, ovattato,
e nelle brine di ore antelucane
gemma la rosa canina
nell’abbraccio dei rovi.
Essere pula di grano
e frangia di soffione
fatti preda del vento.
Essere frutti maturi
offerti in olocausto
al tempo.
Oppure canne di palude
incise ad arte
perché il vento da noi
tragga suoni
e ci dia voce;
ci dia il canto, la parola,
il nome.
Essere amore
appena fiorito
e già consumato,
stagione da poco nata
e già compiuta.
Divenir semi
portati dal vento
in migrazioni estreme.
Essere appena morti
e già fiorire.
Fulvio Di Lieto