È molto difficile tradurre in parole il ricordo di Massimo Scaligero. È difficile perché Massimo è un cardine della mia vita, e la vita è come una porta che si apre e si chiude. Un perno su cui si apre e si dischiude il senso dell’esistenza.
Ero giovane, avevo viaggiato tutta la notte in treno e camminato a lungo per Roma. A un certo momento, mi ritrovai errabondo nel quartiere di Monteverde in un orario anticipato e improbabile rispetto a quello della conferenza pomeridiana. Non avevo mai visto una fotografia di Massimo, conoscevo alcuni suoi libri di cui non comprendevo molto ma di cui avvertivo la potenza . All’epoca, non essendoci internet, le fotografie degli autori di libri erano cosa rara.
Vidi scendere in via Barrili un vecchio imbacuccato in una modestissima giacca a vento. Lo riconobbi immediatamente. Non ci fu bisogno di alcuna conferma razionale. Nel silenzio lo guardai, mi guardò. Fui trapassato da parte a parte da quello sguardo buono ma assolutamente sconvolgente.
Negli incontri successivi ebbi la riconferma che Massimo vedesse oltre. Parlava della tua esistenza come si parla di un film già visto. Vedeva anche avanti nel tempo e questo, parzialmente, ti inquietava. Accennava delicatamente ai nostri errori con sottile umorismo e lasciava che tu ti correggessi in libertà. Eppure di fronte a lui potevi essere messo nella condizione di riconsiderare moralmente ogni aspetto di te stesso. La cosa era decisamente impressionante e spesso dolorosa.
Il Karma ha voluto, nei decenni successivi, che io incontrassi molti tra i governanti e gli uomini piú potenti del popolo italiano. Se fossimo stati in un’altra epoca, costoro sarebbero stati re, feudatari e capitani di ventura. Ho frequentato anche artisti rinomati, di grande fama e successo. Ebbene, nessuno di costoro ha un carisma e una forza buona e vagamente paragonabile a quella di Massimo. Perché, se devo usare una metafora , quegli uomini di potere esprimono una forza magnetica che viene dal di fuori, ma Massimo aveva un potere immenso che gli veniva dal di dentro. Ho l’intima convinzione che la portata del suo insegnamento e della sua opera travalichino di molto l’umana comprensione. Per noi, non è nemmeno immaginabile quale sia stato il suo calvario interiore. Tanti, troppi di coloro che gli sono stati geograficamente vicini non hanno compreso l’immensità della sua Pazienza. La forza di Massimo era sempre accompagnata da un’aura di moralità contagiosa che poteva anche farti ammutolire di sgomento, messo com’eri di fronte alla tua pochezza. Ma Massimo ti lasciava libero di recepire questo insegnamento, non puntava il dito contro nessuno, tutt’al piú elargiva l’amichevole appellativo di “Potentissimo amico” e lasciava alla discrezione del singolo la capacità di ravvedersi. Se poi il singolo, come spesso accadeva, in quella occasione si gonfiava d’orgoglio invece di esaminarsi nel profondo…
Egli si imponeva di non agire mai a proprio favore, sul piano pratico. Non è cosa di poco conto. Basterebbe questo elemento per distinguerlo da tutti gli altri pseudomaestri che infestano le strade dello spiritualismo contemporaneo. Aveva un rigore monacale nel non rimuovere i disagi che gli venivano incontro. L’antiutilitarismo radicale applicato a se stessi è una categoria ben poco comprensibile. Una categoria che può benissimo prendere un secondo nome, che è quello della santità. Una santità non appariscente, e per questo doppiamente vera.
Raul Lovisoni
Tratto da: L’Uomo del fiume, Piemme Editore, 2021