Fulvio Di Lieto poeta e romanziere

Letteratura

Fulvio Di Lieto poeta e romanziere

Rassegna amalfitana

 

Con il numero di ottobre, a due anni dalla scomparsa di Fulvio Di Lieto, Direttore di questa rivista per 25 anni, abbiamo voluto ricordarlo con un interessante e suggestivo articolo nato dall’abile penna del giornalista e scrittore Massimo Gambardella, suo conterraneo, pubblicato nel numero di Dicembre 2021 della «Rassegna del Centro di Cultura e Storia amalfitana», patrocinato dal Ministero della Cultura e della Regione Campania.

 

Fulvio Di Lieto

 

«Non nuocere, non turbare, dare speranza»: in un’intervista rilasciata in occasione della pubblicazione di Mater, romanzo uscito nel 2008, sono stati questi i tre consigli che Fulvio Di Lieto ha voluto offrire allo scrittore in erba. E in effetti a leggere la sua opera si ha netta la sensazione che l’Autore, anche quando la sua penna intinge nell’inchiostro della denuncia, voglia sempre e comunque indicare una via di uscita, una speranza di rinascita, di ritorno a una dimensione piú umana, meno legata al materialismo piú sfrenato e piuttosto aperta al dialogo e alla solidarietà fraterna.

 

“Orme dell’Urbe” Raccolta di articoli a firma Ovidio Tufelli

“Orme dell’Urbe” Raccolta di articoli a firma Ovidio Tufelli

 

Fulvio Di Lieto è stato uno scrittore prolifico, ha pubblicato durante la sua vita numerosi romanzi e racconti e molte raccolte di poesia, ha conseguito parecchi premi letterari, anche di prestigio, e ha ricoperto il ruolo di direttore responsabile della rivista «L’Archetipo», un mensile di ispirazione antroposofica, firmando articoli eterogenei, a volte anche con pseudonimi fantasiosi: Ovidio Tufelli (per gli interventi sulla storia di Roma, di cui fu appassionato cultore e a cui attinse in numerosi suoi lavori), Leonida I. Elliot (per i problemi sociali), Teofilo Diluvi (per gli articoli di etica), Il cronista (per i pezzi di impianto satirico), Elideo Tolliani (per Siti e miti) ed Egidio Salimbeni (con cui firmava le poesie scherzose e irriverenti). Basterebbe già solo questo per dimostrare la poliedricità dell’uomo e dello scrittore. Le testimonianze sulla sua persona raccontano del carattere moderato e della grande disponibilità all’ascolto e al dialogo, non disgiunti da una sana vena ironica, sicura traccia della sua origine campana.

 

Gli inizi della carriera di scrittore di Fulvio Di Lieto possono essere fatti risalire ai tempi scolastici. È la sorella Maria che rievoca l’episodio del premio che il piccolo Fulvio vinse nei primi anni Cinquanta, quando da studente di una sezione delle medie di Minori riuscí a conseguire un ri­conoscimento a livello nazionale con un tema sulla sua famiglia: la descrizione degli stati d’animo di un nucleo di persone profondamente provate dal dramma della guerra e dal mancato ritorno, a lungo atteso, del padre di Fulvio dal fronte russo. Quell’assenza dovette molto incidere sull’animo del ragazzo, poi uomo, che a piú riprese nelle sue opere propone la tematica del ritorno, forse una proiezione nemmeno tanto inconscia di un desiderio inappagato, rimasto costantemente a gettar germogli attraverso la sua scrittura.

 

Passo passo verso il polo

 

E questa tematica è già presente nel suo esordio da romanziere: il racconto lungo Passo passo verso il Polo Diario di Armaduk, cane da slitta (1983). Un curioso esperimento letterario che narra la storia di un cane, veramente esistito, protagonista, in un certo senso suo malgrado, di un’esperienza escursionistica al Polo Nord, accanto a un uomo dai baffi rossi (non citato, ma si tratta di Ambrogio Fogar). La vicenda, narrata dal punto di vista del cane, con tanto di mentalità e linguaggio “tipicamente” canini, termina proprio con il ritorno a casa, il suo habitat, del protagonista che in questo modo riconquista la sua patria a cui era stato sottratto. Oltre agli effetti stranianti, prodotti dalla visuale adottata nel racconto, e allo sperimentalismo linguistico ad essa collegato (l’autore all’inizio dell’opera fornisce al lettore un glossario e nelle pagine a seguire delle note per guidarlo nella comprensione della lingua del protagonista), il testo fornisce già una prima chiara traccia del pensiero di Di Lieto: la ricomposizione di equilibri violati dall’ingerenza umana, dalla volontà della nostra specie di piegare ogni cosa ai propri interessi. La fuga del­l’husky dalla prigione brianzola in cui era stato costretto dopo l’impresa artica è un grido di libertà ma al contempo un monito.

 

Mater

Mater

 

Anche in Mater, romanzo fantasy, come detto del 2008, la riflessione di Di Lieto è nuovamente centrata sul rapporto tra uomo e natura. Questa volta vittima dell’azione umana, troppo spesso incapace di presentire e prevenire le conseguenze nefaste del suo agire, è il nostro stesso pianeta. In un futuro non troppo lontano dal presente e nemmeno cosí improbabile, viste le difficoltà a tracciare seriamente una differente parabola della nostra permanenza su questa terra, l’umanità si ritrova costretta a ingrottarsi, a sprofondarsi nelle viscere rocciose del nostra navicella spaziale, per sfuggire ai danni prodotti alla superficie e all’atmosfera terrestri dalla sua scriteriata condotta. Il testo, dalla struttura narrativa molto articolata e ricca, ci immerge, è proprio il caso di dirlo, in una dimensione claustrofobica, generata non solo dall’organizzatissima ed efficiente, almeno in ap­parenza, struttura che un Gran Consiglio direttivo ha messo in piedi per far proseguire l’esperienza della nostra specie, ma anche dagli asfittici rapporti umani, stravolti dall’arida rigidità della numerazione con cui sono stabiliti i ruoli in Mater, e sconvolti dalla competizione per migliorare la propria collocazione sociale per non finire nella dimensione dei Nul, dei Senza Numero, moderna schiatta di schiavi alla mercé di tutto e di tutti. Di Lieto, in questo caso, non vuole solo lanciare un doveroso grido d’allarme per il nostro pianeta, ma intende anche denunciare i rischi di una società in cui i rapporti umani sono regolati dalla paura e da criteri alienanti, influenzati da un clima di continui sospetti e dal timore di vedersi scavalcati da arrembanti arrampicatori sociali, pronti alla delazione e alla connivenza piú servile per conservare o migliorare la propria condizione. Nulla di nuovo, si direbbe.

 

A Mater come nel Mondo di Fuori (cosí è chiamata la dimensione terrestre e solare ormai abbandonata). Ma il proposito di Di Lieto, animato sempre dal suo ottimismo non superficiale ma propositivo, è di indicare una via di uscita, la possibilità di una rinascita, di un ritorno alla vita di fuori, questa volta da condurre alla luce di un’esperienza pregressa che dovrà servire all’uomo per non cadere negli stessi errori. Un approccio ecologico che dovrà interessare anche i rapporti umani. Non marginale il fatto che tale svolta sia affidata a un protagonista, Chris Donner, che non è riuscito a rassegnarsi alla dimensione allucinata di Mater, che sogna di notte il suo vecchio mondo, che è capace di scorgere i primi inquietanti segni di una vera e propria mutazione genetica in atto che presto sconvolgerà la specie umana fino a trasformarla in qualcos’altro. E di quale strumento si serve per ridestare le coscienze? La parola, la poesia, la letteratura: la sua azione di sabotaggio del perverso meccanismo burocratico e sociale di Mater si serve di versi che parlano della bellezza naturale, di rapporti umani, di sogni. È dunque la riscoperta del ruolo del poeta, dell’intellettuale.

 

La musica dentro

 

Già nella lirica Cercasi, pubblicata nella raccolta La musica dentro (1988) il poeta polemicamente si scagliava contro gli annunci di offerte di lavoro nei quali non viene richiesta mai l’opera del vate o del poeta,

 

«…esperto in fioriture di parole,

moti di cuore, cambi di stagione,

musica delle sfere, madrigali.

Uno che sappia analizzare i tempi

aiutando il suo prossimo a contare

le ore liete, quelle da salvare

nel complesso programma della vita,

impiegando il software sentimentale

invece dell’hardware relazionale,

e al posto delle cifre metta rime.

Ma sul mercato manca la domanda,

non richiede nessuno un tale esperto.

E chi lo cerca, vuole pensionarlo».

 

Tale assenza è un male secondo l’autore, perché significa privarsi dell’apporto di chi guarda al lato umano dell’esistenza, al di là dei numeri, dell’ansia da crescita economica, della tecnica fredda e insensibile. Nell’anno in cui ricordiamo il Sommo Poeta a settecento anni dalla sua scomparsa, la figura e il pensiero di Fulvio Di Lieto si inseriscono pienamente nella stessa linea di riflessione e di azione tracciate dal padre della nostra letteratura. Il romanzo Mater, in fin dei conti, delinea una sorta di viaggio iniziatico e conoscitivo da cui il protagonista, e noi lettori con lui, trae linfa vitale per avviare un nuovo progetto umano.

 

Tanto altro ci sarebbe da dire sull’opera e sul pensiero del Nostro, sulla qualità linguistica dei testi, sul magico e il soprannaturale che tanta parte hanno nella sua opera, sul ruolo assegnato alle figure femminili da un autore che meriterebbe uno spazio piú ampio e piú illustremente delineato.

 

Terrone D.O.C.

Terrone D.O.C.

 

Per concludere questo breve ricordo, va almeno riservato un cenno a Terrone D.O.C., testo del 1986, poi ristampato nel 2012. Si tratta di un viaggio della memoria attraverso cui l’autore riannoda i fili del suo passato, della sua infanzia, della storia di un piccolo borgo del Sud e di una civiltà da difendere e far conoscere perché travolta dai cambiamenti, in particolare quelli importati nel secondo dopoguerra.

 

Ritorno a Pasidonia

 

Questi temi ritorneranno anche in un altro fortunato e riuscitissimo lavoro di Di Lieto: Ritorno a Pasidonia (di cui è fortemente consigliata la lettura). Non c’è, sia ben chiaro, nulla di bozzettistico nelle pagine dedicate alla nobilissima civiltà meridionale; anche il titolo non deve fuorviare: non si tratta di una semplicistica contrapposizione tra Nord e Sud, magari stimolata all’epoca dal sorgere di istanze autonomistiche e alimentata da una tradizionale e becera polemica tra due poli, il Nord polentone e il Sud terrone.

 

Di Lieto va oltre tale prospettiva: innanzitutto, perché le due categorie non sono applicabili solo alle due aree del nostro Paese, quella a nord del fiume Ombrone e quella a meridione. Queste due tipologie umane, infatti, si possono ritrovare a ogni latitudine: «Sono terroni tutti quei popoli e razze che in un modo o nell’altro in aree terrestri anche molto distanti tra loro e in condizioni ambientali spesso opposte, subiscono lo stesso destino dei meridionali in Italia…

 

Nord e Sud

 

Ma anche tra gli individui di queste regioni sfortunate, terremotate e ricattate, c’è una ulteriore divisione da fare. Per motivi umani e cromosomici, anche nelle zone tipicamente terrone, esistono dei microclimi sociali dove vivono polentoni e terroni locali. Sono i vasi di ferro e i vasi di coccio di memoria manzoniana» (p. 10). Ma, come si diceva, l’autore non si ferma a delineare una contrapposizione di maniera, l’intento è piú alto e lo dimostra con il titolo dell’ultimo capitolo: Conclusione e auspicio. Se è vero che con fare provocatorio delinea il sogno inconfessato dei terroni (aggiungere un articolo alla Costituzione per ufficializzare la divisione dei cittadini italiani in due categorie, nettamente distinte per attitudini, collocazione geografica, mentalità e compiti), è da no­tare che il suo intento è tuttavia quello di costruire, di gettare ponti. Non un sogno, dunque, ma un incubo quello appena delineato, perché vivere in una società con addosso appiccicata una etichetta, come accade per i vini o gli oli d’oliva, è proprio un incubo. L’uni­ca soluzione è «convivere e dimenticare le latitudini e i gonfaloni. È ora che polentoni e terroni imparino a stemperare ciascuno il proprio vino per farne uno solo: l’Italiano D.O.C.» (p. 10). L’auspicio ci riporta a quella carica di ottimismo e di costruzione di una nuova (o antica) condizione esistenziale che attraversa gli scritti di Fulvio Di Lieto.

 

Si diceva all’inizio di queste pagine di ricordo che scopo dell’autore è dare speranza. Luca Negri in un contributo in memoria ha scritto che quelli di Di Lieto «Son libri che rendono i lettori uomini migliori. Fanno star bene. Fanno bene». Al lettore attento il compito di sperimentare tale dimensione annegandosi nella scrittura di un figlio della nostra terra, capace di farsi indagatore del mondo e «de li vizi umani e del valore».

 

 

Massimo Gambardella