I secoli d'oro

Socialità

 

I secoli d'oro

 

Ricevo da una gentile signora, che segue da anni la Scienza dello Spirito, una lettera piena di dolore per i tempi attuali e di rimpianto per i secoli scorsi, da lei definiti “i secoli d’oro”, in confronto all’attuale “secolo buio” esecrato in ogni sua forma. A supporto delle sue nostalgiche sensazioni cita un magico film di Woody Allen, “Midnight in Paris”, che illustra con rara maestria l’attrattiva che il passato esercita su persone di grande sensibilità.

 

Da parte mia, al contrario della gentile amica, ho avuto fin dall’infanzia una “nostalgia del futuro” piuttosto che del passato, di secoli a venire che ho sempre immaginato veramente d’oro, e per i quali credo che si debba lavorare dentro e intorno a noi.

 

Le mie ottanta primavere mi permettono di ricordare bene un tipo di vita che differiva molto dall’attuale. Non posso tornare indietro personalmente oltre la mia età anagrafica, ma la mia nonna materna mi raccontava con dovizia di particolari i suoi tempi e quelli di sua madre e di sua nonna, quindi riesco con l’immaginazione a risalire alquanto indietro nel tempo, non solo per le opere letterarie o artistiche che ce le descrivono, ma per la vita di tutti i giorni dei racconti famigliari.

 

carretto

 

Parliamo ad esempio degli insetti. Un problema che ha assillato l’uomo dai primordi è quello dei fastidiosi piccoli abitanti del pianeta, che invadevano allora in maniera massiccia l’ambiente in cui si viveva. Le mosche erano ovunque, nelle città, nei paesi e nelle campagne: si poggiavano su tutto, in particolare sugli escrementi degli animali, che abbondavano sulle strade, dato che cavalli, muli e asini erano il mezzo di trasporto piú usato nei brevi tragitti, anche in città, non solo per le eleganti “carrozzelle”, ma anche per i carri che arrivavano dalla campagna carichi di derrate alimentari. Ed era ritenuto normale e sopportabile che le mosche da quegli escrementi si posassero direttamente sul cibo. Nelle case erano all’or­dine del giorno invasioni di formiche e di scarafaggi, e solo dopo la guerra arrivò il DDT, che si spruzzava con una pompetta irrorando la casa con un odore pestilenziale che si inalava tranquillamente, perché considerato “disinfettante”.

 

E poi c’erano gli insetti che gradivano il sangue delle persone, come i pidocchi, le pulci, le zecche, le cimici dei letti, che s’infilavano nelle reti e nelle cuciture dei materassi. Io potevo reputarmi fortunata, perché mia madre era un’igienista e la casa era pulitissima, e anche negli anni di collegio le suore avevano tanti difetti ma almeno curavano la pulizia in maniera scrupolosa. Però c’era la villeggiatura, che poteva diventare un vero incubo. Un anno andammo “ai Castelli Romani”, con zii e cuginetti, per “vivere in natura”. Ma lí le abitudini di vita erano ancora primordiali. Mentre in città avevamo l’acqua corrente dai rubinetti e il gas in cucina, in quelle case prese in affitto non c’era l’acqua, che si doveva andare a prendere alla fontana con la conca di rame, e noi piccoli eravamo soprattutto dedicati a questo avanti e indietro, con le conche piú piccole, “da bambini”, per non portare troppo peso. Intanto le donne di casa accendevano il fuoco, che doveva essere sempre avvivato con la ventola, e i cibi, date le mani inesperte delle cittadine, come mia madre e le zie, risultavano spesso bruciati o malcotti. E poi la casa era invasa da insetti d’ogni genere, volanti o striscianti…

 

In quei paesi dove ancora la vita era rimasta ferma ai secoli che la gentile signora definisce d’oro, i genitori ci dicevano di non avvicinarci ai bambini locali, perché molti di loro avevano vistosi segni di malattie dovute a mancanza di igiene, come la rogna, la tigna o la scabbia. Anche gli animali erano pieni di malattie e presentavano piaghe purulente, dovute anche alle battiture a sangue che i contadini infliggevano con assoluta insensibilità per spronarli a camminare piú velocemente o a portare pesi esagerati per la loro struttura fisica.

 

Per gli animali non c’era pietà. Quelli addomesticabili venivano utilizzati per servire l’uomo, che era “il padrone”. Equini, bovini, ovini o suini, tutti dovevano servire a qualcosa, ed erano sfruttati fino all’ultimo. I cani incaricati di fare la guardia erano spesso tenuti a catena per tutta la loro vita e il magro pasto era qualche avanzo e un osso, regalato dal macellaio, buttato per terra dopo essere servito per fare il brodo. I gatti servivano per prendere i topi, che abbondavano ovunque. Roma era piena di gatti, unico sistema per tenere a bada i grandi ratti che a milioni riempivano le fogne e da lí tentavano rapide sortite, subito intercettate dai robusti felini, soprattutto i cosiddetti “sorciaroli”, una razza di certosino a pelo grigio e lucente che era stata all’uopo selezionata, nei secoli, dai frati dei conventi.

 

E pietà non c’era, soprattutto nelle classi piú popolari ma un po’ a tutti i livelli, per i figli. Venivano puniti per qualsiasi mancanza o inadeguatezza, spesso dovuta all’imperizia causata dall’età. Oltre a castighi umilianti o costrittivi, c’erano le punizioni corporali, spesso pesanti, inflitte non solo a mani nude ma con il bastone o la cinghia dei pantaloni dal padre, e con la scopa o il battipanni dalla madre. I bambini venivano terrorizzati sin dalla prima infanzia con “l’uomo nero” che sarebbe, si diceva, venuto a prenderli se disobbedivano, o con racconti di fantasmi e di demoni pronti a carpirli, o di abbandoni nel bosco.

 

Famiglie numerose

 

Il lavoro minorile nelle classi piú povere era scontato e del tutto naturale. Servivano braccia, e i figli erano sempre troppi per essere sfamati senza che si rendessero utili. E troppi erano, in effetti, perché non si dovevano usare sistemi contraccettivi, per cui le donne sfornavano figli a ripetizione, soggiogate dalla prescrizione religiosa del “crescete e moltiplicatevi”. Si diceva normalmente: quella donna ha avuto quindici figli di cui otto viventi. Gli altri erano morti per malattie di ogni tipo, che colpivano in particolare l’infanzia, come il tifo, sempre per mancanza di igiene, o per denutrizione, o per eccessivo lavoro in tenera età.

 

Le malattie colpivano tutti, grandi e piccoli, e pochi erano i rimedi veramente validi. Fino al­l’arrivo della penicillina, dopo la guerra, la tubercolosi falciava particolarmente i giovani. Si curava con i cataplasmi sul petto, chi poteva si trasferiva in montagna, nei sanatori. Con l’aria gelida si cercava di avere la meglio sul bacillo di Koch che aveva infettato i polmoni. Alcuni riuscivano a guarire, ma per i piú non c’era speranza.

 

I dolori allo stomaco provocati dall’ulcera gastrica si portavano avanti per tutta la vita, contrastandoli con alimenti “in bianco”, riso all’olio, purè, mele cotte… ma il male restava, l’helicobacter continuava a corrodere le pareti dello stomaco e nessun antibiotico c’era allora a fermarlo.

 

Malattie di tipo sessuale, come la sifilide, mietevano vittime e si trasmettevano alle generazioni future. I rapporti non protetti, in particolare quelli effettuati in case di tolleranza, non sempre controllate, generavano la gonorrea, l’herpes genitale o il condiloma.

 

Malattie della mente, spesso dovute a situazioni di vita esasperanti, facevano finire i “dementi” in manicomi-lager, e nessuna legge Basaglia si era ancora affacciata a salvare le vittime da quanto avrebbero subíto in nome della scienza, legati ai letti in enormi e fetide camerate gelide d’inverno e afose d’estate, docce fredde e sadiche sperimentazioni impossibili da descrivere.

 

I denti cadevano presto, anche per mancanza di igiene dentale, e si vedevano persone di quaranta o cinquant’anni, con difficoltà a mangiare e persino a parlare, che considerandosi ormai vecchie finivano per trascurarsi del tutto.

 

Una trattazione a parte meriterebbero le condizioni disumane delle prigioni, con il sovraffollamento, la promiscuità e l’umiliante bugliolo per i bisogni corporali. Piú che luoghi correzionali erano lager in cui si esercitava il sadismo dei carcerieri. Servivano, quando si sopravviveva, da scuola di delinquenza utile a imparare come cavarsela quando se ne usciva con il marchio d’infamia della “fedina penale sporca”, che non avrebbe piú permesso di inserirsi nel contesto sociale con un lavoro onesto.

 

vespasiano Roma

 

E dato che abbiamo parlato di bugliolo… ci sarebbe da affrontare anche il problema dei servizi igienici in generale. Quando si trovavano, nei locali pubblici che per legge dovevano esserne forniti, erano impraticabili per sporcizia e incuria sia da parte dei proprietari che degli avventori. Nonostante i cosiddetti “vespasiani” sorgessero un po’ ovunque in città, le incontinenze maschili marcavano tutti gli angoli dei muri, sprigionando effluvi insopportabili. Nelle case non tutti avevano i gabinetti, non tanto nelle città quanto nei piccoli paesi, e questo fino agli anni Cinquanta o Sessanta del secolo scorso. Si andava nella stalla, o nelle frasche, o sotto il fico… Sempre mia nonna, che apparteneva a una classe alta della borghesia romana, ai primi del secolo scorso abitava in un palazzo di Via Napoleone III, un caseggiato imponente. Il bagno con la vasca era in casa, ma non il gabinetto: la cosa sarebbe sembrata sconveniente: era sul pianerottolo, e condiviso tra le famiglie di quel piano. Si faceva la fila, soprattutto la mattina, e ognuno, per pulizia, portava al braccio una “ciambella” di paglia su cui sedersi. E durante l’attesa si cantavano canzoncine che mia nonna mi ripeteva, alquanto imbarazzanti a ripetere, riguardanti la bellezza di quanto veniva depositato in quello stanzino. Forse ricordo atavico dei plauditores nelle latrine pubbliche dell’antica Roma…

 

Per quanto riguarda gli alimenti, non c’erano i NAS a controllarne lo stato di conservazione e i luoghi in cui il cibo era preparato. Non c’erano confezioni sotto vuoto e sterili, e quando si compravano sfusi il riso, la pasta o le lenticchie, era un lavoro escludere tutto quello che di poco gradito vi si trovava dentro.

 

Il problema delle comunicazioni nelle epoche passate è difficile da immaginare per i giovani della generazione attuale, perennemente attaccati ai loro telefonini. Gli emigranti, quelli che sapevano scrivere, inviavano dall’estero rare lettere con poche notizie, quelle essenziali. Piú indietro nel tempo, in secoli sempre “d’oro”, i viaggiatori che si apprestavano al “Grand Tour” facevano testamento prima della partenza: avrebbero potuto incontrare di tutto, dalle pestilenze ai briganti, e sarebbe stato impossibile per loro mettersi in contatto con eventuali salvatori, come le forze dell’ordine, l’eli­cottero, l’ambulanza e il GPS per far individuare la propria posizione.

 

Certo, c’erano anche gli scrittori e i poeti, che riempivano a mano migliaia di fogli di diari, lettere, romanzi, poemi. E c’erano artisti di vaglia fra musicisti, pittori, scultori, attori di teatro, danzatori, cantanti lirici, cabarettisti, e tante forme di alto artigianato che hanno reso splendidi i palazzi e le cattedrali. Ancora di piú valgono i loro risultati sapendo cosa dovevano affrontare nel quotidiano, quello che la storia non ci racconta e che impietosamente sto cercando di mettere in luce.

 

Era quindi un passato luminoso per quanto buio è il presente? È vero che vediamo tanta degradazione intorno a noi. Molti “valori” del passato sono stati perduti. Ma erano tutti veri valori? Tante certezze su cui la società era basata hanno perduto smalto e lucentezza, come ad esempio la famiglia. Le decisioni venivano il piú delle volte prese dai genitori, soprattutto dal padre, e occorreva adeguarsi, perché non c’erano alternative, ad esempio per il matrimonio nel caso delle fanciulle, con scelte spesso sgradite e che si dovevano sopportare l’intera vita, se non si voleva finire in convento. E i ragazzi dovevano sottostare ai decreti paterni per la scelta del lavoro o della professione, oppure la soluzione era il collegio militare o la carriera ecclesiastica, di alto livello per i piú dotati, anche economicamente, o per diventare frate o curato di campagna per le classi meno abbienti.

 

fiamme inferno

 

La religione basava molta della sua indiscussa autorità sulla paura dell’inferno, che veniva instillata sin dalla prima infanzia, con descrizioni orripilanti di quello smisurato braciere dalle fiamme altissime in cui gli empi sarebbero rimasti a bruciare per l’eternità. A meno che non si confessassero e ricevessero il perdono sacramentale, che cancellava ogni malefatta. E cosí le ripetute confessioni rendevano edotta la Curia di tutti i segreti che servivano per dirigere con acume il gregge dei devoti, prevenirne le mosse e indirizzarne gli scopi. Al termine della vita arrivava la confessione finale, che in punto di morte, unita al sacramento dell’estrema unzione, rendeva sicuro il moribondo, anche se aveva condotto una vita dissoluta, non solo di evitare l’in­ferno, ma di entrare in paradiso senza dover subire neppure il lavacro del purgatorio. Questo conferiva naturalmente ai sacerdoti un potere immenso, di cui quelli si servivano abbondantemente, in particolare con i potenti, che elargivano beni e ricchezze in cambio di una indulgenza plenaria, che si riteneva portasse direttamente agli scranni piú alti dell’empireo, attorniati dal melodioso coro degli angeli.

 

Naturalmente ci sono stati anche grandi santi o preti sconosciuti che hanno fatto del bene, hanno aiutato e guidato con generosità, onestà e dedizione le pecorelle che a loro si affidavano. I tempi sono cambiati, e il compito attuale della religione sembra essersi spostato dall’àmbito spirituale a quello sociale. Le mense per i poveri gestite dagli ordini religiosi svolgono un compito indispensabile per il sostentamento dei bisognosi. Organizzazioni come la Caritas offrono un ricovero e pasti quotidiani a chi non è in grado di procurarseli.

 

Oggi l’igiene e la pulizia sono perseguite da un sempre maggior numero di persone, a qualsiasi livello economico appartengano. Nei locali pubblici delle città, dei paesi o delle stazioni di servizio lungo le autostrade, troviamo WC puliti e igienizzati. I frequenti “incontri ravvicinati” con docce rinvigorenti e con bagni rilassanti sono diventati un’abitudine dei piú, l’uso dei deodoranti è di consolazione quando siamo a stretto contatto con altri, in particolare nella stagione estiva.

 

Amore per animali

 

Si è sviluppato in larga parte della popolazione un grande amore per gli animali, che vengono accuditi come membri della famiglia, nutriti, curati e vezzeggiati. Molti, proprio per la grande sensibilità acquisita verso queste creature, sono diventati vegetariani. Controlli negli allevamenti hanno variato sistemi che fino a pochi anni fa erano ancora eccessivamente intensivi, e molto in questo ancora si dovrà fare. Si è iniziato a capire che i regni minerale, vegetale, animale e umano sono un aspetto diverso ma intimamente connesso e interdipendente: se sta bene la natura sta bene anche l’umanità.

 

Abbiamo iniziato un cambiamento radicale di cui non tutti si sono resi conto. Molti si lasciano trascinare dalla novità, esagerando. Andiamo verso l’epoca dell’autocoscienza, verso l’acquisizione di una vera libertà, come non l’abbiamo mai conosciuta nei “secoli d’oro”. E questo all’inizio può portare all’arbitrio, all’abuso in ogni campo, a un atteggiamento di eccessivo permissivismo sul piano sociale oltre che morale.

 

I figli sono stati per secoli, forse addirittura per millenni, trattati con il massimo dell’autorità, ritenuti come “cosa propria” di cui disporre, incapaci di avere idee personali. All’epoca della mia infanzia i piccoli non potevano “mettere bocca” nei discorsi dei grandi. Se qualche volta tentavo di farlo, venivo subito redarguita con le parole, che risuonavano invariabilmente: «Zitta tu che sei piccola e non puoi capire!». Noi non capivamo, questo era deciso e assodato, e forse in molti casi poteva anche essere vero, ma un tale atteggiamento di chiusura totale ad ogni tentativo per i bambini di esprimere una propria opinione, faceva sí che finissero per credersi del tutto incapaci perfino di pensare.

 

Bambini tiranni

 

Oggi accade l’esatto contrario: i figli dettano legge sui genitori, che li assecondano in tutto. Se hanno problemi a scuola vengono accusati il maestro, il professore, il compagno di banco, il preside o lo psicologo. L’educazione costrittiva è ormai del tutto ignorata, tutto è permesso, persino incoraggiato. Si tratta di una esagerazione per eccessiva considerazione del pargolo, ma con un aggiustamento, che sicuramente verrà, si troverà il giusto equilibrio.

 

Famiglia allargata

 

Il matrimonio, in passato sacro e inviolabile, che costringeva in alcuni casi a una convivenza mal sopportata e indesiderata, ora si scioglie con grande facilità, spesso per motivi futili, per insofferenze o insoddisfazioni che potrebbero essere sanate con maggiore pazienza e adattabilità. Si scompagina il nucleo famigliare, se ne formano altri “allargati” in cui spesso si ricreano le stesse insofferenze e insoddisfazioni. Si esagera per eccesso di desiderio di libertà, ma con un aggiustamento, che sicuramente verrà, si troverà il giusto equilibrio.

 

L’autorità del capufficio, del direttore, del capo d’azienda, del capofficina, del “padrone”, era temuta e subita senza discutere. Ora anche questa si mette in dubbio, si discute e spesso si rischia di perdere il lavoro per voler esprimere a tutti i costi il proprio punto di vista, che magari è molto piú pratico di quello imposto. Si esagera forse, ma con un aggiustamento, che sicuramente verrà, si troverà il giusto equilibrio.

 

Potremmo continuare a fare esempi in ogni campo: quello medico, scientifico, sociale, artistico o religioso. Il risultato sarebbe sempre lo stesso: occorre un aggiustamento, un riequilibrio. Che verrà. Dobbiamo esserne sicuri, perché la civiltà avanza, la presa di coscienza aumenta giorno per giorno, per molti inavvertitamente, per alcuni con una rassicurante consapevolezza. Arriveranno i veri secoli d’oro, quelli della conquista dell’autocoscienza, della vera libertà.

 

Un giorno fu chiesto a Massimo Scaligero in una delle domande scritte che gli venivano poste nelle riunioni: «Che significa essere liberi anche dalla libertà?». La frase che piú mi ha colpito nella sua articolata risposta è stata: «L’arte di avere la libertà è di possederla, cosí da poterla offrire al Mondo spirituale».

 

 

Marina Sagramora