Un secondo livello dell’esperienza del mondo può essere definito il livello dell’esperienza estetica, indipendentemente dal fatto che si verifichi nella creazione artistica o nella percezione e visione artistica. Come si vive l’esperienza estetica? Se si vuole dare una conoscenza superficiale, bisogna allora dire: la sensibilità estetica è innanzitutto una esperienza interiore rispetto alla semplice esperienza dei sensi. Quando si percepiscono la luce e i colori, ci si immerge nella luce e nei colori attraverso l’occhio; quando si percepiscono i suoni, ci si immerge nel mondo dei suoni attraverso l’orecchio; ci si abbandona, diciamo parzialmente, al mondo esterno e si sta dentro al mondo con una parte del proprio essere. Ma chiunque abbia pensato alla creazione o alla percezione artistica, alla contemplazione artistica e al sentimento estetico, sa che il sentimento estetico è, prima di tutto, essenzialmente piú interiore della semplice percezione dei sensi e, in secondo luogo, piú completo, in quanto nasce dalla unicità della natura umana. Pertanto, per la sensazione estetica non è sufficiente vedere una somma di colori o sentire una somma di suoni; all’esperienza estetica si deve aggiungere l’entusiasmo, la gioia interiore.
Quando mi limito a percepire, recepisco i colori e cerco di ottenere un’immagine della cosa trasmessa dai sensi; quando guardo esteticamente, tutta la mia personalità vive con essa. Ciò che mi colpisce in un quadro dal contenuto artistico, mi coinvolge completamente: gioia, simpatia o antipatia, piacere, esaltazione mi pervadono, mentre si impadroniscono dell’intera mia personalità. Nel corso di queste lezioni sentiremo che per un’esperienza di questo tipo che viene interiorizzata, anche se è legata alle cose del mondo esterno, alle opere d’arte o alla bella natura, è necessario un secondo organo della natura umana. Anche se tale ipotesi è malvista nella nostra vita spirituale attuale, anche se l’espressione stessa di un tale membro della natura umana è malvista, l’ipotesi sarà giustificata. Quando l’uomo affronta il mondo esterno con la sua percezione corporea e sensoriale, quando lascia che il flusso di eventi esterni venga, per cosí dire, a lui e quindi sperimenta i processi con il suo corpo fisico, sperimenta come osservatore estetico qualcosa che è molto piú interiormente connesso a lui, al suo essere: vive con quello che chiamiamo il corpo umano estetico, o l’essere umano estetico, che non è legato a un singolo organo ma permea l’intero essere umano come una unità. Nel godimento estetico, invece, l’uomo, partendo dal mondo dei sensi, si libera di questo mondo dei sensi. L’epoca di Goethe aveva un’idea di questa liberazione, di questa liberazione interiore, molto piú della nostra. Dovremo parlare molto di questi fenomeni, il nostro è il tempo del materialismo, del naturalismo. Si avverte come qualcosa di ingiustificato il fatto che nella contemplazione artistica l’uomo voglia separarsi dalla contemplazione sensibile esterna, dalla percezione dei sensi; quindi, nel naturalismo odierno si proibisce la creazione artistica che si distacca dalla contemplazione esterna, dei sensi.
L’epoca goethiana, e in particolare gli stessi Goethe e Schiller, non accettavano però come vera arte quella che è solo un’imitazione della natura, quella che ci presenta qualcosa che è già in natura, ma pretendevano che ciò che deve essere considerato arte fosse colto e trasformato interiormente dall’uomo. Quell’epoca considera però anche a un altro aspetto. Goethe lo dice, e lo dice in modo particolarmente bello mentre vaga per l’Italia, dove si è realizzato il suo sogno di studiare l’arte antica. Avendo in precedenza studiato il Dio di Spinoza con Herder e altri, scrisse a casa: «Le alte opere d’arte, come le piú alte opere della natura, sono state prodotte dagli esseri umani secondo leggi vere e naturali. Tutto ciò che è arbitrario e fantasioso crolla: là è la realtà, là è Dio». È lo stesso sentimento di quando Goethe disse: «L’arte è una manifestazione di leggi segrete della natura che non potrebbero essere rivelate senza di essa». O quando disse: «L’artista non ha a niente a che fare con l’immaginario, ma accede all’arte proprio con l’osservazione della corporeità esteriore».
Per questo Goethe e Schiller parlano di una verità nell’arte e accomunano l’esperienza dell’artista con quella del sapiente. Essi ritengono che l’artista sia distaccato dalla natura esterna, ma che in ciò che sperimenta interiormente si avvicina a ciò che governa e opera spiritualmente dietro tutti i fenomeni naturali. Per questo motivo tali persone parlano di una verità in questo sguardo estetico, in questa esperienza estetica.
Una volta Goethe, parlando di Winckelmann, un esteta che ammirava, disse anche in modo molto bello che l’arte è una continuazione e una conclusione umana della natura: «Perché, nel momento in cui l’uomo è posto in cima alla natura, si vede di nuovo come tutt’uno con la natura e, ancora una volta deve far nascere in sé un vertice. A questo si eleva, impregnandosi di tutte le perfezioni e le virtú, invocando il discernimento, l’ordine, l’armonia e il significato, per giungere infine alla realizzazione dell’opera d’arte».
Ci spingeremmo troppo lontano se ora volessi mostrare come in realtà l’uomo, pur allontanandosi dalla visione esterna della natura nella contemplazione estetica, colga interiormente una verità, e come, in effetti, per chi riesce a fare l’esperienza estetica, abbia un significato profondo dire di un quadro, un dramma, un’opera di scultura o un’opera musicale: «Questo ha una verità interiore», oppure un’altra volta: «Questo è menzognero» senza che con questo intenda dire che imita la natura. Parlare di verità artistica nell’estetica è qualcosa di profondamente radicato nella natura umana. In questo campo c’è una verità e un errore che non consistono solo nell’imitare malamente la natura esteriore.
Tuttavia, quando si progredisce nella contemplazione estetica, si esce dal regno di quella contemplazione che in senso ordinario si può chiamare reale, per entrare nel regno dell’immaginazione, in un mondo di immagini. Il mondo fantastico dell’arte, rispetto al mondo immaginativo del ricercatore spirituale, si presenta anche esternamente in modo tale che il mondo fantastico appare come una vera e propria immagine d’ombra, ma pur sempre un’immagine d’ombra. Il mondo immaginativo del ricercatore spirituale, invece, è completamente impregnato di una nuova realtà. Il mondo immaginativo dell’arte è quello che si sottrae alla percezione sensoriale immediata e, come nell’esperienza interiore, conserva ancora un legame con l’anima umana, un legame che non è però quello con il mondo dei sensi. Basta pertanto leggere alcuni spunti nelle lettere di Schiller su L’Educazione estetica dell’uomo dove l’arte è ciò che eleva l’uomo in modo libero al di sopra dell’accettazione servile delle percezioni del mondo sensoriale. L’arte è ciò che libera l’uomo dal mondo dei sensi e per la prima volta gli fa prendere coscienza di questo: fai un’esperienza anche se non lasci far fluire in te il mondo dei sensi; stai nel mondo, anche se ti liberi del mondo in cui il tuo corpo è inserito attraverso i sensi. Questo stato d’animo, che viene dato attraverso l’arte, è quello che durante il suo sviluppo dà all’uomo una sensazione del suo destino, di non essere solo nell’incantesimo nel mondo materiale. Ma in realtà è come se nell’arte la vita immaginativa si manifestasse come in un’immagine d’ombra. La vita immaginativa è piú ricca di vita della semplice vita di fantasia. Questo sarebbe il secondo stadio del culmine dello sviluppo dell’anima umana.
Il terzo stadio di questo percorso graduale può essere caratterizzato dicendo: attraverso questo terzo stadio l’uomo si interiorizza ancora di piú. Nell’arte, si è spostato dall’esterno all’interno, si è liberato di quello che c’è di esterno. Ora, è concepibile che l’uomo possa trascurare completamente l’esperienza esteriore e sperimenti solo interiormente; si concentri solo su ser stesso, tanto da non impregnare, come nell’arte, come nella creazione fantastica, ciò che immagina con ciò che ha percepito, anche se cosí facendo lo libera della percezione e non lascia che nulla di ciò che ha percepito entri in lui. Allora, con la sua vita interiore completamente solitaria, completamente svuotata, si allontanerebbe ancora di piú dal mondo dei sensi, oscurando e rendendo muto intorno a sé il mondo esterno, desiderando però qualcosa nella sua anima, cosí svuotata da ogni esteriorità, dove non ci fosse piú nulla se non qualcosa d’altro entrato però in lui da tutt’altra parte. Come il mondo materiale si avvicina a noi dall’esterno quando tendiamo i nostri sensi verso di esso, cosí il mondo spirituale si avvicina a noi interiormente quando non lasciamo entrare nulla nella nostra anima nel modo descritto e restiamo in attesa in uno stato di veglia. Solo ciò che allora sperimentiamo può convincerci della nostra vera natura umana; ci mostra nella nostra piú vera indipendenza, nella nostra piú vera interiorità. E il fatto che possa entrare qualcosa che non arriva dall’esterno è dimostrato dall’esistenza delle idee religiose di tutti i tempi.
Quando nella vita normale l’uomo passa dalla percezione dei sensi alla contemplazione estetica, si muove, per cosí dire, in un fiume di oblio, di non esperienza. Nuota in questo flusso verso la sua interiorità. Quando un elemento entra nella sua interiorità da un mondo completamente diverso, allora questo è il contenuto religioso. È il contenuto attraverso il quale l’essere umano può sapere che esiste un mondo al di là del mondo dei sensi, un mondo che non può essere raggiunto attraverso alcun organo di senso esterno, che non può essere raggiunto nemmeno attraverso un’elaborazione delle impressioni sensoriali come quella che avviene attraverso l’immaginazione, ma che, escludendo ogni vita immaginativa, lascia fluire dall’invisibile in pura devozione interiore, ciò che ora sostiene e trattiene spiritualmente l’anima dall’interno, proprio come il nostro corpo è sostenuto e trattenuto dalla natura esterna e non potrebbe esistere affatto se non esistesse come parte di essa. Sentirsi parte del mondo extrasensoriale e spirituale è altrettanto naturale per l’uomo quanto lo è la percezione esterna dei colori, che, quando sono percepiti, presuppone la presenza di oggetti.
A questo punto devo richiamare l’attenzione su un aspetto molto importante. Come vedremo, ci sono stati momenti dello sviluppo umano in cui sarebbe sembrato assurdo all’uomo dire: “sento qualcosa, ma questa sensazione non è stimolata da un mondo divino-spirituale”, cosí come sembra assurdo all’uomo di oggi, quando pensa in modo sano, sentire calore allungando la mano e non dire: “c’è qualcosa che mi scalda”. Nella vita dell’anima umana, quando si prova una sensazione del genere, è altrettanto corretto dire: un mondo spirituale ci sta penetrando, cosí come è corretto, quando qualcosa brucia, mostrare un oggetto che brucia. Ecco qualcosa che ci sarà chiaro se consideriamo punti di vista che oggi non sono ancora del tutto apparsi; ma questi punti di vista vivono già in fondo ai mondi dell’anima. Grazie alla scienza naturale, si sta diffondendo sempre piú l’idea che tutto ciò che l’uomo sperimenta è solo frutto della sua immaginazione. L’ho già sottolineato. È già abbastanza comune tra gli scienziati che si occupano della natura dire: poiché di fuori ci sono solo atomi in movimento dappertutto, ciò che percepisco come colori esiste solo nel mio occhio, ciò che sento come suoni è solo nel mio orecchio. Come si può leggere e rileggere: quando percepisco un colore, le onde dell’etere oscillano all’esterno a tale e tanta velocità; là fuori c’è solo materia in movimento! È ovviamente un’incoerenza negare i colori e accettare la materia!
Ecco perché già oggi ci sono i cosiddetti filosofi dell’immanenza che affermano che tutto ciò che percepiamo è solo un mondo soggettivo. E, anche se questo è ancora nel futuro, sarebbe concepibile poter dire: che io percepisca la luce e il colore con gli occhi è certo, ma sapere qualcosa su ciò che causa la luce e il colore è impossibile; che io percepisca il suono con le orecchie è certo, ma sapere qualcosa su ciò che produce il suono è impossibile. Quello che dicono coloro che pretendono di essere eruditi in questo campo è stato detto per secoli da coloro che progrediscono nel materialismo in generale in relazione a ciò che si sperimenta interiormente. Come oggi il filosofo pieno di pregiudizi dice: il colore che percepisco ce l’ho solo nell’occhio e non so cosa lo provochi, cosí l’umanità in generale dice a se stessa: il mio sentimento ce l’ho in me, ma come sia prodotto dal mondo spirituale, su questo non si può sapere nulla. Per quanto riguarda l’esperienza interiore, da secoli, anzi da millenni, è un pregiudizio che le persone non mettano piú in relazione ciò che sperimentano con un obiettivo, che in questo caso sarebbe qualcosa di spirituale, proprio come certi filosofi non vogliono piú mettere in relazione le impressioni del mondo esterno con i processi reali della vita esterna.
Tuttavia, la vita dell’anima umana sana, come sente con le sue percezioni dei colori nel mondo materiale dei sensi, cosí sente se stessa con i suoi sentimenti nel mondo della spiritualità, nel flusso dell’esperienza spirituale. E come è assurdo per una vita sana dell’anima credere che il colore si esprima solo dall’occhio, cosí è assurdo per una vita veramente sana dell’anima affermare che il sentimento sia espresso solo dall’anima, che non sia suscitato da un mondo divino-spirituale al di fuori di noi. E questo sentimento sano dell’anima corrisponde a un terzo componente della natura umana, quello di cui mostreremo che si muove fuori dal corpo fisico durante il sonno, ma che è al suo interno durante la veglia: lo abbiamo chiamato il corpo astrale dell’uomo. Quanto al nostro corpo eterico, esso ci permette la contemplazione estetica; e se non ci si abbandona alla malsana convinzione che il suo contenuto scaturisce dal nulla, ma si sa che, quando si vive in esso, sentimenti e sensazioni nascono dal mondo spirituale, il nostro corpo astrale sperimenta se stesso in modo religioso. È per sua natura la parte del nostro essere che deve sperimentarsi religiosamente.
Non c’è da stupirsi che, direttamente dall’organizzazione umana, possa sorgere molto facilmente una negazione, un rifiuto delle verità religiose o piuttosto delle esperienze religiose. Perché la comune esperienza umana è cosí organizzata che questo corpo astrale, quando emerge dal corpo fisico nel sonno, diventa inconsapevole e quindi non fa esperienze di per sé, ma ne fa di nuovo solo quando si immerge nel corpo fisico, quando percepisce attraverso gli organi fisici. Quindi, è solo nella vita fisica che le esperienze del corpo astrale possono emergere come da un sottosuolo oscuro e sconosciuto. Cosí, nella vita ordinaria dell’uomo, che si svolge nel mondo dei sensi in uno stato di veglia, le esperienze religiose appaiono come se emergessero da sotterranei oscuri e sconosciuti. Ma allora, se il ricercatore spirituale riesce a lavorare con l’anima in modo tale che questa sperimenti se stessa in modo cosciente, sveglio, indipendentemente dal corpo fisico, con ciò che nella vita normale rimane inconscio durante il sonno, allora nell’essere umano sano, preparato dalla ricerca spirituale, quest’anima vive in ciò che risplende come contenuto religioso, come esperienza religiosa, come se provenisse dal sottosuolo oscuro e sconosciuto dell’anima. Le esperienze religiose sono quindi giustificate nella ricerca spirituale. Ciò che allora rimane sconosciuto all’uomo quando ritorna durante lo stato di sonno nel seno della vita spirituale e ciò che sperimenterebbe se lo venisse a sapere durante il sonno, emerge, stimolato dalla vita esteriore, nel sentimento religioso.
Tuttavia, nella ricerca spirituale emerge nella sua chiarezza, come contemplazione diretta, ciò che suscita questo sentimento religioso nella terra dell’ignoto. Pertanto, ciò che può essere sentimento religioso nella vita quotidiana diventa percezione spirituale nella conoscenza scientifico-spirituale. Oltre al mondo dei sensi, in cui viviamo con il nostro corpo fisico, viviamo anche nel mondo dello Spirito. Questo mondo spirituale rimane inizialmente invisibile all’organizzazione umana esteriore. Ma l’uomo vive comunque in questo mondo spirituale interiore, e sarebbe assurdo credere che esista solo ciò che l’uomo può vedere nella vita fisica. Quando una persona è in grado di vivere la sua vita animica in modo tale da poter vedere le cose spirituali che la circondano, allora vede gli esseri e i processi stessi del mondo spirituale, che altrimenti stimolano solo ciò che sorge come vita religiosa da profondità sconosciute. Nella sua esperienza spirituale il ricercatore dello Spirito raggiunge la percezione di quegli esseri e processi dello spirituale che altrimenti rimangono sconosciuti alla vita religiosa, ma che devono inviarle i loro impulsi e permeare l’essere umano con il sentimento della sua connessione con il mondo spirituale. Ma vediamo anche come dobbiamo entrare nella nostra natura umana con la vita religiosa, se la consideriamo secondo la sua essenza. Entriamo, per cosí dire, nel soggettivo della natura umana.
Ma se teniamo conto di questo, ci appare anche chiaro, dal momento che il soggettivo è molto piú multiforme del fisico esteriore, come ciò che vive nel mondo spirituale dipenda dalla natura soggettiva dell’uomo in misura maggiore di quanto la realtà fisica esteriore dipenda dalla natura esteriore dell’uomo. Certo sappiamo che la nostra visione del mondo cambia quando i nostri occhi vedono meglio o peggio; sappiamo che, per esempio, esiste anche il daltonismo, ma generalmente, per tutti gli esseri umani la natura fisica esteriore è molto piú simile rispetto a quella individuale interiore. Pertanto, ciò che diventa percepibile interiormente sarà molto piú graduale e, se si riesce a vedere attraverso le cose, non potrà naturalmente apparire come una confessione religiosa diffusa su tutta la Terra. Il mondo spirituale, che è naturalmente uguale dappertutto, apparirà in modo tale da colorarsi secondo le disposizioni, secondo le caratteristiche particolari dell’organizzazione umana. Le persone si differenziano nelle loro confessioni particolarmente a seconda delle differenze di clima, razza e altri fattori.
Cosí vediamo apparire le varie religioni in tutto il mondo e, attraverso lo sviluppo storico, differenziate in base alle diverse specificità della vita dell’anima. Se quindi consideriamo i credi religiosi come sfumature della natura umana ma aventi radici nello stesso mondo spirituale in cui tutti gli uomini sono ancorati con il loro Spirito astrale, non abbiamo il diritto di attribuire la “verità” a una sola religione, ma dobbiamo dire: queste diverse religioni sono ciò che può sorgere nell’anima umana come da un sotterraneo sconosciuto, come se provenisse da una particolare manifestazione del mondo spirituale attraverso il corpo astrale umano.
Troviamo adesso che il ricercatore spirituale si eleva al punto di arrivo del percorso di sviluppo dell’anima umana che rappresenta il quarto stadio, quello in cui subentra l’Intuizione. In questa fase si verifica per la prima volta l’effettiva esperienza della piena interiorità umana, ma in modo tale che l’essere umano, con la sua interiorità, è ora realmente al di fuori dei sensi fisici e vive realmente nel mondo spirituale. Lí egli sperimenta l’unico mondo spirituale, indipendentemente dalla sua organizzazione come individuo umano sulla Terra. Il fatto che siamo questa o quella particolare persona, con sentimenti e sensazioni di tale o talaltra sfumatura, deriva dal fatto che l’anima-spirituale convive con il fisico. Questo fatto individualizza ciò che siamo. Come ricercatori spirituali, tuttavia, diventiamo indipendenti dalla fisicità. Se percepiamo completamente al di fuori del fisico-corporeo, allora percepiamo lo Spirito unificato, nel quale l’uomo si trova comunque ogni notte quando sprofonda nel sonno, ma inconsapevolmente. Allora sperimenta le entità e i processi spirituali che inviano i loro impulsi nel corpo astrale umano, ma che possono essere sperimentati nella loro vera essenza solo quando l’Io, il sé dell’essere umano, è diventato completamente indipendente. Allora si sperimenta ciò che le persone che hanno cercato di penetrare in queste profondità dell’essere umano hanno splendidamente descritto dal loro punto di vista come la cosa piú elevata dell’esperienza umana.
Come, ad esempio, Goethe nel suo meraviglioso poema “I Segreti”, dove le varie esperienze che l’uomo può fare con le religioni sparse per il globo ci vengono presentate sotto forma di dodici persone, riunite in un edificio quasi monastico per sperimentare insieme, alternativamente, ciò che hanno portato con sé dalle piú diverse regioni della Terra, dai vari climi, dalle varie razze e dalle varie epoche come i singoli credi religiosi, e che ora vogliono lasciare che abbia effetto sull’uno e sull’altro. Questo avviene sotto la guida di un tredicesimo uomo che ci mostra come ciò che i Dodici ci presentano come varie confessioni religiose sia basato su una unità spirituale. Questo è rappresentato in modo meraviglioso da Goethe come uno stupendo organismo che si riversa sulla Terra nelle confessioni religiose, che si differenziano a seconda delle razze e delle epoche e come, con l’ascesa al mondo spirituale vero e proprio, ciò che vive e si trasforma nelle singole confessioni religiose si veda in un grande insieme coerente. In questo modo anticipa, per cosí dire, ciò che si vuole ottenere proprio attraverso la Scienza dello Spirito in relazione alle confessioni religiose: che esse vengano riconosciute nella loro intima essenza, nella loro intima verità. Perché la Scienza dello Spirito sperimenta lo spirituale in modo immediato direttamente nello Spirito.
Se, ad esempio, si volesse parlare del cristianesimo dal punto di vista della Scienza dello Spirito, si dovrebbe mostrare come, tramite essa, ciò che costituisce il contenuto della confessione del cristianesimo è riconosciuto dal mondo spirituale e potrebbe perfino essere riconosciuto anche se, ipoteticamente, non esistesse alcuna tradizione, alcun documento. Supponiamo per un momento che tutto ciò che è contenuto nei documenti evangelici non esistesse, perché il ricercatore scientifico-spirituale si pone prima di tutto al di fuori di tutti questi documenti; se osservasse il corso della storia in campo spirituale, percepirebbe come l’umanità, dai tempi primordiali fino a un punto del periodo greco-romano, abbia attraversato uno sviluppo discendente delle esperienze interiori e come sia dovuta giungere a uno sviluppo ascendente con un impulso, che chiamiamo impulso cristico, che si è inserito nello sviluppo dell’umanità; questo impulso è unico, come può essere solo unico il centro di gravità di una coppia di piatti della bilancia. Tutta la funzione e il ruolo del Cristo nel mondo deriverebbero dalla conoscenza spirituale. Allora, avvicinandosi ai documenti evangelici con tale conoscenza, vi si troverebbero non solo questi o quei detti su come l’Essere Cristo sia emerso da abissi indefiniti e si sia inserito nello sviluppo dell’umanità, ma anche come Egli possa essere riconosciuto se nella ricerca scientifico-spirituale si supera l’Ispirazione per arrivare all’Intuizione. Davanti alla visione scientifico-spirituale, quando questa si eleva e diventa Intuizione, l’intera vita religiosa diventa visibile da una fonte unica.
Cosí, al culmine dello sviluppo dell’anima umana in cui si esprime la totalità della natura umana, emerge che l’intuizione è vita nell’Io, come la vita religiosa è vita nel corpo astrale, come la contemplazione artistica è vita nel corpo eterico e come la percezione dei sensi è vita nel corpo fisico. E se è vero che questo punto culminante esprime la natura umana, è altrettanto vero che appartiene all’intera vita umana il fatto che l’uomo realizzi una vita religiosa; e se è vero che esiste questo punto focale, questo quadruplo dispiegamento umano dell’anima, è altrettanto vero che l’esperienza scientifico-spirituale raggiunge direttamente la visione di ciò che viene sperimentato nella vita religiosa da profondità sconosciute. Perciò, per una valutazione imparziale, la Scienza dello Spirito non può essere nemica di nessuna confessione religiosa; perché mostra con precisione la fonte di base, la natura di base delle confessioni religiose e mostra anche come queste confessioni scaturiscano tutte da un fondamento spirituale mondiale unico, anche se bisogna sottolineare ancora una volta che questa visione, cosí come è stata sviluppata, è lontana mille miglia da quelle astrazioni e dilettantismi che parlano di “uguaglianza di tutte le religioni” e di uguale valore di tutte le confessioni religiose. Perché queste, per quanto riguarda la loro logica, non si reggono su nessun altro punto di vista che quello di voler sempre sottolineare: la lumaca è un animale e anche il cervo è lo stesso un animale e quello che è “lo stesso” va sempre cercato ovunque. Naturalmente, è solo dilettantismo filosofico della religione parlare di un’astratta uguaglianza di tutte le religioni, perché il mondo è in evoluzione. E chi si sofferma davvero su questo sviluppo, guardandolo dal mondo spirituale, vede anche come le singole confessioni religiose, nelle loro varie manifestazioni, tendano a quello che si rivela come una presa di coscienza religiosa di tutte le confessioni religiose del cristianesimo.
Una cosa, però, va detta se si vuole avere una certa esaustività nella presentazione del rapporto dell’uomo con le confessioni religiose. Quando affrontiamo il mondo esterno, lo affrontiamo con la nostra corporeità. Come esseri umani possiamo solo prendere parte in modo piuttosto indiretto alla relazione della corporeità con l’intero mondo esterno fisico-materiale. Il rapporto del nostro corpo con l’intero cosmo è regolato senza che noi lo sperimentiamo pienamente in noi stessi. E quando questo rapporto diventa sregolato, quanto può fare l’uomo per riportarlo alla regolarità mediante rimedi e simili? Quanto c’è nel rapporto dell’uomo con il mondo cosmico esterno, che i sensi possono trasmetterci, di cui l’uomo non è direttamente partecipe? Ma nel momento in cui l’uomo inizia a collocarsi con il suo essere interiore nel cosmo spirituale, tutto in lui sperimenterà ciò che pulsa in lui da questo cosmo spirituale. Per questo, le esperienze interiori si affermano immediatamente quando l’essere umano diventa consapevole della sua relazione con il cosmo spirituale. Si sente portato, appoggiato, sostenuto da questo cosmo spirituale e sente la sua relazione con esso in modo tale da dire a se stesso: «Eccomi qui, dentro il cosmo spirituale, voglio sentire questo mio stato nella mia coscienza!». La vita religiosa diventa cosí una esperienza interiore in un senso completamente diverso dalla esperienza esteriore del cosmo materiale attraverso il corpo fisico. Il destino interiore diventa esperienza religiosa. Ciò che si sperimenta si esprime nella venerazione, nell’adorazione, nel sentire che la vita spirituale arriva come una grazia. Ciò fa sí che questa vita religiosa si esprima prevalentemente nel modo di sentire e dell’uomo.
Ecco il motivo per cui si può dire: la confessione religiosa è anzitutto radicata nel sentimento. Ma bisogna prima rendersi conto del motivo per cui essa vive nel sentimento tramite la sua natura. Dalla Scienza dello Spirito viene poi rivelato ciò che si sente, ciò che c’è nei processi e nelle entità spirituali per essere percepito, per stimolare i sentimenti. Pertanto, entrando religiosamente nella vita spirituale, entriamo naturalmente nella vita emotiva dell’uomo, entriamo nella regione in cui l’uomo cerca le sue speranze relative alla sua umanità, in cui cerca la forza per essere pienamente inserito nel mondo, per stare saldamente nel mondo. Entrare nel mondo spirituale per la via della religione non è quindi altro che raggiungerlo per la via del sentimento. Questo sarà particolarmente evidente per chi avrà imparato a riconoscere quanto sia necessario che l’uomo, pur elevandosi nella scienza spirituale alla conoscenza, a una conoscenza valida per tutti, debba comunque, come preparazione all’esperienza spirituale oggettiva, passare attraverso la sua vita emotiva, attraverso la vita emotiva soggettiva che deve attraversare con tutte le sue gioie e sofferenze, le sue delusioni e speranze, le sue paure e ansie.
Credo che forse qualcuno potrebbe dire che nelle mie spiegazioni mancava proprio quell’elemento di sentimento che rende la confessione religiosa cosí calorosa e cosí interiormente appagante per l’anima umana. Chiunque, tuttavia, prenda in considerazione l’intero atteggiamento che è necessariamente prodotto dalla scienza spirituale, capirà che lo scienziato spirituale si limita a presentare le cose e lascia che il sentimento si esprima da solo sulle cose stesse. Si sentirebbe disonesto se catturasse la sensazione per mezzo delle sue parole, come se fossero una suggestione. Ogni anima deve sentirsi libera. La Scienza dello Spirito deve presentare le cose come emergono dalla ricerca spirituale.
In che misura, dunque, la scienza dello spirito possa illustrare e far luce sulle basi stesse delle confessioni religiose dovrebbe essere discussa oggi a partire dalla quadripartita natura dell’uomo e dalle fasi salienti del percorso dell’anima umana. La confessione religiosa è radicata nella natura umana. La vera scienza, che si eleva fino al mondo spirituale, soprattutto se si tratta di scienza spirituale, non potrà mai essere una nemica, della vera, autentica esperienza religiosa necessaria all’uomo. Attraverso varie spiegazioni nelle lezioni seguenti ci diventerà chiaro che, in fondo, l’uomo sperimenta tutto ciò che si verifica per lui spiritualmente nello stesso modo in cui la ricerca spirituale sperimenta con i suoi metodi; quando sono considerati i singoli risultati previsti della Scienza dello Spirito si vedrà in particolare come sono infondate le obiezioni mosse contro di essa sia dal lato scientifico che da quello di alcune confessioni religiose. Ma oggi volevo mostrare, non polemizzando su una singola confessione religiosa, come le confessioni religiose si posizionano in relazione alla pienezza, all’interezza della natura umana. Anche in questo modo ci sentiamo di essere in armonia con la Scienza dello Spirito e con tutte quelle anime umane che, nel corso della evoluzione del genere umano, hanno esposto le loro convinzioni, presagendo la Verità cosí come essa si rivela nella scienza spirituale. Che Goethe sia ricordato ancora una volta; oggi si può farlo come l’ho fatto nella mia conferenza “Teosofia e Antisofia”. Anche se, in senso scientifico, la Scienza dello Spirito non esisteva ancora all’epoca di Goethe, tutto il suo stato d’animo era comunque quello di un ricercatore spirituale, di un teosofo e ciò che scaturiva da questo suo stato d’animo era pensato e sentito alla stregua di un ricercatore spirituale. Egli riteneva quindi che la scienza che approfondisce veramente le cose deve trovare lo spirituale e quindi non può essere estranea alla religione.
Per questo anche Goethe riteneva che, sebbene nell’arte l’uomo si libera certo della natura esterna, non si distacca però da ciò che in quanto essenza spirituale sta alla base della natura. Chi sperimenta i fenomeni del mondo con la scienza e con l’arte – Goethe ne era convinto – li sperimenta allo stesso modo della persona religiosa che sente il suo essere interiore aver radici nel mondo spirituale. Goethe riteneva che chi possiede la scienza e l’arte non può quindi essere irreligioso. Se ci si pone di fronte al mondo con la vera scienza, si impara a riconoscerlo in modo puramente spirituale e quindi non ci si può sentire estromessi, ma solo inseriti in esso; se si trova il vero attraverso l’arte, allora l’anima, sperimentando questo come vero, deve anche diventare gradualmente devota, cioè vivere religiosamente ciò che sta alla base del mondo in quanto spirituale. Pertanto, riguardo a quella parte della vita esteriore in cui, per colui che comprende veramente le cose, era anche chiaro che il divino può essere percepito direttamente, Kant ha anche presupposto che il cosiddetto “imperativo categorico” fosse necessario alla vita morale dell’uomo: se l’imperativo categorico può risuonare nell’anima, allora il dovere può inserirsi nella vita umana. È come se questo imperativo parlasse all’anima da un mondo in cui l’essere umano non è inserito. Goethe non la pensava cosí. Piuttosto, conveniva sul fatto che chi sperimenta il dovere, sperimenta anche Dio, che si manifesta nell’anima attraverso il dovere. Il punto di vista di Goethe era che nella vita morale, compiendo il proprio dovere, si fa direttamente l’esperienza di Dio. Per lui la morale è l’esperienza diretta del divino nel mondo. Ma se nella morale si può sentire Dio che vibra nell’anima, allora non si è lontani dal punto in cui lo si può sperimentare in altre regioni. Sperimentare direttamente il divino era ancora per Kant un’audace “avventura della ragione”. Ma Goethe gli rispose: «Se nella sfera morale, con la fede in Dio, la virtú e l’immortalità, dobbiamo elevarci fino a una regione superiore e avvicinarci all’essere primordiale, può darsi che sia lo stesso a livello intellettuale. Osservando una natura sempre creatrice, ci rendiamo degni di partecipare spiritualmente alle sue creazioni. Dopo tutto, se, inconsciamente e per un impulso interiore, mi ero prima spinto senza sosta verso quella particolare realtà archetipica, se ero persino riuscito a costruirmi una rappresentazione conforme alla natura, allora nulla poteva impedirmi di attraversare coraggiosamente l’avventura della ragione, come la chiama lo stesso vecchio di Königsberg». Kant definiva sempre “avventura della ragione” l’esperienza diretta di un mondo spirituale. Goethe è dunque già al punto di voler affrontare coraggiosamente “l’avventura della ragione”. Ma è convinto che non si può entrare nel mondo spirituale in altro modo se non adorando, venerando, cioè con uno stato d’animo religioso. La religione, in quanto religione vera e autentica, apre le porte d’ingresso al mondo spirituale. Perciò Goethe intende dire: colui il quale, sia che abbia esperienza scientifica sia artistica, porta già con sé lo stato d’animo religioso, porta con sé la possibilità di sperimentare il mondo spirituale.
La Scienza dello Spirito deve quindi sentirsi in armonia con Goethe. E per riassumere quello che si può chiamare il “credo scientifico-spirituale”, possiamo anche applicare proprio alla riflessione di oggi la convinzione che egli ha espresso in poche parole: Chi ha una vera scienza, chi ha una vera arte, sta nella vita reale in modo tale da avere la migliore delle preparazioni per sperimentare il mondo spirituale; ma chi non ha né scienza né arte, cerchi di accendere nella sua anima quell’anelito attraverso il quale la venerazione religiosa diventi innanzitutto possibile per lui, e allora, attraverso lo stato d’animo religioso, sarà in grado di fare il suo ingresso nel mondo spirituale.
Rudolf Steiner (2a parte – Fine)
Conferenza tenuta a Berlino il 20 novembre 1913.
O.O. N° 63 – Traduzione di Angiola Lagarde.
Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.