La strada comincia a salire ed iniziano i primi tornanti. La foresta di conifere sembra abbracciarci nel nostro incedere e le molte felci mi ricordano la Nuova Zelanda. La vegetazione è lussureggiante anche in agosto per l’acqua che scorre sempre in qualche rivoletto o che sgorga dalle fonti. La vita fa sentire la sua presenza. Incontriamo pure un branco di cavalli, liberi ma con il campanaccio al collo. Usa cosí da queste parti, in Hegoalde, i Paesi Baschi spagnoli.
Continuiamo a salire, Federica e io, fino ad un punto in cui gli alberi si diradano velocemente e ci lasciano indifesi ai raggi del sole d’estate, ma aperti alla vista dell’azzurro del cielo: siamo sulla cima del monte Excelso, nella Sierra di Aralar. La strada torna pianeggiante e termina aprendosi in un piazzale che sembra sospeso nell’aria. La cima è nuda, brulla, il paesaggio lunare e arido, ma la vista è mozzafiato.
Siamo in posizione dominante su tutta la vallata, mentre un altro versante montuoso ci fronteggia dalla parte opposta. Questo contrasto tra la natura lussureggiante e quella arida me ne fa tornare alla mente un altro, quello tra Galilea e Giudea nelle descrizioni di Emil Bock.
È in questa posizione particolare, appartata tanto dall’umanità quanto dalla natura, in questo silenzio non terrestre, che è situato il santuario di San Miguel de Aralar, detto anche in Excelsis.
Il luogo è ancor piú interessante per la presenza di molti dolmen, e qualcuno ipotizza che su uno di questi sia stato costruito il santuario, proprio perché i dolmen non sono costruzioni qualsiasi.
Louis Charpentier nel suo libro Il mistero Basco fa notare una curiosa correlazione tra l’uomo di Cro-Magnon, il gruppo sanguigno 0 e la presenza di dolmen. Tra i cromagnonoidi piú puri ci sono proprio i baschi e comunque altri popoli situati sulle coste atlantiche o sui monti dell’Atlante, tutti con una forte prevalenza di sangue di gruppo 0. Inutile dire che per Charpentier l’ipotesi di una provenienza atlantidea dei baschi è piú di una semplice suggestione. E cosí anche i dolmen deriverebbero da quella lontana cultura.
Ma ancor piú illuminante a riguardo è una conferenza in cui Rudolf Steiner (O.O. N° 350 conf. XV) afferma che i dolmen erano luoghi dove «il sacerdote druidico osservava la spiritualità dei raggi solari, dalla quale dipendeva se in un campo fosse meglio coltivare l’una o l’altra pianta». Questo grazie all’osservazione dell’ombra all’interno del dolmen, in quanto «gli antichi avevano la capacità di distinguere le differenze dell’ombra». Aggiunge poi che «nell’ombra si potevano osservare benissimo gli effetti lunari, [i quali] influiscono parecchio sull’accoppiamento degli animali». Costruzioni insomma non certo banali, ma di vitale importanza per la comunità, e quindi sacre.
Per di piú, dal disegno contenuto nella sua stessa conferenza si comprende la provenienza del lauburu, simbolo tanto caro ai baschi, il quale «doveva servire ad avvertire chi veniva da lontano che vi erano uomini che capivano le cose, che non vedevano solo con gli occhi fisici, ma anche con gli occhi spirituali».
Ma la cosa veramente unica di San Miguel de Aralar è la sua effigie, l’effigie di San Michele. In luogo dell’immagine cui siamo abituati, ovvero del Michele che tiene a bada il drago con la spada, oppure di quello con la bilancia, l’effigie di Aralar mostra l’Arcangelo che regge sulla testa con le mani la croce di Cristo.
«È il Michele che ha già vinto il drago» ci dice Pedro nel piccolo negozio di souvenir all’interno. «È il Michele vittorioso».
In effetti il santuario non è allineato sulla cosiddetta “spada” di Michele che dall’Irlanda arriva al Monte Carmelo disegnando una linea sull’Europa che unisce vari luoghi dedicati all’Arcangelo.
Ma è anche opportuno sottolineare dove siamo. Gloria in excelsis Deo significa gloria a Dio nell’alto dei cieli. E qui siamo proprio in Excelsis, non siamo propriamente sulla Terra, ma siamo come sospesi, nell’alto dei cieli.
Ed è sempre Rudolf Steiner che ha ripetutamente affermato che Michele nelle regioni dello Spirito ha vinto le forze del Male, mentre sulla Terra ciò dipenderà dagli uomini, se saranno capaci di imitarlo e seguirlo.
L’effigie è una statuetta in argento placcato d’oro alta poco piú di mezzo metro in cui è custodita l’originale in legno. All’interno della croce tenuta sulla testa si narra ci sia proprio un vero frammento della croce del Cristo.
Questa sorta di “armatura dorata” lascia vedere l’interno in due punti particolari, ed a mio parere non casuali: la testa ed il cuore.
Mi piace pensare che l’effigie di Aralar indichi all’umanità il cammino da intraprendere per vincere il Male. Il gesto di San Michele sembra infatti suggerire: «Unisci la testa col cuore, metti in testa la croce del cuore». Il cuore che anatomicamente parlando forma proprio una croce, la crux cordis. Un gesto insomma che auspichi quel pensare col cuore tanto caro all’antroposofia.
All’interno del santuario, inciso sul legno delle panche, riconosco il lauburu basco, ma l’altro disegno mi colpisce: è un fiore, ed anche il negozio di souvenir ne è pieno.
«Si chiama Eguzkilore» ci dice il solito Pedro mentre lo scrive lettera per lettera su di un foglio. «È la flor del Sol, se ne trovano tanti qua tutt’intorno al santuario».
Questo fiore del sole è tradizione essiccarlo e metterlo alle porte delle case per tenere a bada gli spiriti maligni.
Federica per l’appunto lo aveva “casualmente” fotografato durante la nostra unica giornata di Cammino di Santiago, sulla strada per Roncisvalle. Un fiore grande senza gambo, simile ad un girasole ma sdraiato sul suolo.
Un piccolo Sole in Terra che tiene a bada gli spiriti maligni come quel Rappresentante dell’Umanità scolpito da Rudolf Steiner.
Eguzkilore. Ce lo ricorderemo questo nome, proveniente da luoghi cosí misteriosi e forse custodi di una lingua atavica nel cuore dell’Europa.
Vieri Terreni