Hara - Il centro vitale dell'uomo secondo lo zen

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Hara - Il centro vitale dell'uomo secondo lo zen

Hara Dürckheim

 

Questa è una traduzione italiana dall’originale tedesco di un’opera già tradotta in varie altre lingue; i suoi contenuti suscitano non solo problemi di ideali analogie Est-Ovest, ma anche domande di coincidenze con i temi attuali della scienza.

 

Per esempio, nel campo della Medicina, recenti studi sulla possibilità di applicare la terapia polmonare con il cosiddetto pneumoperitoneo, ci colpiscono per i loro riferimenti fisio-psicologici che suggeriscono la dottrina mistica giapponese del hara. Questa terapia si basa su una serie di osservazioni che coinvolgono l’influenza reciproca delle variazioni tensionali tra il torace e le cavità addominali.

 

Il mistero del fiore d'oro

 

Non si possono discutere a lungo in questa sede gli aspetti di una tale terapia, alla quale noti medici italiani e stranieri hanno dedicato la loro ricerca ed esperienza per anni. Ma vogliamo accennare al suo significato: consiste nella positiva e a volte cicatrizzante influenza che la cavità addominale può avere sulle malattie della cavità polmonare, grazie ad un tipo di profonda azione respiratoria che ha luogo grazie al funzionamento di forze che appartengono alla zona addominale. Usiamo un linguaggio non tecnico cosí da facilitare la nostra presentazione dell’argo­mento al lettore. L’indagine sopra menzionata ha rivelato che i rapporti tra le due cavità, che avvengono principalmente su base nervosa, conferiscono alla cavità addominale una funzione determinante rispetto a quella respiratoria, attraverso il diaframma. Quest’ultimo rappresenta una sorta di sostegno all’equilibrio della zona toracica rispetto a quella del metabolismo: tanto l’aspetto psicologico (lipotimia, ipocondria, depressione ansiosa) quanto quello chiaramente fisico (malattie polmonari), che trasmettono una serie di sconvolgimenti di questo equilibrio, possono sempre essere legati ad una contrazione anomala del diaframma. La cosiddetta ventrizzazione, il taglio del nervo frenico, il pneumoperitoneo, la respirazione addominale e la stimolazione della funzione di bilanciamento del diaframma, sono i mezzi che questo tipo di terapia delle malattie polmonari sta utilizzando attualmente. Questi mezzi sono destinati a riportare l’attenzione dell’osservatore sui contenuti della dottrina giapponese del hara, quella che è chiamata, nel Tai Chin Hua Tsung Chih (Il mistero del fiore d’oro), “il centro della forza”. Secondo questa dottrina, descritta da Karlfried Graf Dürckheim, il hara è la sede dell’equilibrio umano e la fonte della energia vitale. Maestri moderni come Torajiro Okada, Shoseki Kaneko e Tsûji Sato insegnano l’arte di riferire il compito della formazione interiore, che è allo stesso tempo formazione psicosomatica, a quello scatenamento di forza che è il hara; essi parlano anche di koshi e tanden, termini che si riferiscono alla parte inferiore della zona addominale e al gruppo di nervi legati alla zona sacro-pelvica.

 

Questa è una eredità dell’antico insegnamento che si trova nei testi taoisti e nello Zen; è ancora coltivata non solo come tema di disciplina ginnica e atletica, ma soprattutto come base di una psicologia trascendentale con precisa corrispondenza a certi processi somatici a livello fisiologico. La nostra stessa psico-fisiologia sa quanti stati di malattia siano stati legati al “respiro corto”, al blocco del cosiddetto “plesso solare”, che impedisce la respirazione completa e fisica, vale a dire una interdipendenza patologica. Coloro che seguono il hara direbbero che in questo caso si è tagliati fuori dal centro di forza e che il solo rimedio è lavorare per la sua riattivazione attraverso percorsi interni: certamente non attraverso quelli fisici o meccanici.

 

Essi affermano che il hara agisce determinando l’“assenza dell’Io” quando lasciamo operare la sua forza profonda, e se la coscienza ordinaria non interferisce: il che significa – notiamo – che occorre essere abbastanza coscienti da eliminare la coscienza razionale mentre ci si concentra su un processo interiore che ha in effetti una sede corporea, ma è di per sé trascendente e incorporeo. Sarebbe sbagliato credere che ciò significhi operare in loco attraverso una concentrazione mentale che non può, in ogni caso, evitare di essere vincolata alla percezione fisica e quindi al sistema nervoso; poiché qui dobbiamo portare in superficie una forza che non può sopportare di essere legata al sistema nervoso. Questo è il perché, per un occidentale, una simile operazione non potrebbe aver luogo, a meno che egli non sperimentasse quella condizione che la Scienza dello Spirito chiama “pensiero libero dai sensi”. Nel veicolo del “pensiero liberato”, che in realtà non è piú il pensiero razionale ma la sua forza vitale extra-razionale, o Şhakti mentale, l’“assenza dell’Io” non è una perdita di coscienza: è l’apparenza di una sua forma superiore; e questo non dovrebbe essere dimenticato da uno sperimentatore che non è un orientale.

 

Il hara non è altro, fondamentalmente, che il principio dinamico della volontà, che in un orientale, e specialmente in un estremo orientale, è immediato nella coscienza. In quel tipo umano la coscienza si realizza istantaneamente come volontà, una forza incorporea, la cui sede corporea, secondo la Scienza dello Spirito, è il sistema metabolico e quello delle membra. Potremmo dire che l’orientale ha la possibilità di una relazione immediata con la sede della volontà, e quindi con il hara: che non è concentrato nella sua testa, come per un occidentale. Cosí che se quest’ultimo intende utilizzare la dottrina giapponese del hara, deve cominciare convertendo la propria coscienza razionale secondo la già citata tecnica del “pensiero libero dai sensi”.

 

Testa torace addome

 

A tale riguardo, Okada riesce a stabilire una tipologia che distingue: “l’uomo della testa”, la cui coscienza è astratta e dialettica; l’“uomo toracico”, che nonostante la sua libertà dal “mentale” non può evitare l’incessante lotta con il mondo delle passioni ed emozioni; e l’“uomo del basso ventre”, che è il piú completo dei tre, poiché realizza immediatamente la sua natura spirituale. L’“uomo hara” non può essere soverchiato dal pensiero e dal sentimento, perché è direttamente connesso con la corrente della vita che, modificandosi e alterandosi nell’essere umano, diventa pensiero e sentimento.

 

C’è quindi una possibilità per una sorta di respiro sottile che ha luogo nella cavità addominale, attraverso la concentrazione interiore durante l’esperienza di hara, tanden o koshi. Questa concentrazione deve essere disintellettualizzata e portata direttamente nel “vuoto” che domina in modo nascosto le correnti vitali, che derivano dal hara:  ciò conduce alla possibilità del respiro sottile. Un altro metodo consiste nell’iniziare con la respirazione normale che viene poi gradualmente interiorizzata e rallentata: essa si fonde dopo spontaneamente con la virtú fondamentale del hara. Shoseki Kaneko dice che il hara è: «il centro del corpo dove dimora l’essere primordiale». E Okada: «L’addome è la sede piú importante, la fortezza in cui può sorgere il Divino, il ricettacolo della divinità».

 

Naturalmente, l’idea del hara come centro occulto di forze non è nuova, anche se la corrente mistica giapponese individuata da Dürckheim è quella che deliberatamente ha fondato su essa le sue pratiche mistiche e ne ha tratto un preciso sistema metafisico. Nelle Upanishad, come nel taoismo, nel buddismo mahayanico e nel tantrismo, la pancia, o il basso ventre, è spesso considerata il simbolo della forza centrale dell’uomo; ma è meno facile stabilire le implicazioni di una tecnica di sviluppo occulto. Ci vengono cosí offerte delle analogie che possono essere obiettivamente riconosciute a livello della pratica della “trasmutazione”: anche con determinati temi della dottrina esoterica occidentale e della tradizione alchemica.

 

Vitriolum

 

Notiamo il simbolo del “Vitriolum” (Visitabis interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem veram medicinam) o espressioni di J. Boehme come le seguenti: «Qui (nel corpo) è nascosta la perla della Rigenerazione. Il grano non germoglia se non è affondato nella terra: se le cose devono fruttificare, devono ritornare nella madre che le ha generate. Lo Zolfo è la madre di tutte le essenze, Mercurio la loro vita, Venere il loro amore, Giove il loro intelletto, la Luna la loro corporeità e Saturno il loro sposo» (De signatura rerum, 50-51); in cui Saturno è il simbolo della corporeità terrestre e fisica. In altri testi alchemici, il “fuoco saturnio” è la dynamis della volontà che opera come veicolo costruttivo dell’orga­nismo fisico, cosí come la forza vitale e di locomozione. Cosí il De Pharmaco Catholico consiglia al ricercatore di non evitare la terra ma di immergersi nell’humus, cioè nelle profondità della “terra”.

 

Qui è il “mondo tenebroso” alle radici delle anime nel centro della Natura (Gichtel); è considerata la base occulta della vita corporea, da cui derivano i processi di formazione fisica e l’energia piú profonda della coscienza. Nell’insegnamento rosicruciano, tuttavia, il cuore rimane il centro piú profondo delle forze occulte. Occorre prima attraversarlo; ma per conquistarlo poi in profondità, bisogna passare attraverso il centro della volontà.

 

Chakra del hara

Chakra del hara

 

Secondo la Scienza dello Spirito di tipo rosicruciano, nel senso che opera sul principio della conoscenza alchemica basata sul rapporto “oro-zolfo filosofico”, l’uomo può avvalersi di tre centri sovrasensibili della vita: 1) all’interno la sua testa, tra la ghiandola pineale e la pituitaria; 2) nel suo cuore; e 3) nel suo plesso solare: quest’ultimo è identificato con il hara.

 

Secondo il summenzionato orientamento di autocoscienza volto a realizzare la sintesi dell’oro-zolfo filosofico, il neofita del nostro tempo deve partire dal centro della testa: sarebbe un grave errore da parte sua credere di poter partire dal centro del cuore o da quello della volontà. Per l’uomo occidentale del nostro tempo, il vero compito dello Spirito è di muovere dal centro eterico della testa, poiché deve superare l’incanto del pensiero dialettico, la barriera della mediazione cerebrale. Questa è un’operazione molto difficile e che istintivamente si tende ad evitare, per abbandonarsi subito alla pratica psichica o psicosomatica di ogni genere di yoga, divenendo cosí preda di pericolose illusioni, anche se supportate da una conoscenza di testi o tecniche tradizionali.

 

Oltre ad offrire una controparte psicologica o metafisica, o qualcosa come un riferimento alla “fisiologia occulta”, all’indagine e all’esperienza menzionate all’inizio di questo articolo, la dottrina del hara è indubbiamente affascinante per il ricercatore occidentale e soprattutto per un seguace di Scienze naturali. Ma – come abbiamo osservato – sarebbe un grave errore presumere che la pratica sia del tutto naturalmente valida per gli occidentali, come lo è per il tipo umano giapponese e orientale in generale: perché è chiaro che il proprio rapporto con una tale dottrina varia a seconda della condizione costituzionale del “ricercatore”.

 

I tanden secondo la fisiologia giapponese

I tanden secondo la fisiologia giapponese

 

Per un giapponese, o per un uomo dell’Estremo Oriente in generale, il rap­porto con il hara si presenta come immediato: c’è un’articolazione funzionale in quella sede della volontà che è il sistema metabolico e quello degli arti. Mentre per l’occidentale il rapporto passa inevitabilmente per la testa, è sottesa alla razionalità: cosí che egli possa dapprima coglierlo solo in forma di concetto o imagine. Ma averlo come concetto o imagine significa non averlo. Un occidentale che non ha sufficiente conoscenza dell’attività cognitiva attraverso la quale normalmente comprende le cose (e quindi le nozioni di quel genere), può commettere l’errore di prendere come contatto con il hara la semplice sensazione resa acuta dall’eventuale concentrazione su quel punto o quella zona: che è un fatto puramente fisico e non interiore.

 

Respirazione profonda

Respirazione profonda

 

Potrebbe persino stimolare la zona del hara attraverso una sorta di respirazione piú profonda, ed avere l’illusione del contatto con il centro della forza. In tal modo egli non solo non si sarebbe minimamente accorto della tecnica di contemplazione del “vuoto” mistico nella zona addominale (un’imagine della dottrina afferma, infatti, che «il vuoto è anche un vuoto del hara», infatti il hara è proprio “la porta del vuoto”), ma avrebbe anche cominciato mettendo seriamente in pericolo il proprio equilibrio psichico.

 

E questo accade piuttosto spesso tra noi, oggi: incontriamo molte persone le quali, dato che sono mentalmente turbate, o in procinto di diventarlo, o depresse, o smarrite, o sovraeccitate, si dedicano alla dottrina esoterica. Altre invece, del tutto normali o intellettualmente dotate, si dedicano, con una inesplicabile disattenzione in persone che presumono di pensare, ad esercizi yoga o a tecniche simili, senza cogliere veramente il senso di ciò che fanno, vale a dire senza sapere esattamente qual è il valore gnoseo-logico di queste tecniche, cosa significano rispetto alla propria costituzione interiore. Tali persone rinunciano all’autocoscienza che li caratterizza come occidentali, e che per loro dovrebbe essere l’unico punto di partenza per qualunque tipo di impresa ascetica.

 

Robert Fludd «La mente spirituale»

Robert Fludd «La mente spirituale»

 

Per un occidentale il misticismo non può che basarsi sulla comprensione dello stesso processo della sua autocoscienza, in altre parole di ciò che lo rende un certo tipo interiore, capace tra le altre cose di ri­elaborare criticamente la Tradizione. L’occidentale non deve dimenticare di avere una testa: che non può perdere per un contatto esaltante con il hara o la kundalini. Egli può raggiungere il hara o la kundalini, ma solo se controlla il tipo di forze messe in moto in lui stesso quando riesce a intuire tali temi, perché la forza del hara o della kundalini diventa già evidente in tale intuizione. E questa è la via del­l’occidentale.

 

La dottrina giapponese del hara può essere di concreta utilità per il medico o lo psicologo, poiché in essa possono trovare un riferimento ad un elemento trascendente, inscindibile dalla fenomenologia del rap­porto tra le cavità addominale e toracica; senza questa consapevolezza, non si può andare molto lontano nell’indagine della terapia menzionata prima. Il seguace esoterico, d’altra parte, può trarne uno stimolo per quella esperienza di sé che è fondamentalmente incorporea, perché cerca di penetrare le profondità delle categorie corporee: che non sono il mondo fisico – il “fisico” è per natura la percezione sensibile che assume il pensiero – ma le forze formative di ciò che si presenta come fisico.

 

Pensiero libero dai sensi

 

Il contatto con tali forze formative è possibile attraverso quella che nell’uomo è una sostanza interiore simile: il pensiero. Certamente non il pensiero ragionante, ma quello che si è convenuto di chiamare il “pensiero libero dai sensi”, il potere vitale sovrasensibile nascosto dietro il pensiero e di cui il pensiero non è che l’ombra, o il riflesso senza vita. Il pensiero è morto nell’uomo: l’ope­razione principale dell’Alchimia, l’Operatio Solis, come di ogni misticismo non ingannevole, è in verità la resurrezione del pensiero.

 

 

Massimo Scaligero

 


 

Tradotto da: East and West, Settembre-Dicembre 1974, Vol. 24, No. 3/4.

 

Link all’articolo originale inglese: “Hara – Il centro vitale dell’uomo secondo lo zen”