In inverno, quando la natura rientra in se stessa e lascia sul terreno le foglie cadute in autunno, e pare che nessun fiore o colore si scorga nei boschi, ecco alcune piante che possiamo trovare se solo ci addentriamo in essi. Il primo è il Pungitopo (Ruscus aculeatus), una liliacea sempreverde, pianta legata alle tradizioni del Natale, per le sue bacche rosse solstiziali, pianta che, come l’Agrifoglio (Ilex aquifolium), è usata negli addobbi natalizi. Erano considerate entrambe piante apotropaiche, si appendevano infatti fuori dalle porte per allontanare gli influssi malefici, o le Streghe, specialmente nella parte piú buia dell’anno.
Il pungitopo, in un lontano passato, era in uso appenderlo nei locali dove si conservavano gli alimenti, per tenere lontani i topi; da qui il nome pungitopo. Specialmente al Nord se ne usa cogliere i teneri getti in primavera e si consumano come gli asparagi, dei quali hanno il sapore. Fin dall’antichità il suo rizoma ha sempre avuto fama di ottimo diuretico, digestivo e antiartritico. Dalla metà del secolo scorso ne è stato consacrato l’uso nel campo delle patologie venose, come vasoprotettivo e tonico del microcircolo.
Ai bordi del bosco, in inverno, troviamo anche la Rosa canina (o Rosa di macchia o Rosa selvatica), con le sue belle bacche rosse (cinorrodi), che dopo i fiori dell’estate ora ci dona i suoi frutti. Questi si raccolgono quando sono morbidi, dopo le prime gelate, e si pongono a seccare in un luogo fresco e asciutto.
Dopo seccati, si rompono in un mortaio e se ne fanno tisane. Freschi, se ne possono fare gustose e salutari marmellate. Una delle preparazioni piú elaborate, secondo la tradizione, prevede l’aggiunta di cannella, anice stellato, coriandolo, noce moscata, chiodi di garofano e grani di pepe nero, in dose variabile secondo i gusti di ognuno. Si fa bollire il tutto per qualche minuto e si lascia riposare per altri cinque, poi si filtra e si aggiunge zucchero di canna. A questo preparato si possono unire, poco prima della bollitura, scorze di limone o di arancia.
Nella Rosa canina è contenuta vitamina C insieme ad altri componenti importanti per la salute. È utile nella prevenzione delle malattie da raffreddamento, negli stati febbrili e nelle convalescenze, questo poi viene potenziato dal mix di spezie. Altri impieghi tradizionali dei cinorrodi in tisana, interessano i disturbi delle vie urinarie, i reumatismi, la gotta, le irregolarità dell’intestino, la digestione e le affezioni delle vie biliari. Quindi una utile cura in inverno!
Dopo queste brevi note di fitoterapia, ecco come Wilhelm Pelikan, medico antroposofo, nel primo volume della sua trilogia Le Piante Medicinali per la cura delle malattie, descrive la Rosa canina: «Il verde fresco e brillante del suo fogliame saluta la primavera, il rosa delicato dei suoi fiori e il loro profumo cosí nobile annunciano l’inizio delle gioie estive, lo splendore scarlatto dei suoi frutti canta le lodi autunnali fino in pieno inverno. I fiocchi di neve amano posarvisi, cosicché la Rosa canina può celebrare il Natale in una veste di candidi cristalli».
Il Natale lo celebra anche la pianta dell’Elleboro (Helleborus niger), che viene pure chiamato Rosa di Natale o Elleboro bianco, l’attributo “niger” è dovuto al colore scuro del suo rizoma. È una ranuncolacea, pianta perenne, sempreverde, di 20/30 cm., fiori bianchi, quasi sempre solitari, divengono soffusi di rosa a maturità. È presente nelle regioni settentrionali d’Italia, in collina, fin verso la fascia montana. Trascorso l’autunno, Il suo risveglio è graduale, e giorno dopo giorno gli steli e le foglie riacquistano vitalità e consistenza. A novembre lo troviamo ormai solitario ai piedi dei faggi, compiaciuto di essere rimasta l’unica pianta vigorosa in quella che è ormai una cupa e desolata distesa di foglie, rami ed erbe marcescenti. È tuttavia con il mese di dicembre, che l’Elleboro può assaporare appieno la sua rivincita sul resto della vegetazione e il trionfo su una stagione arcigna. Lo spuntare timido dei primi boccioli affusolati precede lo sbocciare dei candidi fiori dalla metà di dicembre, attorno al periodo natalizio. I grandi petali bianchi dell’Elleboro ricoprono a macchie il sottobosco, invitando la neve a cadere e a fondersi con essi per portare Luce e Vita nel desolato ed oscuro ambiente invernale. L’Elleboro allora sboccia, e ha il Sole tutto per sé quando il Sole è ancora bambino, saluta la nascita dell’Astro durante il Solstizio Invernale offrendogli la sua candida corolla tra le oscurità della vegetazione dormiente.
Qual è la forza che spinge la nostra pianta a sovvertire in questo modo il normale periodo di vegetazione? Da quali Esseri misteriosi trae le energie per contrastare i rigori e l’oscurità dell’inverno e prendersi addirittura beffa di questo, sbocciando rigogliosa a dicembre? L’Elleboro sembra esprimere il coraggio di sfidare la cattiva stagione penetrando nel cuore di questa con una fiaccola di luce e di vitalità. Non subisce i normali eventi stagionali, ma impone i propri!
Il fiore di questa pianta, opportunamente preparata e diluita, potrebbe giovare a quelle persone che negativamente subiscono nel loro animo i mutamenti di luce e di clima che si manifestano con l’arrivo dell’Autunno. La mancanza di vitalità e il desiderio di isolarsi dal resto del mondo, di richiudersi in se stessi sembra, in queste persone, procedere con l’avvizzirsi della vegetazione circostante e il ridursi delle ore di luce. L’Elleboro, in questo caso, si situa come un esempio per l’animo umano: non trovando in sé quelle forze di adattamento e reazione al mutamento stagionale, l’animo turbato imita, per cosí dire, le qualità della nostra pianta.
Ancora Wilhelm Pelikan, nel suo volume “Le Piante Medicinali”, ne scrive cosí: «Il suo grande fiore di un bianco puro si apre in pieno inverno, quando l’influsso cosmico astrale è minore. L’impulso astrale dell’Elleboro si contrappone quindi spiccatamente alle normali forze astrali che in piena estate portano alla fioritura il mondo vegetale. La stagione dell’Elleboro non inizia a San Giovanni, ma a Natale».
Rudolf Steiner ha dato poi all’Elleboro un nuovo ruolo nel trattamento del cancro, attirando l’attenzione sugli “antiritmi” di questa pianta ostinatamente contraria ai ritmi annuali normali e a quelli vegetali, quindi opportunamente preparato può contrastare la formazione dei carcinomi, assomigliando, nell’aspetto terapeutico al vischio.
Nell’antichità si usava il rizoma dell’Elleboro contro i disturbi mentali e nervosi, oggi la fitoterapia, in forma omeopatica, ne fa uso come cardiotonico, diuretico e nel trattamento delle emicranie e disturbi psichici. Data l’alta tossicità della pianta, ora in medicina popolare non è piú usata.
Terminiamo con una bella leggenda della Tradizione cristiana. Narra di come un cespuglio di Elleboro, per intervento di un Angelo, fosse spuntato nelle vicinanze della capanna al momento della nascita di Gesú, per permettere a una pastorella molto povera e intimidita di portare come gli altri un dono al Divin Bambinello; ebbe quindi tra le mani un mazzolino di Elleboro da donargli ed in cambio ricevette un sorriso da Lui.
Davirita