Si svolsero cosí, ve l’assicuro,
i fatti nella genesi del mondo:
in Paradiso c’era un giubileo
con melodie d’angelici cantori
e il Creatore ne godeva appieno
insieme ad altri spiriti celesti.
Ma ecco che dall’erebo fumoso
un ghigno ruppe l’inclita armonia
e Satana, crollando il gran portone
dei Campi Elisi, cominciò a berciare
all’indirizzo del buon Padre Eterno.
«Io non sopporto piú le sviolinate
dei cherubini, i sanctus, gli alleluia,
le laudi, i panegirici e gli osanna,
mentre laggiú nuotiamo nella broda
fetida dello Stige, respirando
gli umori solforosi a pieni bronchi.
Mi tocca far la parte del dannato
affumicato come un salacchino!».
«A che ti lagni? ‒ fece il Provocato ‒
tua fu la scelta di cadere in basso,
poiché non ti piaceva sottostare
all’ordine supremo che amministro,
senza vantarmi, con giustizia e classe.
Puoi sempre ripensarci, dismettendo
la spocchia del ribelle presuntuoso,
gettar la spugna e ritornar nei ranghi
delle mie schiere, con l’antico grado».
«Per chi m’hai preso? ‒ rimbeccò Mefisto. ‒
Non cambio idea neppure se prometti
di farmi pari tuo nell’Alto Empireo.
Contesto invece la tua sicumera,
dovuta al fatto che sei favorito
dalla possanza dell’autorità.
Ma sono certo che una creatura
senza l’immunità trascendentale,
fragile, delicata e cagionevole,
sarebbe volta al Male e non al Bene,
non sopportando la caducità
della materia labile e mortale.
Si dannerebbe, ci scommetto il grugno!».
L’Altissimo accusò 1’impertinenza,
ma sulle prime non rispose a tono:
in fondo, le obiezioni del marrano
colpivano nel segno, e lui doveva
salvare la sua fama d’onniscienza
gabbando il tristo con diplomazia.
«Tu vuoi sfidarmi ‒ replicò ‒ sta bene!
Raccolgo il guanto e vado a dimostrare
ch’ogni prodotto d’indole divina
ha dentro un crisma che non gli consente
di svicolare dalla retta via
servendo le tue mire scellerate.
Lasciami lavorare, e poi strabilia!».
Mischiando carbonati, sodio e quarzo,
potassio, silicati e manganese,
fece un cristallo d’iridi brillanti.
Ma Belzebú s’oppose a quel portento
dicendo che una roccia non fa testo,
essendo inerte, refrattaria al Male,
in quanto manufatto minerale.
Ed ecco allora che 1’Onnipotente
plasmò dal nulla un seme e lo depose
dentro una zolla della nuova terra.
Soffiò la bocca santa l’energia
su quel baccello, e subito dal fango
spuntò crescendo un arboscello verde:
era una pianta con il fusto e i rami,
e, sopra questi, foglie che rivolte
al cielo ne gloriavano il Padrone,
nutrendosi di luce e clorofilla.
«Un’altra delle tue birbanterie!
‒ ritorse il Capintesta dell’Inferno. ‒
Un essere animato dalla linfa
non ha passioni, vegeta, si ciba
senza fatica con la fotosintesi,
rimane fermo, non uccide, attende
il polline dal vento per amare
e riprodursi: un marchingegno eccelso,
alieno da malanni e da incidenti.
Lo tagli, ed esso rapido ricuce
le sue ferite e rifiorisce a nuovo.
E basta un chicco, un grano miserello,
a tramandarne specie e discendenza.
Rigetto le tue furbe procedure,
non amo i bari al tavolo da gioco!».
«E sia, m’arrendo, giocherò pulito!»
gli garantí l’Eterno, ed intraprese
a modellare un essere sanguigno,
soggetto a infermità, dolore e istinto,
costretto a procacciarsi il nutrimento
lottando per la vita e per la morte,
e lo muní di un’anima senziente.
Ma per salvarlo dalla perdizione
dispose che l’improvvido animale
agisse in libertà, ma uniformato
al codice del regno naturale.
«Eh, bella forza! ‒ protestò il Maligno. –
Un altro dei tuoi subdoli raggiri.
È chiaro che non posso rovinare
un’opera siffatta, programmata
rispettando un cliché da te voluto.
A questo punto mi ritiro, e bada
che non fai certo onore al tuo buon nome.
Se vuoi condurre al giusto la partita,
l’oggetto piú indicato al nostro scopo
dev’essere del tutto svincolato
dal tuo volere, arbitro di scelte:
successo e fallimento in parti uguali
governeranno il Fato che gli spetta.
Solo cosí io lo potrò tentare,
e vincere la posta, se lo merito».
E Dio, che è paladino di coerenza,
elaborò d’argilla una figura,
riproducendo l’uomo in carne ed ossa.
Lo rese vulnerabile, sapiente,
passibile di vizi e crudeltà.
Il Diavolo esultò per quell’impasto:
dell’essere che libero nasceva
poteva farne quello che voleva!
Ma l’Altro aveva un asso nella manica:
senza che l’Avversario lo notasse
dotò quel corpo della facoltà
di concepire il Verbo che sublima,
salvando l’Uomo per l’eternità.
Fulvio Di Lieto