Per una vera devozione a Michele

Italo d'Anghiere

PER UNA VERA DEVOZIONE A MICHELE

Liane Collot d’Herbois «Arcangelo Michele»

Liane Collot d’Herbois «Arcangelo Michele»

 

Michele chiama: che l’uomo risponda è frutto di una scelta, fatta a diversi gradi di emancipazione dai vincoli sub-umani, ma sempre scelta. Anzi, se non vi fosse questa possibilità di movimento autonomo rispetto alle soggezioni del passato, quella Entità non chiamerebbe.

 

Si può dire che è proprio dell’impulso michaelita di lasciare che il ritrovamento dello Spirito sia atto libero di una umanità che continuamente tradisce lo Spirito. Libero da esso, opposto ad esso, può volerlo di nuovo.

 

L’impedimento a questa missione non deriva dal sensibile, che ne è anzi supporto fondamentale, ma da una affezione dell’anima al sensibile divenuto oggetto, non dal rapporto di questa con quello, che, se obiettivo, sarebbe un primo passo della risalita. Il sensibile che si desidera inconsapevolmente reintegrare, secondo una spinta interiore sana, che venendo però mal orientata, decade improntando il dato dei sensi della sua caduta: che è la brama.

 

La brama è il potere di identificazione della Sintesi propria allo spirituale orientato verso ciò che è inferiore. Lo stesso volere superindividuale che aderisca ad un oggetto irreale, perdendosi. Irreale non in quanto tale, ma in quanto momento costitutivo di una dinamica viva, che fuori di quella vita diviene finzione: l’astratta alterità.

 

L’uomo sente però che questa oggettiva e reificata alterità reca in sé un potere di incantamento della coscienza, come nostalgia dello Spirito. Nella percezione sensoria è già infatti in atto l’equi­librio delle forze dell’anima, alterato in ogni altra sede, e perciò condizione eccezionale di attuazione magica dell’originaria identità col mondo.

 

Tutto lo sforzo è ritrovare questa identità con le forze spirituali che sorreggono il mondo, che sono le stesse che si danno quotidianamente nel pensiero e nella percezione. Per poterlo fare, l’Essere di  Michele media il potere del Logos all’umano: che può accoglierlo liberamente, solo se liberamente gli si fa incontro.

 

Ma non è possibile incontrare coscientemente questa Forza originaria se il pensiero non viene liberato dall’organo cerebrale come da un carcere. Organo cerebrale che è in realtà un artefatto delle Gerarchie: una sintesi cosmica architettata e tessuta con la saggezza delle ère. Questo strumento voluto dallo Spirito deve essere a lui docile e rispettare la sua funzione evolutiva: servire da supporto all’autocoscienza. Adesso urge che l’uomo si liberi dal cervello, per utilizzarlo.

 

Spesso, salvo alcune eccezioni, ne è utilizzato. Le reti sinaptiche e i percorsi neuronali appren­dono e si modulano con l’euristica, finalizzata ad un automatismo che faciliti e velocizzi la risolu­zione pratica dei problemi umani. In tal senso è inutile alla Conoscenza.

 

Per tornare a conoscere, si deve liberare il pensiero dalla prigionia dell’encefalo.

 

Farlo è possibile, ed esistono le vie che lo consentono. Il percorso però non è esente da ostacoli.

 

È sufficiente fare l’esperienza della perdita di livello conseguente ad un affievolimento della pratica interiore, per accorgersi di come non si disponga piú di certe energie sottili e di come l’anima subisca di piú la soggezione al mondo esteriore, percependolo, commisuratamente al grado della caduta, come disanimato, nei casi migliori, mentre smarrendo la coscienza della sua disanimazione in quelli peggiori, avendo perduto di lucidezza al punto di ignorare la propria condizione caduta: è la cecità di chi cammina nelle tenebre. Altro è invece lo smarrimento di un livello di libertà che porti ad essere consapevole del vincolamento a stati inferiori di agitazione, avvertendo ancora quanto sia difficoltoso riconquistare quel clima di calma interiore connaturato allo stato perduto.

 

Basterebbe questa serie di percezioni per rendersi conto di come vi sia una tendenza automatica allo smarrimento di una zona aurea, in cui l’uomo può iniziare ad essere l’Io. Che sia smarrita è un dramma della coscienza, non di fatto, perché la possibilità è sempre lí, pronta a darsi.

 

In questo senso l’alcol e gli psicofarmaci si comportano, seppur in modi differenti, come agenti di questo smarrimento e rafforzatori dell’automatismo, sul cervello e sul sistema nervoso in generale. Sono ostacoli a ché la coscienza possa ridestarsi e impediscono che l’Io raggiunga il volere di profondità, perché questo Volere è il Pensare stesso che inizia a svincolarsi dall’organismo cerebrale; in particolare da quei processi metabolici del cervello, che sono espressione della volontà pro­fondamente dormiente nel fisico. Ridestata, è una forza cosciente che realizza l’unità dell’anima.

 

Troppo bevuto

 

La prima questione è perciò che l’ingestione di alcol lavora ad impedire la liberazione del pensiero. Qui è importante ribadire che non si tratta di fare del moralismo. Va ricordato solo il puro fatto conoscitivo che praticando eser­cizi che vadano nella direzione dell’auto­coscienza, bevendo alcol, anche minima­mente, questo lavoro viene ostacolato, impe­dito, e l’individuo è esposto a pericoli con­creti. Esercizi spirituali, di ogni tipo, e assun­zione di alcolici, espone ai piú svariati errori e instrada sulla deviazione morale.

 

Le basi occulte di questo processo le ha spiegate in piú luoghi, e senza bisogno di commenti, Rudolf Steiner.

 

Spesso si affronta il problema da un punto di vista medico o fisiologico, calcolando ad esempio la permanenza di molecole di alcol nel sangue e organizzando gli esercizi a tempi di massima distanza dall’assunzione, o cercando soluzioni di questo tipo.

 

A questo modo di pensare bisogna opporne uno autenticamente spirituale, in cui non si trascura il dato medico, ma si assume alla base del lavoro con gli esercizi una necessaria responsabilità, senza la quale si verrebbe già estromessi dalla corrente solare.

 

L’astensione dall’alcol è una forma di devozione a Michele, il sigillo di uno schieramento autono­mo e libero dalla parte del Logos. La fiducia nel Mondo Spirituale si esprime in questo senso con l’adesione interiore al precetto dell’astensione.

 

Nel momento in cui facciamo questa scelta penetrano nell’anima delle forze solari, atte a suppor­tare la decisione nel senso del coraggio sociale e nella perseveranza interiore, ma solo se la scelta è attuata per un moto già germinalmente indialettico: un atto d’amore verso le Gerarchie di Michele. Questo senso della devozione va intravisto nell’evitamento dell’alcol.

 

Perciò, l’atteggiamento piú severo, dell’astemía piú rigorosa, che agli occhi di molti può apparire rigido, o addirittura appannaggio di un fanatismo bigotto, diviene, per Michele, l’amore piú forte, senza per questo cadere nel dogmatismo della regola fine a se stessa. Ci sono circostanze in cui l’assunzione di alcol è inconsapevole, altre in cui non dipende dall’arbitrio, altre in cui è tollerabile.

 

La natura di queste circostanze però è sempre da mettere in relazione con l’individuo ed il suo destino.

 

Non si pone quindi il problema delle quantità, essendo il fatto qualitativo.

 

Vi è una controparte spirituale dell’alcol facilmente ravvisabile in entità che utilizzano questa sostanza come loro veicolo, che tendono a prendere possesso del sangue, permeandolo di impulsi ascrivibili alla sfera luciferica.

 

Spiriti alcolici

 

Questi spiriti alcolici trovano presa nell’astralità umana per mezzo della circolazione sanguigna, a prezzo di una opacizzazione delle forze di Vita e di Luce della parte eterica della testa.

 

L’esperienza cosciente arriverebbe a percepire una volontà che salendo dal sangue dilata l’eterico del capo, provocando un disordine del pensiero ed una opposizione diretta alle forze dell’Io: quelle individualmente volute. Questi effetti possono per­manere a lungo, ben oltre la persistenza fisica del­le molecole di alcol nel sangue, poiché il ‘luogo’ di questi spiriti dell’alcol è il corpo astrale.

 

Una via come quella solare richiede l’eroismo piú alto e un richiamo continuo al Coraggio come elemento costitutivo della struttura interiore. Chi cerca di smussare le angolosità sul problema dell’astensione dall’alcol, dovrebbe chiedersene il motivo e cercare la verità che muova una simile domanda. In alcuni casi può rimandare alla domanda piú radicale su che via egli intenda seguire. Non c’è bisogno di critica, ma di verità con se stessi.

 

L’Essere di Michele sa cosa ci muove e perché facciamo le azioni che facciamo.

 

La questione degli psicofarmaci è differente, va trattata con maggiore attenzione rispetto alla composizione chimica e alla posologia. Per quanto ci siano casi in cui, forse, solo attraverso un intervento fisico sul cervello si possa ristabilire un certo equilibrio, ciò non toglie che le porte del­l’autocoscienza michaelita si possano comunque chiudere.

 

Antidepressivi

 

Ognuno cerchi una risposta da solo. Quel che è evidente, è il morbo sociale di un abuso di sostanze che si pretende facciano il lavoro che spetterebbe all’Io; a volte con scenari karmici molto complessi e umanamente dolorosi.

 

L’assunzione di droghe in tal senso sottrae al Sé Spirituale la possibilità di intervenire nella sfera corporea, per un intervento sulle forze eteriche, im­pedendo al cervello di funzionare secondo la sua spontaneità originaria, cioè che il pensiero lo utilizzi come base inerte per la risalita allo Spirito e l’immersione cosciente nel sensibile. L’azione del farmaco rafforza gli automatismi cerebrali ed agisce sul corpo astrale, rendendo inerti le forze eteriche di Vita che l’Io è chiamato a sollecitare con impulsi di libertà. In questo senso vi è un irrigidimento della psiche ed una inflazione della sua potenza: acuendo il limite senziente-razionale.

 

È importante qui non assumere le verità spirituali come pretesti per una facile critica verso situazioni di cui è ignorato il senso di destino. C’è un’obiettività nell’incapacità del cervello di farsi docile all’Io se viene stordito dall’azione di psicofarmaci, che alterano per via fisica il corretto rap­porto animico-fisico. Non è sempre dato sapere, come accennato, se in qualche caso l’assunzione è prevista dal destino individuale; ad ogni modo, qualora lo fosse, lo sarebbe sempre come extrema ratio di un processo che poteva essere altro, se l’individuo vi fosse andato incontro con le forze autocoscienti.

 

Chi segue la via di Michele e tenta ritrovare il Logos nel pensiero liberato, deve attuare ogni possibile mezzo alla realizzazione di questo piú che nobile compito, rimuovendo qualunque ostacolo possibilmente riconosciuto come tale. Non ci si può consacrare a metà, o in percentuale: la via indicata dal Maestro dei Nuovi Tempi si muove su un sentiero di venerazione per lo Spirito. La devozione a Michele passa per la dedizione alla Verità, che è un atto riferibile alla fede oggi richiesta.

 

L’anima razionale è il limite alla liberazione del pensiero e la fede michaelita è già un supera­mento della forma razionale-senziente, perché un essere imprigionato nel limite cerebrale difficil­mente concepirà l’astensione dall’alcol come atto di donazione libera al mondo spirituale.

 

Chi però può concepirlo, lo attui come tale, fuori dalle disquisizioni scientifiche. L’atteggiamento scientifico puro va ravvisato in questa fede, che risulta dall’evidenza empirico-sperimentale conse­guente alla liberazione del pensiero. Alcol e psicofarmaci, indipendentemente dalle necessità personali e dalle complesse storie di ognuno, portano l’oblio dello Spirito. Sarebbe saggio evitare di distruggere quella già labile memoria del Mondo Superiore che ci viene donata dalle Gerarchie.

 

Vi sono tante vie, e ognuna è una strada del Logos, perché non c’è niente fuori dal Logos. In questo senso è veramente il Signore. Si deve però cercare il massimo della serietà con se stessi e seguire la via evitando, per quanto è in nostro potere, ciò che può vanificare il lavoro interiore. Sarà un iniziale moto di volontà, come consacrazione cosciente alla Via Solare, astensione cultica e vera Devozione a Michele.

 

 

Italo d’Anghiere