Si tratta di sette Tavole in bronzo, di misure tra i 28 x 40 e i 57 x 87 cm., incise su due facciate con caratteri in alfabeto umbro di scuola etrusco-perugina le prime cinque, mentre la sesta e la settima in latino. Nonostante che le Tavole di Gubbio non siano etrusche, la decifrazione della scrittura etrusca si è a lungo fondata sullo studio di esse.
Furono trovate nel 1444 in una camera decorata a mosaici sottostante il teatro romano dell’antica Iguvim, l’attuale Gubbio. L’unico documento certo è l’atto notarile del 1456 col quale il Comune le acquista da privati. In base ai caratteri epigrafici si è stabilito di poterle datare tra la fine del III e l’inizio del I secolo a.C.
Trattano di cerimonie di espiazione e purificazione, di norme tributarie che riguardano gli scambi e i rapporti tra le Confraternite degli Atiedii e la comunità di Iguvium.
I luoghi delle cerimonie, riportati nei testi delle Tavole, sono adiacenti alla città: le Porte Trebulana, Tesseneca e Veia, i Boschi Sacri Giovio e Coredio, per le divinità poi in primis Giove e Marte Grabovio, altre come Trebo Giovio, Vofione, Tefro, Torsa Giovia e Vesona, tutti facenti parte del ricco Pantheon locale.
Vi sono quindi descritte le vittime sacrificali: buoi, vitelli, ovini, scrofe e verri e le Istituzioni e le Divinità per le quali si sacrifica, tra queste ultime l’Acropoli Fisia, il massimo centro cultuale, la Comunità di Iguvium, il suo esercito, i Confratelli Atiedii che raccoglievano i personaggi piú eminenti della città e di altre comunità umbre confederate, il cui compito era quello della gestione del Culto.
I versi che seguono, di un toccante lirismo, pur se successivi ai fatti, mostrano la forza e il pathos di quelle genti in cui il Sacro connotava ogni espressione dell’umano e della natura. Trattano della fondazione della futura Ikuvium e cosí recitano: «Per la terza volta il picchio verde sorvolò le propaggini del colle. Si udí un’ultima volta il battito delle ali percuotere l’aria, finché il messaggero degli dèi disparve in una delle gole che delimitano l’altura. Era questo il Signum che Àuguri e Sacerdoti attendevano. Ora sapevano con certezza dove edificare la nuova città, il primo insediamento degno di questo nome, fondato da un popolo di stirpe Umbra venuto dal Nord. Non piú capanne di legno e paglia o abituri tagliati nella roccia e difesi da lastroni di pietra sovrapposti, ma mura ed edifici solidi e compatti, composti di pietre calcaree squadrate alla perfezione. Nulla venne lasciato al caso. Ikuvium doveva infatti riflettere l’Ordine Cosmico e ogni tempio o edificio doveva occupare sulla Terra uno spazio definito, in risonanza perfetta con il Cielo, perché sull’Arce Fisia, centro sacrale della Città-Stato, potessero vigilare le Divinità, in sistema ternario, sotto l’egida di Giove Grabovio».
L’importanza dei “segni” è pure documentata nella tavola VI, dove l’officiante dà inizio alla cerimonia procedendo alla rilevazione del volo degli uccelli: l’upupa e la cornacchia provenienti da destra, il picchio verde e la gazza da sinistra.
Le Tavole sono conservate nel Museo Civico sito nel Palazzo dei Consoli, a Gubbio, edificio storico la cui prima fondazione risale al 1321, ricco di testimonianze d’arte e di una rilevante pinacoteca.
Gli Umbri non hanno inteso convogliare le loro energie creative nelle tecniche di produzione materiale o in quelle di edificazione, ma si sono meglio espressi nell’elaborazione di strutture sociali, nel rapporto Uomo-Dio, in una Teologia sofisticata, una ritualità complessa e ricca di significato: questo è contenuto nelle sette Tavole bronzee di Gubbio.
Essi erano una realtà etno-culturale estesa su tutta l’Italia mediana, dal Po al Tevere, già a partire dalla fine del II millennio a.C. Parlavano l’osco-umbro, e sembra provenissero dai Balcani centrosettentrionali, stanziatisi poi nell’area dell’Appennino umbro-marchigiano, con attivi scambi con i Piceni, i Sabini, i Falisci e gli Etruschi, in alleanza o conflitto ora con l’uno ora con l’altro, ciò che portò infine all’assoggettamento a Roma dopo una resistenza durata circa due secoli e di cui la tradizione storica non ha mai fatto un tema di rilievo.
Non va dimenticato che l’unico tentativo serio di ribellione a Roma, dopo la sua espansione militare in quelle aree conclusasi circa nel II secolo a.C., è quello degli Umbri nella battaglia di Sarsina, conquistata definitivamente dai Romani nel 266 a.C. Roma infine farà suoi, come eredità umbro-sabina, molti aspetti della religiosità, dell’ideologia sociale, dell’organizzazione militare e della viabilità. Perfino il diritto romano affonda le radici nella cultura umbro-sabina, di tutto ciò vi sono ormai studi e documenti che lo attestano.
Termina questo viaggio nella Storia di quei popoli che è poi la nostra Storia in cui piú volte siamo entrati e usciti dalla scena di questa.
Possa ancora il picchio verde ispirare col suo canto noi viandanti, nella magnificenza del Divino Essere della Natura.
Davide Testa