Che cosa si presenta al ricercatore spirituale quando penetra nella regione in cui l’uomo entra quando attraversa la porta della morte? Quando lo sguardo del ricercatore spirituale è sviluppato cosí in profondità che il suo corpo, per cosí dire, non lo richiama indietro troppo in fretta, allora si verifica ciò che segue l’esperienza dopo la morte, contando i giorni, l’indifferente miraggio-memoria come retrospettiva. Il ricercatore spirituale, infatti, può elevarsi sul suo cammino in modo tale che all’inizio vede davvero solo, come un miraggio, lo specchio degli eventi della sua vita e di alcune esperienze spirituali che sono a portata di mano; poi il suo corpo può reclamare il ritorno nel suo essere interiore di quel sottile corpo eterico, ed egli rientra nella realtà quotidiana come da un sogno iniziatico. Ma se continua sempre di piú gli esercizi, l’aumento dell’attenzione e della devozione, allora arriva davvero a vedere anche ciò che emerge da questo miraggio, ma che ora emerge in modo tale che nella visione appare ciò che non siamo ancora, che dobbiamo diventare, in quanto abbiamo commesso un errore a cui dobbiamo rimediare. Non siamo ancora colui che ha eliminato questa ingiustizia dal mondo, ma dobbiamo diventarlo.
E questo è di nuovo l’aspetto pressante, l’aspetto interiormente opprimente dello sguardo del ricercatore spirituale, il fatto che attraverso la visione dell’esperienza interiore risvegliata all’introspezione, si sentono risvegliate le forze che vogliono fatalmente compensare tutte le ingiustizie; si guardano le imperfezioni che ci attanagliano. Questo è ciò che si vede. Ma si vede anche sempre di piú come si deve fare, affinché l’imperfezione scompaia, affinché l’ingiustizia venga sradicata. Si vede ciò che si deve diventare. Questa è la conoscenza di sé, che si sentono in sé le forze primordiali che vanno già oltre la morte, che bisogna dire a sé stessi: Queste forze vivono in noi dopo la morte; quando ci liberiamo dal corpo, facciamo ciò che esse richiedono. Ora devo lasciar perdere l’ingiustizia, devo conservare queste imperfezioni, ma sento queste forze come la forza germinativa nella pianta: cosí sento la forza che può sradicare l’ingiustizia. Ora, attraverso la visione interiore, sappiamo che ci vogliono anni prima che ciò che si presenta attraverso la propria esperienza produca gradualmente le forze che possono davvero compensare l’ingiustizia. Ma non possono compensarlo ora. Devono prima passare attraverso un mondo spirituale, attraverso un mondo di esperienze spirituali. Come è vero che la coscienza fisica, quando vede il tramonto del sole, dice a se stessa: «Ora devi sperimentare la notte, poi il sole che è tramontato a Ovest potrà riapparire a Est», cosí è vero che il ricercatore spirituale, quando sperimenta le forze che si sviluppano come forze germinali nell’anima, sa che dopo aver sviluppato gradualmente queste forze, dopo aver compreso interiormente dopo la morte – o aver imparato a comprendere nel corso degli anni – quali devono essere le forze che possono portare all’equilibrio, è necessario immergersi in un mondo spirituale per trovare le forze che sono cosí vere, che ora vengono in un certo modo raccolte da questo mondo spirituale, si potrebbe dire respirate spiritualmente, in modo che l’essere umano, dopo aver attraversato questo mondo spirituale tra la morte e una nuova nascita, diventi nuovamente maturo per entrare in una nuova vita terrena con queste forze che sono state elaborate interiormente nel modo descritto.
Ma la ricerca spirituale può anche dare un’idea di ciò che l’anima deve affrontare quando, dopo la morte, ha acquisito spiritualmente quei poteri alla luce della vita passata, dopo aver capito quali poteri deve avere quando si preparerà per una nuova vita terrena passando attraverso il mondo spirituale. Infatti, anche se riesce a mantenere la sua visione spirituale abbastanza a lungo attraverso esercizi continui, finché è nella vita terrena, il ricercatore spirituale non può trasformare lui stesso questi poteri. Ma egli guarda nel “mondo” spirituale; vede il materiale per questa trasformazione. Vede, per cosí dire, come le forze in lui desiderano una nuova vita. Come in un germe umano si può vedere un polmone che non è ancora venuto alla luce del sole, ma che si capisce che quando entrerà nell’aria respirerà, cosí, quando l’anima si libera dal corpo, si vedono nel mondo spirituale gli organi spirituali che respirano nell’aria spirituale, che però si formeranno spiritualmente solo quando andranno verso una nuova vita sulla Terra. Si impara a conoscere questo processo di formazione spirituale a prima vista, a capire cosa significa afferrare la sostanza spirituale con gli organi spirituali. Se si vuole usare un’espressione per ciò che accade all’anima, non c’è altra espressione nel linguaggio ordinario che dire: è, sotto un certo aspetto, una beata esperienza, perché, nell’esistenza tra la morte e la nuova nascita, è una vita in attività, un continuo richiamare e appropriarsi di sostanza spirituale, una creazione, una realizzazione dei presupposti per una nuova vita sulla Terra. Nel corso di questa esistenza l’anima si sente parte di un mondo spirituale e quindi – dopo aver sentito ciò che deve trovare di tragico nella vita passata e nella sua visione – percepisce come una beatitudine celeste ciò che deve svilupparsi come forze germinali sulla base della vita passata.
Cosí abbiamo raccolto quello che possiamo definire il senso della sopravvivenza quando l’uomo ha varcato la porta della morte: prima una specie di miraggio della vita passata sulla Terra che dura diversi giorni, seguita da una revisione spirituale; perché quest’ultima esperienza emotiva non è solo una retrospettiva, ma un rivivere la vita passata sulla Terra, in cui si sperimenta tutto ciò che si è commesso in quanto difetti, in torti, tutto ciò che si sarebbe dovuto compiere in modo diverso, per poter realizzare nella vita successiva ciò che si sarebbe voluto ottenere, e infine un’elaborazione delle forze di cui si ha bisogno affinché la vita successiva possa essere diversa.
Finché si ha ancora una visione retrospettiva della vita passata, si tratta solo di un’elaborazione mentale di queste forze, che procede in modo tale da farci capire quali forze dobbiamo avere nella prossima vita terrena. Ma se si è rivissuta completamente la propria vita, se dopo la morte si è nuovamente attraversata spiritualmente la propria vita terrena, allora si giunge in una regione puramente spirituale dove, possiamo dire, si respirano spiritualmente in sé tutte quelle forze che poi scenderanno per unirsi a ciò che il padre e la madre possono dare nella sostanza fisica per formare una nuova vita terrena.
Ora, potrebbe sembrare che ciò che ho appena descritto come il passaggio dell’uomo attraverso la vita tra la morte e una nuova nascita renda necessario che le successive vite terrene siano sempre piú perfette. Tuttavia, questo non è proprio il caso. Non è cosí per il motivo – e ancora una volta l’effettiva ricerca spirituale lo dimostra se si ha solo almeno la visione dell’anima che si è liberata dal corpo – perché è proprio vero quello che ha detto un grandissimo spirito negli ultimi tempi praticamente già malato di mente [Friedrich Nietzsche]: che il mondo è profondo e davvero piú profondo di quanto si pensi, che possiamo arrivare solo lentamente e gradualmente a ciò che è predisposto in noi, e che i nostri poteri umani sono del tutto imperfetti rispetto a ciò che devono diventare un giorno e a ciò che può porsi davanti a noi come ideale di vera umanità. Diventa allora evidente che non sempre siamo in grado di vedere dopo la morte quali forze dobbiamo acquisire per poter rimediare al male che abbiamo fatto. E ci sono molte forze in ballo, per cui può accadere che crediamo di poter compensare ciò che abbiamo fatto per egoismo nella vita prima della morte con un egoismo ancora piú grande, e ciò che abbiamo fatto come follia lo vogliamo compensare con una follia ancora piú grande. Cosí può accadere che l’incarnazione terrestre successiva si presenti come ancor piú imperfetta, come un tirocinio ancora piú severo di quello precedente. Nel complesso, però, il passaggio dell’essere umano attraverso le ripetute vite terrene è un’ascesa. È del tutto possibile che l’uomo, quando ripensa alla vita passata sulla terra, sia in errore sul modo in cui qualcosa può essere compensato, e che quindi si verifichino delle cadute, apparenti o reali. Ma nel complesso le gravi “cadute” dell’uomo sono spesso seguite da forti ascese, poiché dopo la morte accade la terribile cosa di rivedere all’indietro ciò che abbiamo fatto come un profondo torto, o ciò che si è attaccato a noi come una grande imperfezione e che, dopo la profonda caduta, grazie a questo sperimenteremo una grande ascesa.
Molte cose diventano evidenti quando il ricercatore spirituale osserva la vita con occhio attento, perché una cosa non si verifica da sola. Se si ha come sfondo la propria vita dopo la morte, allora ci si fonde con il mondo spirituale, ci si unisce al mondo spirituale; per cui, quando con la propria esperienza animico-spirituale si scopre un torto commesso in vita, si incontra contemporaneamente anche l’anima nei confronti della quale si è commesso questo torto, e si vive quindi il torto che è stato fatto a quest’anima. In generale, allargare lo sguardo al mondo spirituale ci porta non solo alla nostra, ma anche all’altra anima umana. S’impara ad osservare l’altra anima umana, cosí che, anche se è difficile da credere per la coscienza contemporanea, si entra in una visione dell’altra anima umana e si arriva davvero a seguire un’anima che è già disincarnata, che ha già attraversato la porta della morte. Tuttavia, è necessario richiamare l’attenzione su questo aspetto: se il ricercatore spirituale si sforza di allargare la propria vita in modo tale da penetrare nello spazio del vissuto – lo “spazio” è ovviamente inteso qui in modo simbolico – dove si trova un’anima qualsiasi, allora può conoscere il destino di quest’anima dopo la morte. Bisogna solo dire che all’inizio si sperimentano i destini di quelle anime con cui si è stati uniti nella vita passata; ma nell’ulteriore esperienza spirituale si presentano anche i destini di quelle anime con cui si è stati uniti nelle vite terrene precedenti. Allora al ricercatore spirituale si rivela che egli sviluppa relazioni con quasi tutte le anime sulla Terra; solo che il loro riconoscimento è spesso straordinariamente difficile e può riuscire solo con determinati aiuti.
Quando si parla dell’immortalità dell’anima umana in questo modo, all’individuo possono sorgere alcune domande. Se uniamo quanto spiegato nella lezione precedente con quanto presentato oggi, si può dire che possiamo capire quanto la coscienza quotidiana può svilupparsi solo stendendo come un velo sulla parte eterna dell’anima umana, e che quindi sviluppiamo la coscienza sensibile solo perché tra la nascita e la morte oscuriamo ciò che si svolge dopo la morte. Secondo quanto detto nell’ultima lezione, dobbiamo portare la morte dentro di noi per poter avere la coscienza del presente. Nella misura in cui sviluppiamo le forze che ci portano alla morte naturale, possiamo sviluppare la coscienza quotidiana. Il fatto che possiamo morire rende possibile avere il mondo dei sensi intorno a noi.
Cosí si può capire che, per modo di dire, l’uomo deve morire quando ha vissuto tutta la sua vita. Ma chi sente parlare del significato dell’immortalità proprio in questo modo, deve sempre porsi la domanda: che dire di quelle vite che finiscono incompiute, sia per malattie o debolezze interiori, sia per disgrazie, magari nel fiore della vita fisica terrena? Cosa può dire il ricercatore spirituale su queste morti? Come si integrano nell’intero corso della vita terrena e cosa diventano in ciò che l’uomo porta con sé attraverso la porta della morte quando entra nel mondo spirituale?
Non voglio parlare in astratto. Da molti anni tengo qui queste conferenze. È quindi del tutto naturale che ora, dopo che è stato dato ripetutamente un ciclo del genere, alcuni possano ritenere che le descrizioni qui riportate siano mere asserzioni. Si sperimenterà ancora e ancora il fatto che coloro che sentono queste cose per la prima volta e non conoscono la letteratura in merito, si presentano con obiezioni che da tempo sono state eliminate. Ma se si dovesse dire sempre la stessa cosa ogni anno non si potrebbe progredire nelle riflessioni. Pertanto, di fronte a quelle che possono essere obiezioni del tutto giustificate, devo sottolineare che è doveroso dire: si dovrebbe cercare di approfondire la bibliografia e tenere conto del fatto che tali obiezioni sono già state eliminate nel corso delle numerose conferenze.
Prendiamo il caso che una vita umana nel fiore degli anni venga stroncata da un incidente. Il ricercatore spirituale si trova di fronte a quanto segue. Se segue quest’anima oltre la morte, scoprirà che, passando attraverso questo incidente, ha assorbito in sé poteri in grado di preparare facoltà intellettuali piú elevate per la prossima vita terrena rispetto a quelle che sarebbero state sviluppate se non ci fosse stata questa disgrazia. Soltanto, però, si capirebbe male il ricercatore spirituale se si accarezzasse il pensiero seguente, anche il piú remoto: sarebbe molto facile rendersi piú intellettuali per la prossima vita sulla terra se ora ci si lasciasse investire da una macchina. Non è cosí. In realtà non è la coscienza che abbiamo tra la nascita e la morte che può decidere ciò che è necessario nel destino umano oltre la morte, ma quella coscienza superiore che penetra prima della nascita o dopo la morte nel mondo puramente spirituale. Con la coscienza che possiamo sviluppare nel corpo fisico, non possiamo mai prevedere se un incidente agirà su noi in questo o quel modo. In molti casi, però, al ricercatore spirituale appare che, durante una vita precedente alla nostra attuale nascita in quanto esperienza spirituale, la nostra anima, in una coscienza puramente spirituale, ha già subíto un tale destino che ha provocato, necessariamente, questo incidente. Non spetta a noi deciderlo dopo la nascita. Prima della nascita indirizziamo la nostra esistenza verso la disgrazia, in modo che la nostra anima passi, per cosí dire, attraverso la possibilità delle modalità fisiche di attività esteriori, per distruggere il nostro corpo fisico, in modo che al momento del trapasso abbiamo l’esperienza su come funziona la nostra umanità nella disgregazione, se il corpo non si sviluppa in modo naturale. Ha un senso positivo – ma non per la nostra coscienza quotidiana, bensí per la nostra supercoscienza – che a causa di incidenti alcune vite umane possano anche finire, per cosí dire, prima di raggiungere la normale vecchiaia.
Per quanto sia azzardato dire queste cose al giorno d’oggi, bisogna però anche sottolinearle. E in molte anime che il ricercatore spirituale incontra, nelle quali trova questi o quei talenti nella loro predisposizione di partenza, può risalire alle vite terrene precedenti e vedere come, attraverso le disgrazie di una giovane età, si siano sviluppati nel mondo superiore i talenti di invenzione, i poteri di intuizione, capaci di rendere grandi servigi all’umanità. Basta considerare razionalmente come una certa età dell’uomo sia necessaria per questi o quei compiti che sono di tipo essenziale. I grandi inventori ci arrivano a una certa età, per mezzo di una concentrazione massima delle loro capacità, per cui certe forze si innalzano dal profondo della vita. Non deve essere necessariamente un’invenzione epocale, può anche essere qualcosa che serve alla vita quotidiana. Ciò può essere dovuto al fatto che in una vita precedente sulla terra quest’anima ha dovuto affrontare delle condizioni di vita fisica che a quel tempo hanno distrutto il suo corpo. Passando attraverso le forze che distruggono la vita fisica, l’anima acquisisce capacità di invenzione che dominano, dirigono e compenetrano il mondo fisico. Che queste cose possano essere investigate non può essere “dimostrato” dalla logica esterna ordinaria; ma può essere fatto solo ciò che è stato spesso mostrato in queste conferenze: come l’investigatore spirituale, attraverso una metodologia rigorosamente regolata della sua vita animica, arriva ad essere in grado di osservare realmente ciò che accade nel momento in cui un’anima sperimenta qualche disgrazia che la porta a questo o a quello, o addirittura alla morte.
Oppure prendiamo un altro caso: se una giovane vita umana viene portata via relativamente presto da una malattia, allora diventa evidente al ricercatore spirituale che non è tanto la vita intellettuale nella prossima incarnazione a esserne influenzata, ma essenzialmente la vita della volontà. Anche in questo caso, non dobbiamo ottenere un tale rafforzamento della vita della volontà, che desideriamo nella coscienza ordinaria, permettendole di ammalarsi. Quando, però, nell’intero contesto dell’esistenza, che è dominato dal mondo spirituale, una vita umana viene portata via nel fiore della sua esistenza da una malattia polmonare o di altro tipo, il ricercatore spirituale scopre molto spesso che tale anima, passata attraverso tale malattia, non è stata in grado di sviluppare quella forza di volontà interiore che era già predisposta in un certo modo. La corporeità esterna opponeva resistenza. Ma passando attraverso la malattia e sperimentando la resistenza del fisico, l’anima spirituale ha trovato in questa resistenza, quando poi è passata attraverso la vita tra la morte e la nuova nascita, ciò che poi dà quella forza di volontà. Ed è proprio attraverso questa contemplazione che ci si rende conto che la vita acquisisce il suo significato in tutte le sue sfaccettature.
Si deve certo dire che tutta la sofferenza che proviamo nella vita fisica terrena, che giustamente proviamo quando ci troviamo di fronte alle disgrazie della vita o affrontiamo il nostro destino, questa sofferenza ci sarà sempre. Questo non sarà completamente eliminato, ma forse può essere alleviato se ci si rende conto che, considerando la vita da un punto di vista piú elevato, la saggezza comunque pulsa e tesse le nostre vite. Da un punto di vista piú elevato, tutta la sofferenza che si intreccia con la vita sembra appartenere all’evoluzione, e il ricercatore spirituale procede da questo: presumere e trovare la saggezza nel mondo fin dalle origini. Egli contempla la vita con tutte le sue fortune e le sue disgrazie; e come il risultato di un calcolo non c’è finché non lo si è eseguito, cosí non c’è saggezza nella vita umana finché non ci si convince, esaminando tanti casi, che la saggezza è comunque alla base di tutta la vita. Poiché ci troviamo in un’esperienza che deve avvenire attraverso il corpo, gli incidenti avranno un effetto corrispondente, avranno ripercussioni come esseri umani, e la vita nel corpo, se non potesse provare dolore negli incidenti, dovrebbe apparirci come una vita disumana.
Ma come la percezione dei sensi nella vita ci nasconde ciò che l’anima spirituale è nel suo significato eterno, cosí l’esperienza nel corpo nasconde quel punto di vista superiore da cui tutta l’esperienza cosciente dell’uomo appare permeata di saggezza. Il ricercatore spirituale non diventa come un raccolto di un campo inaridito perché è in grado di vedere la saggezza anche nelle disgrazie. No, proprio perché può elevarsi a un punto di vista piú alto, la panoramica della vita nella saggezza gli appare penetrata spiritualmente, ragionevole. Ma poi, quando entra di nuovo nella vita terrena e la sperimenta nel suo corpo, è ovviamente un essere umano sensibile come tutti gli altri. Come chi sale sulla vetta di una montagna e gode di una bella vista dalla cima non deve smettere di avere un occhio per ciò che accade nella valle sottostante, cosí il vero ricercatore spirituale, quando si trova di fronte alla felicità e alla sofferenza nella vita tra la nascita e la morte, non può perdere la compassione e la simpatia per tutte le felicità e le sofferenze umane. Ma è proprio questa ricerca spirituale a mostrare che l’uomo non è nato per disperarsi di fronte all’eternità, ma che ogni sguardo nel regno dello spirito gli mostra il mondo in modo saggio, significativo e che la conoscenza della vera immortalità è allo stesso tempo conoscenza del significato dell’immortalità.
Anche dando solo delle indicazioni sull’immortalità umana e sulla sua natura, deve emergere il significato di questa stessa immortalità umana. Sono proprio queste le cose che il ricercatore spirituale deve esprimere con parole che si trovano, per cosí dire, al di fuori della vita ordinaria, se vuole indicare ciò che l’uomo sperimenta dopo aver varcato la porta della morte. Ciò che si sperimenta nella vita ordinaria non offre alcun indizio per caratterizzare la vita dopo la morte, se la si vuole riconoscere nella sua sostanzialità spirituale.
Perciò deve essere chiaro che l’uomo non potrà portare con sé l’immagine di un singolo leone o di una singola montagna attraverso la porta della morte, ma quell’attività animico-spirituale interiore attraverso la quale arriviamo a concepire una montagna o ad immaginare un leone e ad averli nella nostra coscienza li portiamo attraverso la porta della morte. Ciò che portiamo di piú attraverso il cancello della morte è proprio quello che non è effettivamente “reale” in vita. Quando vediamo diversi leoni, ci formiamo il concetto del leone. Naturalmente è un gioco da ragazzi dimostrare che nella realtà dei sensi non esiste il concetto di leone, ma solo il singolo leone; allo stesso modo non esiste il concetto di montagna, ma solo la singola montagna. Ma ciò che ci permette di riconoscere e comprendere le montagne e i leoni, di comprendere lo spirito, di riconoscere la giustizia, la libertà e cosí via, ciò che ci rende capaci di vivere con un’anima umana come con i nostri simili, ciò che ci permette di penetrare nell’anima umana attraverso misteriose simpatie, quella misteriosa trama da anima ad anima, è quello che portiamo con noi attraverso la porta della morte. E quando viene posta la domanda: «Dopo la morte saremo di nuovo insieme a coloro che ci sono vicini?» possiamo dire: saremo di nuovo insieme a loro! C’è una riunione con coloro che ci sono stati vicini nella vita. Anche tra la nascita e la morte ci sono legami tra le anime che appartengono al mondo extraterrestre, che non si vede ancora solo perché lo sguardo dell’anima è bloccato dalla vista fisica.
Esplorare lo spirituale, se ci si arriva davvero, significa allo stesso tempo necessariamente riconoscerne l’eternità. Riconoscere l’essere umano come spirito significa riconoscere l’eternità dello spirito umano. E in realtà, come ricercatore spirituale, bisogna dire quanto segue, per quanto possa sembrare strano: chi considera lo spirito come mortale, non può riconoscerlo nella realtà. Per la ricerca spirituale i filosofi che non credono nell’immortalità dell’anima umana sono come i botanici che negano l’esistenza delle piante. È certo il modo di guardare il mondo dello spirito, come appare allo sguardo del ricercatore spirituale, che fa dire: l’anima impara a riconoscere lo spirituale come qualcosa di naturale, cosí come il botanico riconosce la pianta per quella che è. Perciò possiamo dire che in relazione al mondo spirituale la cosa piú preziosa per tutta la vita umana, in rapporto al comportamento dell’anima umana dopo la morte, è ciò che nell’esperienza fisica dei sensi è nascosto dalla visione esteriore, ciò che non viene percepito nel fisico.
Chi vuole portare dei concetti nella vita che segue la morte, chi non vuole soffrire di fame – se posso usare questa espressione – dopo la morte, deve acquisire concetti che già qui, nella vita terrena, non si estendono solo al sensibilmente percepibile, ma vanno oltre. Nella vita dopo la morte possiamo nutrirci, come di concetti, di ciò che conosciamo della Scienza dello Spirito. Se qualcuno credesse che la mancanza di concetti lo potrebbe uccidere dopo la morte, allora bisogna dire che l’anima, essendo immortale, può sí soffrire di fame mentale, ma non può, come il corpo fisico, morire di fame mentale.
Quindi ho potuto darvi solo qualche accenno sul significato dell’immortalità dell’anima umana. Naturalmente, chi dà questi suggerimenti sa meglio di tutti cosa può, o spesso deve, essere obiettato da coloro che sono cosí totalmente immersi nella coscienza del tempo presente. Viviamo certo in un’epoca che, da un lato, non è assolutamente disposta a riconoscere che lo sviluppo dell’anima, di cui si è qui trattato, conduce davvero a un’esperienza puramente spirituale, in cui si realizza ciò di cui si è parlato; ma allo stesso tempo viviamo in un’epoca in cui, nelle profondità inconsce dell’anima umana, si desidera andare oltre la conoscenza dell’intelletto e di ciò che è ad esso legato. Ci possono anche essere delle persone che dicono: perché l’uomo non può stare con quello che la natura gli ha dato, con l’intelletto e i sensi che gli sono stati dati dalla natura? Ma sarebbe come se qualcuno dicesse che il bambino dovrebbe accontentarsi di quello che ha in quanto bambino e non imparare quello che dovrebbe fare in quanto uomo. Avrebbe esattamente lo stesso punto di vista chi dicesse che l’anima deve fermarsi alle facoltà che le sono già state date.
Osserviamo che, laddove si riesca a liberarsi dai pregiudizi piú grossolani che il secolo ha portato, si arriva alla vera natura di ciò che è l’essenza dell’uomo. Si può notare come i filosofi contemporanei si stiano distaccando dall’esperienza puramente fisica e dall’interpretazione dell’esperienza puramente fisica. Resta interessante, anche se il bersaglio è stato mancato, che il filosofo francese Bergson veda nella memoria qualcosa che conduce allo spirituale. Ma da questo esempio si può capire quanto sia difficile per i filosofi di oggi elevarsi al riconoscimento del mondo spirituale. E in altri punti ancora si vede come la vita animica, se si sviluppa in modo sano, giunga fino alla porta d’ingresso della scienza spirituale.
È molto interessante che ciò che nella vita ordinaria si chiama attenzione, aumentata senza limiti, dia la possibilità di fare dell’uomo qualcos’altro, e poi, quando si vede come un filosofo molto importante del presente, che tuttavia rimane bloccato nei concetti del presente, McGilvary, esca dalla sana natura americana proprio nel punto in cui dice a se stesso: «Se si vuole conoscere il vero essere dell’anima, se si vuole sapere cosa sia l’anima, cosa sia l’immortalità, lo si può fare solo con lo sviluppo dell’attenzione». E McGilvary arriva a dire a se stesso che l’uomo può conoscere attraverso uno sforzo, attraverso un accrescimento dei poteri di attenzione, che grazie a questo sforzo si arriva a percepire un’anima spirituale che si possiede come attività interiore. Da questo si vede come tali sforzi conducano fino alla porta della Scienza dello Spirito.
Oppure un altro esempio. Mi sono sentito molto soddisfatto quando sono entrato in possesso di un trattato scritto da un direttore di ginnasio di grande talento, Deinhardt, a Bromberg. Qui si vede come un uomo altamente istruito del giorno d’oggi, che non poteva ancora sapere nulla della particolare Scienza dello Spirito, lotti con le questioni piú alte della vita umana. Altri hanno fatto lo stesso. Ma è interessante vedere come, durante la conferenza in cui il direttore del ginnasio ha presentato le sue idee sull’immortalità dell’anima umana, l’editore abbia richiamato l’attenzione su una lettera ricevuta da questo direttore in cui questi scriveva che se fosse stato ancora possibile per lui continuare i suoi sforzi su questo punto, avrebbe voluto mostrare anche come nella vita tra la nascita e la morte l’anima lavori su un corpo sottile, che poi attraversa la porta della morte. È commovente vedere qualcuno che, in un’epoca di fioritura del materialismo, si confronta con il problema appena affrontato in queste due ultime conferenze, in cui si è cercato di dimostrare che attraverso la ricerca spirituale si coglie il nucleo immortale dell’essere umano, che si sviluppa e continua a svilupparsi, che attraversa la porta della morte per prepararsi a una nuova vita sulla terra passando attraverso il mondo spirituale. Quello che qui è stato chiamato “nucleo spirituale – anima” nella sua evoluzione, questo direttore di ginnasio lo definisce un “corpo sottile”, che l’anima organizza per portarlo attraverso la morte e nel quale possono raccogliersi le forze piú elevate, di cui l’anima ha bisogno per continuare il suo sviluppo per la vita nel suo complesso.
Anche se oggi, grazie alle grandi e ammirevoli conquiste della scienza, lo sguardo viene distolto dallo spirituale e quindi l’immortalità dell’anima umana non è ancora riconosciuta e nemmeno considerata, si può comunque vedere la lotta per i concetti. Dall’altro lato, si assiste alla lotta per i concetti che danno all’uomo un’immagine di ciò che è presente dopo la morte e che, poiché non è presente solo dopo la morte ma, nelle parole di Hegel, «è presente anche nella vita», porta solo forza e sicurezza nella vita e rende l’uomo un essere umano completo. E a chi può fare a meno di queste “cose metafisiche”, si può dire che la vita non può svolgersi in altro modo se non quello di far emergere dalle sue profondità ciò che libera la vista dell’eterno, dell’immortale, anche se lo sguardo dell’anima può essere oscurato per intere epoche.
Si può quindi affermare che, anche per ciò che oggi sembra paradossale, arriverà il momento in cui sarà compreso nello stesso modo in cui sono sempre state comprese le conquiste della scienza che hanno portato avanti l’umanità. Ho già sottolineato che con la scienza spirituale ci si sente in armonia con la scienza attuale, con tutte le personalità dell’evoluzione dell’umanità che penetrano nello spirito e nella sua vita. Per questo oggi, al termine di queste riflessioni, attraverso le quali ho cercato di interpretare, in un modo direi balbettante, il significato dell’immortalità dell’anima umana – perché di queste cose si può parlare solo in modo balbettante – vorrei fare riferimento a qualcosa che è emerso dal filosofo greco Eraclito, che ha rivolto uno sguardo profondo dal punto di vista del suo tempo sull’esperienza del cosmo; ciò che è scaturito dall’anima di questo filosofo che, come si rivolgeva all’intero universo, sentiva la propria anima trasportata dal “flusso del divenire”. Eraclito vedeva nel divenire, nel mai sopito divenire, la caratteristica effettiva del cosmo. “Essere” era per lui un miraggio. In verità, ciò che è, lo è solo in apparenza. Tutto è all’interno del flusso del divenire, in un’attività sottile e l’anima è intrecciata a questa attività che scorre eternamente. Per Eraclito, il fuoco era il simbolo del divenire e sentiva che la sua anima era posta nel divenire-fuoco del cosmo. Vivendo profondamente nella sua anima, sentí, come un’esperienza interiore, come un’immediata osservazione interiore, l’impulso all’immortalità. E lo ha espresso in un modo tale che le sue parole, cambiate solo leggermente, vogliono essere la conclusione delle riflessioni sull’immortalità umana che oggi ho cercato di esprimere in modo piuttosto sommario. L’occhio addestrato del ricercatore spirituale dimostra che è vero: «Quando l’anima, liberata dal corpo, oscilla verso l’etere libero, si mostra come uno spirito immortale, liberato dalla morte!»
Rudolf Steiner (2a parte – Fine)
Conferenza tenuta a Berlino il 4 dicembre 1913.O.O. N° 63
Traduzione di Angiola Lagarde.
Da uno stenoscritto non rivisto dall’Autore.