Eroe di due mondi

Considerazioni

Eroe di due mondi

Due mondi

 

Il titolo richiama con immediatezza il grande personaggio di Giuseppe Garibaldi; non è però questo il tema nel quale desidero inoltrarmi; altri­menti il titolo sarebbe stato: “L’Eroe dei Due Mondi”. Il che sta a dire che il presente scritto non riguarderà in via specifica il Generale del nostro Risorgimento, anche se, per tutt’altre vie, ne verrà ricompreso comunque.

 

Questo articolo è dedicato invece a un altro “Eroe”, di cui non c’è motivo di mettere in evidenza nome, cognome e codice fiscale; si tratta di un uomo qualunque, di una qualsivoglia nazionalità, vivente, o vissuto, in un’epoca qualsiasi.

 

Chi conosce la Scienza dello Spirito, avrà sicuramente incontrato il termine “cittadino di due mondi”, riferibile ad ogni essere umano: per due mondi s’intende un mondo fisico materiale, in cui ci troviamo con la nostra organizzazione psicosomatica durante soggiorni temporanei su questa terra, e quello eterno dello Spirito, in cui risiede l’Io immortale, che in determinate epoche e circostanze accoglie e si ricongiunge all’anima purificata, o se ci piace dirlo, nobilitata, dai periodi d’impegno, tra nascita e morte, nella lotta per la sopravvivenza e di quelli molto piú lunghi di decantazione tra morte e nuova nascita.

 

Tutto ciò è, senza dubbio, interessante e di enorme portata per quanti ne fanno oggetto di opportune meditazioni, ma mentre dà competenza all’ap­pellativo di “cittadino”, non giustifica quello di “eroe”. Semmai uno, dopo essere venuto al mondo, potrà com­piere delle gesta o delle azioni memorabili, che verranno ricordate dai posteri: atti di valore bellico o anche semplicemente di abnegazione, di altruismo civile, per i quali il titolo di eroe sarà riconosciuto come ap­propriato e gratificante.

 

E per tutti gli altri? Per tutti quelli che non sono stati eroi, neppure per un attimo nell’arco delle loro esi­stenze? Per tutti quelli che, solo “cittadini”, non si sono mai comportati valorosamente, né con azioni e nem­meno con pensieri o sentimenti? Il che ci mette un po’ fuori pista, perché è impossibile osservare ciò che un uomo si porta dentro, nella mente e nel cuore, se non è lui stesso a rivelarlo; ma dal momento che anche il piú patentato degli storiografi non disdegna sbilanciarsi in giudizi aprioristici, ne approfitto anch’io, tanto per vedere se qualcuno solleverà, o sorvolerà il problema.

 

Dobbiamo pertanto dare ragione a Nietzsche e a Wagner quando ci illustrano e decantano i loro Super-uomini senza macchia e senza paura? E senza i quali, il resto dell’umanità è solo una squallida accozzaglia di ometti tremebondi, meschini, un po’ furbetti, un po’ tenerelli, ma sempre intenti a contrastarsi sfacciatamente l’uno l’altro, salvo nei momenti di una qualche particolare minaccia in comune, ove allora disperazione e fifa blu li coalizzano in bande, clan, tribú, gruppi e associazioni? Essi dicono: l’unione fa la forza. Va bene, non voglio contraddire. Ma allora ci si deve chiedere da dove hanno tratto il coraggio quelli che abbiamo voluto classificare come Eroi, e che, come tutti ben sappiamo, erano per lo piú soli, decisamente soli, nel momento fatidico della loro esistenza, con nessuno che potesse incoraggiarli o prestare un minimo d’aiuto. Anzi: c’è di piú; quegli Eroi, nell’apice del loro sacrificio, hanno spesso saputo infondere il coraggio agli altri, del tutto ignari di una tale possibilità, cementando quindi un legame di solidarietà e di fratellanza tra uomini grazie a quel tipo di forza che è scaturita dai loro petti.

 

Non è l’unione quindi a portare la forza; la forza c’è sempre, ha però bisogno di un uomo che sappia di esserne il portatore, che se ne renda conto e si comporti di conseguenza; altrimenti la forza, qualsiasi forza, se ne resta lí sospesa a mezz’aria, invisibile e impercepibile a chiunque, come l’energia elettromagnetica prima di venire scoperta.

 

L’ipotesi che desidero qui illustrare non proviene dal sacco delle mie farine; le Guide Spirituali della moderna umanità, mi hanno fornito di molti elementi per comporla, ma come succede nei casi in cui veniamo posti davanti a una dovizia di riferimenti, trovare il modo migliore per sistemarli secondo un disegno che rispetti le esigenze piú profonde della nostra interiorità, non è, per ora, cosa di tutti i giorni né alla portata di chicchessia.

 

Per cui espongo la mia ricostruzione, scusandomi fin d’ora se non sarà gradevole o apprezzabile per molti. Sono bensí convinto di averla attuata grazie allo studio e alla meditazione dei testi di Antroposofia e di Scienza dello Spirito; lavoro che non ha pretesa di verità rivelata, ma riflette in sé quella luce della disciplina interiore che è stata indicata da Rudolf Steiner e da Massimo Scaligero. Quanto meno non stona al confronto di quella; e a me, questo risulta determinante.

 

I tre primi passi per inoltrarci in questa ipotesi di “Uomo Qualunque = Eroe di Due Mondi” sono i seguenti:

 

1. comprendere che siamo venuti qui VOLONTARIAMENTE;

2. se viene accolto totalmente e senza riserve questo primo punto, l’esistenza che ci vien data da vivere assume l’aspetto ben preciso di una MISSIONE;

3. se pure questo secondo punto viene compenetrato a fondo, in modo che nell’anima non resti traccia di dubbio o di esita­zione interpretativa, allora si arriva a cogliere che, in questo nostro esistere, per quanto difficile, strano, spinoso e contrad­dittorio possa apparire, è riposto il SENSO DELLA VITA; tale senso, cercato da tutta l’umanità con impegno, sudore, rabbia e disperazione (almeno cosí si racconta ) coincide perfetta­mente col significato stesso della MISSIONE.

 

Missione

 

Come si vede, i tre passi indicati sono semplici, quasi elementari; sono certo che probabilmente molti di noi, compatibili o incompatibili con le varie vie della spiritualità, leggendoli scritti cosí, in modo lapidario, si accorgeranno di averlo sempre saputo, solo che non era facile rivelarselo; veniva rimandato sine die, e quand’anche un barlume avesse loro rischiarato per un attimo la mente o il cuore, la cosa poi non sarebbe stata elaborata a sufficienza in modo coerente; neppure con quel residuo di dignità umana di cui la condizione epocale in corso ci lascia disporre.

 

Naturalmente moltissimi sono i pensieri e le riflessioni che, volendo analizzare i punti indicati uno ad uno, verranno elaborati e messi a confronto con quel che per ora ciascuno è riuscito a formulare e ad erigere in qualche modo dentro di lui. Ognuno infatti possiede un’opinione, un rapporto, un riferimento al suo proprio sé, alla vita e al mondo. A volte appena tratteggiato, altre invece nettamente marcato, stabile o labile, solidifi­cato o provvisorio, il modello concettuale interiore che siamo riusciti a costruirci, è, nel bene e nel male, il solo indicatore, l’unica bussola mediante la quale navigare nei flutti esistenziali.

 

Gerarchie angeliche

 

Ci si può chiedere (e poterselo chiedere è un bene prezioso): «Per quale misteriosa ragione io dovrei essere un’entità spirituale che ha scelto d’incarnarsi su questa terra a svolgervi una missione ancora piú misteriosa?».

 

La saggezza della Scienza dello Spirito risponde: perché oltre alle nove Gerarchie Superiori, ve n’è una decima, formata da Spiriti (o anime potenziali) che hanno come fatto costitutivo la prerogativa di voler sfidare le forze antispirituali della materia: Spiriti convinti di poter scendere in un mondo fisico-sensibile, rinchiusi in una struttura anch’essa fisico-sensibile e fatta della medesima sostanza del mondo ospite, e operare colà – temporaneamente, fino all’ordine del richiamo – un’attività che abbia quale prevalente fine il ridestamento delle Forze della Creazione assopite, incatenate nella terra.

 

In altre parole, piú comuni: trasformare l’odio in amore, sublimare il male nel bene e preparare le condizioni di esistenza fisica tali da far progredire quelle anime che, incarnatesi dopo di noi, saranno a loro volta votate al cimento. Si tratta quindi di spiritualizzare la realtà del mondo in cui viviamo, scoprendone dapprima l’ingan­nevole (o meglio, l’incompleta) parvenza, e cogliendo, dietro questa, il germe custodito della spiritualità, che come qualunque pianta o fiore non potrebbe sviluppare se non in presenza di aria, luce e acqua.

 

In tal caso gli uomini, nascendo sulla terra, dovrebbero intuire d’essere coloro che, con il sacrificio e la lotta insita nelle ripetute esistenze, porteranno aria, luce e acqua necessari al risveglio e alla perpetuazione della vita spirituale del mondo; della quale, le fasi bio-fisico-sensibili sono solo momenti in cui l’Opera dall’Alto ha voluto arrestarsi affinché venisse ripresa e continuata dal basso, mediante la presenza di Spiriti umani volontari; anime capaci di un particolare addestramento, racchiuse in involucri di carne e sangue con i quali poter compiere il fine di cui portano il segno.

 

Detto cosí, sembrerebbe semplice ed anche facile. Ma le cose sono invece complicate; giustamente com­plicate, dacché ogni dinamica si chiama cosí in quanto si avvale del principio d’incontro-scontro, senza il quale nessuna forma di attività energenica potrebbe funzionare nell’universo.

 

E di “incontri-scontri” le nostre esistenze abbondano sempre.

 

Prima delle difficoltà che possiamo distinguere come “esteriori”, dobbiamo illustrare alcune difficoltà interiori che sorgono immediatamente con il nostro stesso nascere.

 

Per esempio, la Volontarietà di cui parlavo poco prima, non è un’intuizione gratuita. Prima che durante una vita questa possa in qualche modo affacciarsi come ipotesi ad una delle tante finestrelle dell’anima (anima cosciente, non certo senziente né razionale-affettiva, per capirci) passano decenni. Di fronte all’eternità, i decenni sono poca cosa, ma nell’economia spazio temporale di una singola esistenza umana, hanno il loro peso.

 

Con l’acquisizione di questa enorme Idea, che già di per sé è una concezione potenziale trascendente i limiti dell’ego, molte cose, molti eventi che ci riguardano da vicino, dapprima incomprensibili, enigmatici e non di rado considerati ostili, si pianificano, diventano evidenti e ci fanno esclamare: «Ah dunque, questo era! Ora capisco! Ora so cosa si esige da me!».

 

Arrivano cosí i ricordi, connessi a quello stato di Volontarietà ancestrale; ricordi che senza una rettifica­zione degli intenti e delle disposizioni interiori, mai piú si sarebbero fatti strada nelle nostre coscienze, avvinte come sono alla minuzie dei particolari, ai dettagli meno significanti della vita; ingigantiti dalla paura o dal piacere dell’effimero, essi hanno sempre determinato un massiccio impedimento ad una visione sinot­tica della condizione generale nella quale ci muoviamo.

 

Siamo nati volontari, anzi, siamo volontari nati (ricordiamo qui, non solo di sfuggita, che l’atto d’amore compiuto dai nostri genitori è una causa necessaria ma non sufficiente alla nascita) per garantire alla Terra un afflusso continuo di moltitudini umane, tese in uno sforzo corale a continuare l’Opera iniziata dagli Dei, e rimessa ora nelle nostre mani.

 

E qui la domanda sorge spontanea (con un piccola specifica in aggiunta, nel senso che la spontaneità non equivale alla volontarietà, né all’autonomia, e nemmeno all’autodeterminazione, e che confondere la prima con le tre ultime è un errore grossolano): perché mai dovremmo essere dotati di un “ego” che fin dall’inizio, all’epoca in cui i nostri organi piú importanti erano appena in fase di abbozzo, si è arroccato in un fulcro, fermo, tetragono, irremovibile? in un centro dominante d’opposizione e di contrarietà permanenti a tutto ciò che di nostro vorrebbe invece evolvere e migliorare qualitativamente, in armonia con quel principio di volontarietà dal quale abbiamo preso le mosse?

 

Se siamo davvero nati in virtú di forze centrifughe, di forze d’amore e di generosità illimitate, per quale ragione una volta incarnati ci concediamo l’asservimento egoico a forze centripete ?

 

volontari

 

Forse nel passare da un Mondo all’altro, o dall’Altro Mondo a questo, abbiamo dimenticato qualcosa? Forse noi Volontari (la terminologia odierna che non ce ne lascia passare una, sforna parole adatte a tutte le nuove esigenze, e qui direbbe con­tractors o foreign fighters, ma la tra­duzione piú semplice resta quella di “Esploratori Tattici”) paracadutati sul fronte incandescente di una guerra eterna tra Bene e Male, non sapevamo che appena arrivati giú saremmo stati presi di mira dal fuoco nemico e ac­colti con raffiche di malvagità ed altri ordigni infernali? Nessuno nell’Aldilà ci aveva avvertito?

 

Ma sí, certo che lo sapevamo! Siamo stati allertati perfettamente; tutto ci venne spiegato puntino per puntino, prima del nostro arrivo nella fisicità; ci venne illustrato anche nel dettaglio, senza risparmiarci alcuno scenario di sofferenze, devastazioni e dolore (ma anche di felicità, di godimento, di gioia e buon umore, sia pure temporanei). A voce alta, senza esitazioni, abbiamo esclamato: «Sí, Sí, Sí! Voglio andarci!».

 

Il richiamo di essere gli unici Spiriti a provare l’ebbrezza del mondo delle percezioni e delle sensazioni, fu talmente grande e affascinante che prevalse di gran lunga su dubbi, timori e incertezze. Prevalse allora, e prevarrà anche in seguito, quando le nostre anime disincarnate potranno considerarsi veterane di tutti i campi di battaglia terrestri.

 

Tuffarsi nella bufera delle emozioni, nel turbinío dei sensi, poter di volta in volta decidere la scelta da fare nelle vicende che ci si aprono davanti, offrendoci il terribile ventaglio delle possibilità, come fossero le bocche spalancate di un mostro centoteste, era, ed è, un invito troppo allettante per essere schivato. Lo Spirito umano non è solo un volontario, ma è anche un temerario incline a lasciarsi sedurre dalla sua stessa temerarietà. Piú essa è teorica e piú la scambiamo per realistica.

 

Paese dei balocchi

 

O almeno cosí è fintanto che non si riveste di cor­poreità. Poi le cose cambiano, le antiche istruzioni si dimenticano, e non di rado l’esistenza terrena verrà affrontata in modo ben poco eroico, spesso meschi­netto, con un grado di coscienza e di serietà simile a quello di Pinocchio entrato, con gli occhi sgranati e la bocca aperta, nel Paese dei Balocchi.

 

Prima di capire che quei “balocchi” possono essere pericolosissimi e provocare alla lunga delle ritorsioni micidiali, dovranno passare decine di anni; forse una vita intera. Anche per questo si vive piú di una volta. La Divina Provvidenza, che ben conosce i suoi allievi, somarelli, svogliati e facili all’allettamento delle di­strazioni mondane, ci ha concesso, nella Sua Misericordia Infinita, di ripetere piú volte l’anno perduto.

 

Questa visione, di per sé abbastanza intricata e difficile, viene a deteriorarsi per una serie di ulteriori gravami, che sono le conseguenze dirette e indirette dei fatti descritti. La presenza di Forze Infere Ostacola­trici, estremamente intenzionate a tener lontane le anime degli uomini da un reale progresso spirituale, è cosa nota e risaputa; a volte anche comoda, perché nei casi di batoste sul campo, sconfitte e/o disfatte piú o meno collettive, si può sempre sostenere – a posteriori – che una lotta contro i demoni è del tutto impari e quindi la responsabilità di avvenimenti negativi non è da ascriversi sui curricula degli sconfitti.

 

Tsunami

 

In pratica, una débacle sul piano etico/spirituale viene eguagliata, per un certo senso contorto della logica terrestre, ad una sorta di catastrofe naturale. La colpa è dello tsunami, della valanga, del terremoto, dell’inon­dazione ecc. Oramai però sono molti a sapere che non è cosí, e che un rapporto tra la meteorologia planetaria, lo status animico ed il comportamento etico sociale degli uomini, c’è, ed è sempre piú influente.

 

Posso dire (l’ho sperimentato spesso in prima battuta) che fin quando cerco di sottrarmi alla mia respon­sabilità individuale, accampando tutte le giustificazioni di questo mondo, io continuo a subire questo mondo, ad essere suo prigioniero; m’illudo di scendere a patti con ciò che agita il tellurico e stabilire una sorta di pacifica coesistenza con le forze ostili.

 

È insensato mettersi a fare trattative col Diavolo; per questo il Diavolo si presenterà sempre in modo tale da non venir riconosciuto nemmeno dalle sensibilità umane piú deste e preparate.

 

Cavallo di Troia

 

Qual è il modo migliore per un acerrimo nemico del­l’uomo di invaderlo senza che egli abbia ad accorgersene? Il trucco del Cavallo di Troia fu attribuito ad Ulisse, ma l’idea veniva da lontano.

 

Il nemico, se vuole apparire perfetto, deve sempre presen­tarsi sotto forme rispettabilissime, colte, intelligenti, non ele­ganti ma sobrie, mostrarsi parco in ogni cosa, fare discorsi brevi ma sentenziali, pieni di spunti logico-dialettici inequivo­cabili in modo che chi lo ascolta non possa fare altro che con­venire, credergli ciecamente e concedergli completa fiducia.

 

Qualcuno penserà che tutto questo sia un’esagerazione e che, nel trovarsi di fronte ad un soggetto di questo tipo, non sia poi tanto difficile scoprire le sue mac­chinazioni di raggiramento e di plagio psicologico. Sicuramente, fra tanti, c’è sempre qualcuno che al mattino si sveglia prima degli altri (altrimenti enti come, ad esempio, banche e assicurazioni non sarebbero potute spuntare come funghi), ma bisogna qui rivolgere il pensiero alle forze della natura nelle quali non solo siamo immersi, ma di cui siamo compenetrati, per lo meno a livello somatico.

 

Quelle sono forze neutrali, né buone né cattive, non amichevoli ma neppure avverse; il loro compito non è morale, ma proprio per questo possono venir manovrate da entità che, rispetto all’uomo, hanno l’enorme vantaggio di non dormire mai.

 

Se davvero fossimo attenti all’aria che respiriamo, a quello che introduciamo nei nostri corpi in fatto di cibo e bevande, o altre sostanze, non saremmo soggetti alla proliferazione di germi o batteri, e piú difficil­mente verremmo attaccati da virus patogeni. Ma dal momento che non è cosí e che il racconto della nostra realtà quotidiana è ben diverso, dobbiamo pure ammettere che ai nostri incontri con il mondo che ci circonda rivolgiamo abitualmente una scarsa, insufficiente precauzione.

 

Scappamenti

 

Ci impensierisce maggiormente una macchietta di caffè sulla cravatta o le scarpe nuove bagnate dalla pioggia, che non lo smog atmosferico ed i gas di scappamento di motori e motorini che circolano senza sosta intasando le vie e i marcia­piedi delle città. Stentiamo a riconoscere, o non vogliamo riconoscere, ciò che in netta evidenza è deleterio e catastrofico per l’organismo vivente. Potremmo difenderci dunque da un nemico mille volte piú scaltro, esperto e determinato di noi? Da un nemico che ha un unico obiettivo per cui operare, un unico ordine cui obbedire, un unico fine per cui lottare?

 

Fintanto che pensiamo l’ostacolo, l’impedimento, come esterno e distante, e che quindi per arrivare a noi sia costretto a compiere un percorso di avvicinamento, siamo ancora tra le braccia di un’ingenuità sempli­ciotta e credulona che, nei bambini, è non solo scusabile, ma anche divertente e ricreativa. Nell’adulto invece diventa una triste mistura di autoinganno ed ignoranza pretestuosa.

 

Cosa crediamo sia l’ego? Forse lo crediamo coincidente l’intera anima umana? La possibilità teorica ci sarebbe, ma dal momento che il divenire cambia e scompiglia le carte in tavola ad ogni piè sospinto, anche l’ego ha le sue brave difficoltà nel resistere come tale e quale sente di essere.

 

Al di là dell’ego, ogni uomo possiede dei valori, alcuni anche di natura etica, dei talenti, delle inclinazioni che sono in stretto rapporto con le sue possibilità di sviluppo, non ultima la sua capacità intrinseca di saper cogliere lo Spirito in qualunque situazione e circostanza.

 

«Ovunque il guardo giro, immenso Dio ti vedo…». Considerato che il Metastasio rientra tra i poeti “di corte”, secondo la storia della letteratura italiana, la sua frase assume un significato ancora piú particolare e rivelatore. In questo versetto, Pietro Trapassi, in arte Metastasio, toglie il velo di un intimo retroscena che forse i posteri non hanno saputo valutare. Infatti, checché se ne dica, l’anima dell’uomo, discesa sulla terra dai mondi dello Spirito, potrà dimenticare ogni cosa, cancellare tutto e rinnegare pure la sua origine, ma non potrà mai impedirsi di riconoscere lo Spirituale. Esso può emergere ovunque, dal mondo, dalla terra, dalla materia, dal nulla, perfino dalle forme di anti-Spirito. Una parte di me, quand’anche negletta e trascurata, resta sempre capace di vedere se una luce si accende nel tunnel delle tenebre. Non è una specialità del sottoscritto, né potrebbe accadere diversamente, data la natura dell’anima umana. Poiché là dove un punto di forza viene a manifestarsi, c’è una volontà cosciente, maturata nell’evocazione, in attesa di coglierlo.

 

Allora qui casca l’asino, qui cade il velo dagli occhi, qui miopia o cecità interiori cessano di colpo; lasciano il posto alla verità terrestre: il volontario combattente ricorda d’essere entrato appositamente nel mondo della Morte per trasformarlo nel mondo della Resurrezione.

 

Sigfrido

 

Dopo il lungo tormentoso viaggio d’oblio sulle acque del Reno, Sigfrido rammenta d’essere Sigfrido: sa quel che è venuto a fare. Si spiega cosí il retroscena di quel processo che, originato dalla Vita, giunge ad affrontare la Morte, non per sconfiggerla (che non avrebbe alcun senso) ma per trasfor­marla in una ulteriore possibilità di Vita a livello di sovranatura.

 

Il Volontario, dimentico di sé, divenuto di fatto un “involontario”; non può far altro che vivere la propria fine in uno dei tanti modi di cui il karma dispone; ma quando nell’“involontario” riaffiora in tutta la sua portata il senso dell’impresa svolta nel fisico sensibile, allora la fine diventa il “Grande Passaggio” che si apre davanti a lui, e la sua coscienza vi può transitare come fosse un ponte tra due sponde lontane e contrapposte. Tocchiamo qui adesso un momento di particolare interesse che richiede tutta la nostra dedizione: le Forze del Bene e quelle del Male, nel loro antagonismo, sono coerenti al principio dal quale provengono, il bene non può agire diversamente dal bene, e il male deve compiere il male senza alcuna possibilità di eccezione.

 

L’Uomo invece (ed ecco l’Eroe di Due Mondi) ha la particolarità, non riscontrabile in nessun’altra entità e/o essenza fisica o metafisica dell’intero creato, di scegliere ogni volta quello che vorrà fare, e da come ha saputo portare avanti la sua formazione interiore, dipenderanno il valore, la qualità e il peso karmico della sua decisione.

 

Se poniamo a ciò l’attenzione che si merita, troviamo ben presto di essere davanti ad una scoperta gigan­tesca, che potenzialmente avevamo sempre avuto lí sotto il naso, ma alla quale mai avevamo dedicato un pensiero approfondito e comparativo. Un pensiero voluto.

 

Dico comparativo e voluto perché, in base ad uno dei miei modesti pareri (al quale mi sento particolar­mente legato), né le filosofie né le religioni hanno saputo esprimere adeguatamente una siffatta caratteristica della specie umana: non hanno mai ritratto l’uomo come “uno Spirito Individuale venuto a combattere per la Libertà della Terra e di tutto ciò che ad essa si è vincolato”. Hanno sempre parlato, illustrato e sostenuto altre libertà, tutte monche, provvisorie, artefatte e inconsistenti; si sono anche scannati per queste.

 

Ma probabilmente è giusto cosí; non potevano fare diversamente. Le filosofie prendevano spunto dal fatto che ogni pensatore si ritiene già libero di per sé, o quanto meno libero per quel tanto che basti a rilevare lo stato di condizionamento subito, dal quale è in pratica impossibile sottrarsi durante il corso della vita fisica.

 

Le religioni, i culti, le fedi, anche se non espressamente, rimandano ad un Sovrannaturale sconosciuto e astratto, la potestà sugli avvenimenti e quindi sulla conduzione delle esistenze terrene, che potrà venire in seguito premiata o punita a seconda se gli adempimenti d’osservanza alla catechesi e alla liturgia sono stati compiuti con sufficiente disponibilità dal seguace.

 

Soltanto l’Antroposofia di Rudolf Steiner ha saputo elevarsi al di sopra di queste due aberrazioni della mente e del cuore, e riportare l’Idea della Libertà ad un livello che supera di gran lunga tutti i processi ri­flessivi e di opinione, che hanno concorso a formare nelle epoche l’ossatura della filosofia; contemporanea­mente, ha indicato, con estrema determinazione, nella capacità di purificazione dell’anima, la centrale di energia calorifica di amore e di dedizione necessari ad alimentare la rettificazione verticale di un pensare alfine cosciente di sé.

 

Perché la Libertà non è fare quello che si vuole o quello che piace; la Libertà non è la possibilità di scegliere tra due o piú alternative: la Libertà non è concepibile fintanto che la si pretende con violenza su se stessi o sugli altri; la Libertà non è nemmeno una questione mentale o psichica.

 

Per ora la Libertà è pura egopatia; un lungo tormento dell’ego che tenta d’impedire all’anima di aprirsi al suo destino. E noi questo proviamo.

 

Crocifissione

 

È pertanto necessario prima di tutto, toglierci dalla testa la rappre­sentazione della vita che ci siamo programmati. Solo cosí la Vita – quella vera – si manifesterà con inequivocabile chiarezza.

 

Chi l’ha capito, sa di dover combattere una dura, consapevole battaglia, che in definitiva è la battaglia contro se stesso, contro tutto ciò che ci si è lasciati diventare, contro tutto ciò che ha perduto, e che sta tuttora perdendo, in fatto di vera conoscenza e di rapporto con un mondo che comunque lo ha fin qui sostenuto, nutrendolo e facendogli da palcoscenico.

 

Piú di duemila anni fa, il Figlio di Dio si è immolato sulla Croce, affinché all’umanità intera fosse dato di leggere e comprendere il Messaggio della Resurrezione, che è il Messaggio della Libertà futura di tutti gli uomini.

 

Custodire in noi questo pensiero, ricordare d’esserne l’esclusivo por­tatore, vivere con la forza del Cristo Gesú ogni singola esistenza terrena che ci viene affidata, attuare con fiducia e coraggio quest’unica fondamentale Verità, fa di ciascun uomo, un Eroe di Due Mondi.

 

Qualunque sia il personaggio ch’egli crede, o non crede, di essere.

 

 

Angelo Lombroni