Le orchidee romane

Botanima

le orchidee romane

Orchidee romane

Orchidee romane

 

Il titolo di questo articolo vuole essere un omaggio a Roma, alle Orchidee selvatiche che ancora crescono nella sua campagna e ad Enrico Coleman, artista nativo di questa città, che operò tra la fine dell’800 e i primi del ’900, tra le cui opere figura una raccolta di tavole dedicate a questi fiori, le Orchidee appunto, di cui il Coleman aveva una predilezione e che studiò e classificò da appassionato botanico.

 

Orchis piramidalis

Orchis piramidalis

 

Tutto ciò per introdurre questo fiore che tra la primavera e l’estate ho l’occasione di osservare sui pascoli e nei boschi del Monte Subasio, la montagna sopra casa, di questa Assisi dove risiedo. È un fiore che sempre mi ha affascinato, per le sue molteplici forme e colori, e in uno studio durato anni sulla flora presente su questo Monte, ne ho classificate almeno una ventina di specie.

 

 

 

 

Salep

 

Innanzitutto si tenga presente che l’Orchidea necessita di un ambiente particolare per crescere, di una sinergia che non è spiegabile solo scientificamente. I tuberi, ricchi di mucillagine e amido, possiedono il piú elevato contenuto di sostanze nutritive che una pianta possa avere tra quelle conosciute. In passato erano un cibo vitale per i marinai. Dalla pianta si ottiene la famosa bevanda rinvigorente, il salep, largamente consumata prima della comparsa del caffè, e ancora tutt’oggi molto presente in Turchia.

 

 

E ora andiamo a vedere cosa il Castore Durante, medico e botanico del ’500, scrive in proposito nel suo Herbario Nuovo: «Ritrovansi molte specie, differenti nelle fronde, nei fiori e nelle radici, produce fusti alti una spanna, fiori quasi porporei e la radice simile ai testicoli. Ritrovansene d’una specie che fa i fiori che si rassembrano alle api». Tra le proprietà il Durante cosí si esprime: «La radice maggiore, bevuta, eccita i desideri venerei, mentre la minore opera il contrario. Mangiansi queste radici, come i bulbi, lesse e arrostite. Dicono che la radice maggiore mangiata da gli huomini fa generare i maschi, e la minore mangiata dalle donne, le femine. La radice cotta nel vino e applicata con miele è valoroso rimedio per l’ulcere della bocca, sana le fistole e mitiga l’infiammagioni, le radici secche raffrenano l’ulcere corrosive e sanano le putredini».

 

Ophrys holosericea

Ophrys holosericea

 

Infine di un’altra Orchidea del genere Ophrys il Durante afferma: «La radice e le foglie bevute con mezza dramma d’aceto sono efficacissime contra la peste facendo poi sudare l’infermo. Usasi tutta la pianta per far neri i capelli, per consolidare le rotture e per sanar le ferite».

 

Termina qui questo percorso tra le Orchidee. L’invito è di andarle a cercare per prati e boschi, e riconoscerle, magari con l’aiuto di un manuale, ve ne sono molti in commercio; è un fiore che va assolutamente rispettato e non colto, sono sempre piú le specie che vanno scomparendo, ma con un po’ di fortuna a Monte Mario, presso la Camilluccia, potrete ancora trovare l’Orchis Romana, o l’Orchis Tephrosanthos a Villa Corsini, sul Gianicolo e infine l’Ophrys Bombiliflora a Villa Borghese, o almeno ai tempi di Enrico Coleman ancora si trovavano.

 

 

Davirita