Buona notte, buona notte
Dio mi illumini a sanare il male,
non a trarne pretesti.
Desdemona in Otello di Shakespeare, fine atto IV
E poi voglio dirti un’alta cosa, mammina:
che ognuno di noi, di fronte a tutti, è di tutto colpevole;
ed io piú di ogni altro.
Markel, ne I Fratelli Karamazov di Dostoevskij
Non si può escludere che le recenti ipertrofiche analisi critiche sull’attuale società, con i suoi risvolti piú ampi e complessi, possano nascondere una trappola non semplice da cogliere a prima vista. In effetti oggi criticare è facile, stante lo sconcertante degrado sub-umano che la vita ci pone di fronte nel quotidiano. Tuttavia la stessa critica, pur nella sua varietà e differenza di valore, non sembrerebbe del tutto indenne da tale contesto, sia che riguardi la scienza, la cultura, la società sia l’ambito spirituale o presunto tale.
Rimane certo che nel passato, soprattutto negli ultimi secoli, diverse e qualificate personalità abbiano, con chiarezza e acume, mostrato le storture, gli inquietanti vuoti e le nevrosi di cultura, scienza e società del mondo moderno, presumenti un continuo progresso, di fatto cieco e marciante verso la catastrofe. E sono critiche, per lo piú valide ancora oggi e, assai spesso, mostrano acume elevato, competenza e coscienziosità, cosa che purtroppo non si può sempre dire delle attuali.
La critica è necessaria e non bisogna certo rinunziare ad essa, ma non si può sfuggire alla sensazione che spesso venga richiesta e alimentata in un gioco di specchi, in un caleidoscopio in cui il vero pensiero è assente; rimane un essudato vischioso e opaco che non può che confermare e rafforzare quanto criticato.
Appoggiarsi sui Maestri è il fondamento, ma se questo diventa l’uso comodo e pigro di pot-pourri di citazioni condite da proprie sbrigative opinioni, il rischio è credere di seguire una linea di pensiero che in realtà non c’è, perché se ne è abdicata la spiegazione e la comprensione all’autorità (non sarebbe necessario precisarlo ma, visti i tempi, quanto detto non ha nulla a che fare con un uso corretto e coscienzioso delle citazioni).
Chi è interessato o impegnato in un percorso di ricerca spirituale, ma vale per tutti, non dovrebbe dimenticare che il creato (tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste) poggia sul dolore, sulla rinunzia e sul sacrificio. Nei tempi remoti il sacrificio era il rito principe per impedire che le deità irregolari, dominanti l’uomo ancora non libero, avessero il sopravvento. Era un modo, insieme ad altri, per dominare il caos. Oggi esso in quelle forme non ha piú motivo d’essere. Oggi il Sacro Fare può essere solo una libera scelta individuale di donarsi completamente al mondo spirituale. La sacra croce poggia sul Golgota perché nessuno può pensare di librarsi beato, felice e giudice nei cieli, veri o falsi che siano, dimenticando la propria responsabilità nei confronti dell’evoluzione umana e della terra.
Dalle nozze di Cana in poi, parlare di fratellanza di sangue (come di razze) si rivela un pensiero retrogrado paralizzante. La fratellanza oggi può essere solo spirituale, ma si presenta estremamente difficile, complessa e assai poco comoda, giacché tutti gli uomini hanno almeno una scintilla di Spirito e il Logos illumina tutti, bravi e cattivi, belli e brutti, malvagi e giusti. Forme solo recitative di bontà durano il tempo di un fiocco di neve al sole, ma anche analisi sommarie con frasi fatte non colgono nel segno.
Leggere e studiare determinati tomi, per lo piú noiosi, di spiritisti e di esoteristi in ritardo, oltre che essere faticoso svela il disperato tentativo di dimostrare, anche con mezzi della comune scienza, qualcosa che dimostrabile non è: le ripetute vite terrene e il Karma. Un grande e nobile asceta spirituale quale Aurobindo ha tuonato con chiari concetti contro un uso di tali temi prosaico e meschino, quasi che tutto si risolvesse in un arido dare e avere trasposto nel rapporto uomo-divino, in una visione meccanica dell’evoluzione. Ma oggi ognuno come individuo può rapportarsi liberamente a tali temi e farli propri, in modo critico, mediante il pensiero, il quale, se reale, diventa guaritore, su temi che possono e devono diventare un faro illuminante, risanatore per la vita. Certo per non rimanere impigliati in una visione materialista dell’evoluzione occorre pensare e meditare l’uomo come primo anello e il pensiero come ultimo anello di essa.
Credere e criticare che alcuni uomini malvagi e gruppi di uomini “cattivi” siano i responsabili dell’attuale tragica situazione, dei mali del mondo, oltre che ingenuo, pone un’equazione che non ha soluzione, sterile. Si presenta con una visione piatta, semplificatrice al massimo di fronte ad una realtà che invero è complessa ma per ciò stesso interessante, mentre la si affronta come fosse un banale rullo da pianola. Si opera in un teatro melanconicamente vuoto ed in cui per di piú mancano gli attori principali: il Sacro e gli Spiriti. Ma anche usare, in forme astratte ed aride, quanto ci è stato comunicato sui diversi spiriti senza avere fatto propri, con un severo lavoro interiore, i relativi concetti, rimane sterile e dannoso. Come contrappeso il dato positivo è che cosí diventa ineludibile porsi il problema della libertà, cosa veramente oggi essa sia.
Oggi al massimo si può vedere emergere in scritti, in attivismi spesso epilettici e in rivolte, un oscuro sentimento della libertà già in partenza rivelante uno stato neuropsichico deviato, privo della sola cosa che garantirebbe la libertà: un pensiero realmente cosciente, libero dai sensi. La libertà considerata come idea dialettica può essere solo nominale, non reale. Cosí considerata, viene necessariamente consegnata a eventi o strutture esteriori materialmente percepibili. Non che nel mondo reale non esistano gradi differenti di “libertà” civica, ma sono sempre legati a una visione unilaterale materialista in cui è escluso lo Spirito dell’uomo. Tale visione non può riuscire a comprendere la necessità. A ben riflettere la libertà può essere solo una categoria sovrasensibile poggiante sul pensiero anche quando si manifesti nella sfera della necessità. Dimenticarlo può dare luogo solo a condizioni patologiche, le quali causano nella comunità umana maggiori difficoltà e sofferenze ai piú deboli.
La piú recente nascita nell’uomo dell’autocoscienza, della coscienza dell’Io, è un fatto cosmico nuovo con cui, non solo gli uomini, ma gli Dei devono fare i conti, a meno che non si consideri l’uomo come il creatore del pensiero e non il suo elaboratore.
In molti antichi scritti, come per esempio in Plutarco, si può leggere la seguente frase riferita alla Minerva di Sais o alla Dea Iside: «Io sono tutto ciò che fu, che è, e che sarà, e nessun mortale ha mai sollevato il mio velo». Poniamogli a confronto gli ultimi versetti del prologo al Vangelo di Giovanni: «Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre, Lui lo ha rivelato».
Diventa urgente tentare di comprendere con serietà meditativa che cosa ci è stato finalmente rivelato dopo millenni di dipendenza dal mondo spirituale in un’umanità non ancora matura e pronta per la libertà e quindi per il vero amore.
Le parole di Giovanni sono insieme esaltanti e meravigliose ma rimangono terribilmente oscure per un pensare inadeguato, dialettico.
La cesura con il passato è talmente netta che può risultare sconcertante. Il rifiuto, il rifugiarsi in antiche dottrine, l’intellettualismo arido e tronfio, il richiedere ancora una dipendenza, piú o meno celata, dal mondo spirituale può anche essere comprensibile alla luce di ciò, ma rimane un ostacolo. La seria ricerca spirituale non può ricalcare le antiche vie e tradizioni; non vuol dire rimanere ignoranti di esse, vanno comprese; ma lo sforzo individuale, nel nuovo che ha squassato tutte le antiche certezze illuminandole, deve essere quello di tentare di avvicinarsi allo Spirito per ricavare i nessi fra le cose, trovare gli entusiasmanti ideali morali, che è la vera nuova via.
Nella vecchia via rimane invece un sussulto di critica e lamentele pretendenti aiuti copiosi da parte di dèi non ben identificati senza che vi sia sforzo, impegno e sacrificio da parte dell’uomo, la via comoda, quindi irreale.
Quello che ci è stato rivelato non richiede di credere ma di conoscere. I dubbi non vanno evitati, se evitati possono portare a forme di fanatismo, ma superati. Tutto va verificato con coscienziosità in prima persona.
Una delle cose rivelate: l’uomo è un essere cosmico. Ognuno può sperimentare in sé medesimo che “in quanto pensiamo siamo l’essere uno e universale che tutto pervade”. Quando si pensa e si agisce si determina un risuonare cosmico. Guardare col necessario coraggio il pesante karma che si sta abbattendo sull’umanità può scoraggiare ma richiama alla grande responsabilità ognuno di noi, operi isolato o in comunità o abbia ancora, insieme all’impulso spirituale, a tratti anche comportamenti “umani, troppo umani”, perché ogni pensiero e azione giusti, non importa quanto piccoli, possono risuonare nel cosmo, nel mondo spirituale e possono contrastare il decorso del karma, offerti nel Sacro Fare.
Gelso