Ai popoli meno provveduti economicamente, alle nuove nazioni sorte dal crollo del colonialismo, alle frange piú estremiste, gran parte della cultura attuale ha offerto non idee ma il ripudio della tecnologia figlia del capitalismo; ha promesso una miracolistica rivoluzione scientifica che – come sostengono gli articoli della rivista “Quaderni piacentini” – dovrebbe condurre alla scomparsa della forza lavoro. Insieme al mito della lotta contro l’imperialismo è stata proposta una uguaglianza assoluta, da ottenere ripartendo ogni attività sull’intera popolazione lavoratrice, al fine di colpire alle radici l’attribuzione permanente di funzioni diverse.
Si vorrebbe impedire mostruosamente all’uomo di esplicare liberamente le sue doti, costringendolo a svolgere attività per le quali non ha nessuna predisposizione. Naturalmente senza poter cambiare nulla sul piano pratico, perché un chirurgo, anche se è costretto a zappare due ore al giorno, resterà sempre uno che è capace di resecare uno stomaco, mentre si correrebbero seri rischi invitando un tornitore a fare l’assistente ai ferri in camera operatoria!
A un certo livello esecutivo può essere utile economicamente una pluri-qualificazione onde far fluire mano d’opera da un settore all’altro a seconda delle necessità. Ciò non può significare che tutti gli uomini siano uguali e che certe capacità, frutto di anni di studio, possano divenire capacità comuni per ordine di un comitato revisionario. Questa particolare mentalità è servita solo a conculcare la pericolosa convinzione che la ragione sia sempre dei supposti oppressi e mai degli ipotetici oppressori, illudendo cosí larghi strati di popolazione di essere aprioristicamente nel giusto qualunque cosa essi facciano. Oltre ai danni enormi che ne sono conseguiti sul piano pratico, si è impedito all’uomo di autoeducarsi a una osservazione critica di se stesso, escludendo in tal modo il proletariato e i giovani da uno dei princípi fondamentali della esperienza evolutiva attuale, a favore quindi di una emarginazione permanente, attuata oltretutto in nome dello spirito classista.
L’Europa ha ancora qualcosa da dire al resto del mondo? I suoi immensi valori sono del tutto soffocati? Se da una parte si ha la sgradevole impressione che l’Europa possa divenire ancora una volta un campo di battaglia, questa volta per la Russia e l’America, dall’altra un osservatore attento può scorgere i segni di un fuoco spirituale latente: dal suo pur fievole calore i suoi popoli traggono ancora la forza di prosperare, la sua cultura ha ancora qualche colpo d’ala. Lo spirito europeo dunque ha ancora qualche chance malgrado le contraddizioni, le esitazioni, gli egoismi, la precarietà politica di molte nazioni.
La stessa Inghilterra, pur legata per tanti aspetti all’Occidente americano, sente l’attrazione verso l’Europa. Non bisogna dimenticare che la meravigliosa esperienza del liberalismo ha tratto linfa vitale dall’idealismo e dal romanticismo europeo. Dal liberalismo discende quel particolare senso della vita che ancora sopravvive in Inghilterra malgrado la perdita dell’Impero, l’impoverimento economico e il permissivismo eccessivo. Esso è costituito da civile tolleranza, da comprensione e da rispetti reciproci, da un senso di responsabilità, il quale dà l’impressione che chiunque svolga un’attività lo faccia effettivamente per gli altri e non, secondo uno stato d’animo molto diffuso da noi, perché deve tirare a campare.
Argo Villella
Selezione da: A. Villella Una via sociale Società Editrice Il Falco, Milano 1978.