Quand’ero ragazzino mi piaceva,
perché nei suoi colori era compresa
la quintessenza dell’amor di patria:
il bianco era la neve delle cime,
rosso era il sangue sparso dagli eroi
e verde l’erba di pianure e valli.
Appena sventolava il tricolore
il popolo italiano ammutoliva,
votando il cuore ai buoni sentimenti:
vedeva i Mille, Garibaldi, Bixio,
Pisacane, Battisti e i Bersaglieri,
Porta Pia, l’Adamello e l’Amba Alagi,
le Mie Prigioni, Verdi e Va’ Pensiero,
le fettuccine, le lasagne al forno,
la Duse e il Vate, Petrolini e Binda,
tutti gli aromi, i sughi e gli ingredienti
per cucinare l’italianità.
Ma la ricetta non è piú la stessa,
l’Italia s’è guastata con il tempo,
è un fricandò che puzza di bruciato
e il tricolore ha degradato i toni:
bianco è il sudario dei morti ammazzati,
rosso il bilancio per le ruberie,
verde è la tasca del contribuente.
Serve da paravento, la bandiera,
per le copule grasse del regime,
copre le carte false, le combine,
i compromessi, le congiure, i furti.
E mentre cola a picco il bastimento,
avvelenati per la nostalgia,
pensiamo a quando, il ventiquattro maggio,
placido e calmo, il Piave mormorava…
Fulvio Di Lieto