Di celeste azzurrino
è dipinto il cielo
sul far della sera.
Sull’orizzonte basso
nubi intrise di luce
ancora
e nubi che l’imbrunire
di grigio ha colorato.
Fra poco
brilleranno le stelle
di una notte serena
e domani
sorgerà il sole
su un freddo giorno d’autunno.
Ma dolce passi il vento
sugli alberi caduchi
e danzi tra le foglie
nell’aria splendenti:
di rosso, di giallo
e di verde ancora.
Alda Gallerano
Una sera di dicembre
La strada, la sera di dicembre,
buia, è presto e quindi
soprattutto quando la nebbia
è densa da affettare
con il filo dei pensieri
che si perdono e si ritrovano
aggrovigliati, i fari
poco possono entrare
dentro la matassa della notte,
cosicché solo il bianco
delle linee della carreggiata
ci collega e lega alla terra,
altrimenti sembrerebbe
di essere fluttuanti a Sud
della cintura di Orione,
nella nebulosa,
anni luce distanti
dalle nostre
attuali preoccupazioni,
sciolti dalla materia
e da ciò che l’anima patisce,
puro Spirito che si gode
viaggi interstellari, nell’attesa
di una nuova vita in una sera
di dicembre.
Luca Massaro
Alla mangiatoia di Betlemme
Umile della terra un grembo,
assunto a trono
di fieno profumato forse
dei pascoli del Paradiso,
dell’oasi ancora viva
sulle rovine crudeli.
La mangiatoia è il luogo
d’innalzate mai viste
colonne, mai prima
di luce, nell’etere
che l’occhio non può
varcare da solo.
La mangiatoia è l’altare
acceso sulla polvere nera
calpestata dagli zoccoli
dell’innocenza
nella stalla incantata
dei pastori, è il piatto
dove è posato il nume
alla mensa delle anime ultime.
Il giorno del trionfo,
di questo è il segno,
non altro che noi mangiamo
ogni giorno nel cibo
la carne di Dio.
Si farà un tempio
da qui all’eternità,
ci dissero, affacciati
dalle miniere della gioia
ma sarà un’altra terra,
un’altra umanità
a traboccare l’amore.
Caldo il respiro palpita,
nel nido raccolto
al ritmo dei miracoli
e tutt’intorno
la compassione veglia,
aleggiando sul bambino
del cielo, nome
custodito dai primordi,
lassú un attimo prima
che tutto cadesse.
Una sfera fu tolta
dal pugno di Adamo,
una forza di intatta purezza
parola di lungimiranza
ritorna e rinverdisce
in fasce di luna nuova
la morbida cera
di quella pelle in fiore.
Anche il vento gelato
del deserto, si scalda
al vagito di quel fuoco
e intreccia addolcito
anelli di rose nuziali
soffiando fra le dita
del mondo, lo sposo
è vicino, il corpo
è una spiga di grano.
Su questa paglia toccata
gemma l’oro
delle promesse
e finalmente saranno due
e poi moltitudine
ad accogliere immenso
lo spirito del Sole.
Nella grotta dell’uomo
si poserà per ricordarci
dove l’albero brilla
nei fondali delle tenebre.
Quattro assi
di legno inchiodate
o pietre a forza di braccia
scavate a ciotola profonda.
Riuniti in quello
spazio minuto
gli angeli incastonati
fissano lo sguardo
limpido del bambino,
lo sguardo di tutta l’infanzia,
il raccolto di tutto lo Spirito
e vedono il cuore
che si plasma, il cuore
che si prepara al dono.
Sul fondo di quella culla
il manto sconfinato
d’azzurro della Vergine
è steso e sta come mare
calmo, smaltato di carezze.
La mangiatoia è il rito
che della povertà
farà ricchezza,
del vuoto il calice,
percorso dall’immensità
dei cieli, nel silenzio
di un battito che ora
il sangue puro
si innalza di luce.
Solo nell’umiltà
s’inginocchiano le stelle
all’apogeo del Prescelto,
in quell’oceano infinito
che nascerà Dio
il giorno del Giordano
e sboccerà, visibile a tutti
il mistero della croce.
Tutto confluisce lí
al crocevia del Cenacolo
dai mondi piú lontani,
dalle lontanissime armonie.
I maleodoranti,
gli storpi, i ciechi
affamati di perdono
sono arrivati stremati
al riposo dell’inizio,
al riparo nelle acque
madreperla
della giovinezza.
Dove riluce in noi?
Dove si è posto?
Vai dove
non ci sono ombre,
vai dove
zampilla quel fiume
di petali vivi,
non è lontano, pensa!
Se veramente pensi
lo senti parlare,
che non ci basta il pane
di solo frumento.
Taci ora
i cantori
della ninna nanna
riprendono fiato
prima della notte,
che s’aprirà
a ventaglio di sogni
nel firmamento.
Ora lodano
l’infinito che dorme
e splende
in quella mangiatoia
dopo la poppata
del tramonto,
ché albeggia,
e tutto si fa pace,
aura dolcissima
che ancora trasfigura.
Enrico Savelli