di John Blofeld
II tema dello svincolamento mentale dalle condizioni, proprio al Mahāyāna, è il motivo dominante dell’insegnamento del maestro ch’an Hui Hai, detto “La Grande Perla”, discepolo del Maestro Ma Tsu, ossia di uno di coloro che erano considerati “padri” della dottrina Ch’an, fedeli continuatori della tradizione instaurata da Hui Neng.
L’opera tradotta da J. Blofeld è in qualche modo il complemento di The Zen Teaching of Huang Po: ambedue i Maestri conducono al nocciolo della dottrina della Illuminazione, ma mentre Huang Po traccia dirittamente il percorso della meditazione sino alla sua superiore estinzione, Hui Hai pone i vari momenti del processo d’Illuminazione in relazione all’obiettivo finale, analizzando taluni stati interiori tipici e rilevandone la funzione.
Sulla “subitanea Illuminazione” molto è stato detto dai Maestri Zen per poterla indicare come ciò di cui non può esser detto nulla: anche perché gli insegnamenti essenziali ancora non sono stati né traslitterati né tradotti. E molti sono i commenti e le interpretazioni, cosí che a un determinato momento sembra che la dialettica debba decidere di qualcosa il cui valore essenziale è indialettico. Basti vedere quanto è stato scritto da noti interpreti moderni sulla “subitanea Illuminazione”: persino la psicologia analitica ha potuto dire la sua. Si è giunti, persino, recentemente, in talune riunioni private attorno a qualcuno di tali noti espositori, a indicare la mescalina come un possibile veicolo fisico verso il satori (però, siccome la mescalina è alla portata di chiunque possa comprarla, per cui un qualsiasi commerciante all’ingrosso o al minuto può procurarsi la piú alta Illuminazione, cautamente e misteriosamente è stato detto che l’effetto dipende da colui che la dà).
Questo Zen è diventato in mano ai dialettici qualcosa di irriconoscibile: e probabilmente è giusto, perché cosí esso si lascia afferrare sempre meno; ma non è evitata quella contaminazione tra sacro e profano che sollecita l’azione di forze sotterranee tendenti a sopraffare la coscienza individuale sotto le spoglie dello Yoga o dello Zen, alimentando la confusione mentale di tanti ricercatori di questo tempo. La subitanea Illuminazione è la possibilità presente, di continuo urgente nella retta meditazione: che, anche come meditazione retta, è un impedimento a ciò da cui essa stessa dipende: è un impedimento, ma è l’impedimento necessario. Che, d’un tratto, per breve momento, scompare.
II volumetto di Hui Hai è uno dei testi aurei del Ch’an, la cui forza consiste nel riconoscere e lasciare intatto il movimento del pensiero suscitato da quelle immagini. Cosí che il movimento possa continuare per virtú della luce che gli è insita.
Massimo Scaligero
John Blofeld, The Zen Teaching of Hui Hai on Sudden Illumination.
London, Rider & Company, 1962.
Da: “Il Giappone”, Vol. 2 N° 4 – Ottobre-Dicembre 1962.
Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO).
di Paul Wienpahl
L’autore sottolinea l’aspetto “pratico” della dottrina Zen e intende dare, con il presente volumetto, un manuale di Zazen: non dunque per l’intellettuale che ami assumere un eccentrico atteggiamento, ma per colui che con fermezza decida prendere le redini di se stesso e conseguire un equilibrio superiore di conoscenza e di vita. A ciò sono necessarie l’insistenza, la ripetizione, la dedizione, mediate dall’attività interiore piú immediata all’uomo: il pensiero.
La quiete e la semplicità che sono il tenore dello Zazen, non sono atteggiamenti, o nozioni, ma l’interna conversione del pensiero che abbia la forza di cessare di essere dialettico. Il discorso è necessario, la dottrina è inevitabile, ma, come in particolare insegna la scuola Rinzai, lo Zen comincia quando il discorso e la dottrina si esauriscono. L’esaurimento della discorsività è la condizione dell’affiorare della potenza informale del pensiero, ossia del sovrasensibile capace di integrare l’umano.
II satori non è il fine ma il segno di un’esperienza, che non può porsi come obiettivo da conseguire, perché la concezione di un obiettivo, sia pure spirituale, è sempre un atteggiamento umano, o mondano, un fatto dialettico, che riguarda il mentale il cui limite appunto si presume superare.
Cosí, giustamente l’autore distingue la via dello Zen dallo Zazen, ricordando un’intransigenza e una discriminazione che appartengono alla pura tradizione esoterica dello Zen, ossia al piú asciutto stile del Mahāyāna. Riteniamo utile la messa a punto che Paul Wienpahl fa riguardo al rapporto tra Zen e psicanalisi, tra Zen e filosofia. La psicanalisi, come la psicologia junghiana, non è una tecnica di penetrazione pratica del regno dell’anima, fondata sullo sviluppo delle forze che hanno la possibilità di muoversi in tale regno, bensí un’investigazione discorsiva o dialettica o logica dei problemi della coscienza, che rimane inevitabilmente fuori di essa e perciò limitata a un piano semplicemente fenomenico: semplicemente appreso. Dietro l’astrattezza dello psicanalista urgono forze dell’ego che non possono essere conosciute da lui, se non sia capace di evocare un ordine di forze piú alto; ma una simile possibilità è esclusa dalla qualità di quella indagine, non in quanto non sia capace di concepirla, ma in quanto essa la astrattizza e la dialettizza, riducendola a una “voce” del grande sistema psicanalitico.
Ci sembra altresí importante la distinzione tra la quiete essenziale propria al wu-wei e l’inerzia del quietismo, e il chiarimento dato in tal senso da talune massime di Rinzai. II volume è ricco di vari motivi dello stile Zen come modo di praticare intimamente lo Zazen: la simbolica immagine delle pietre nel giardino del tempio Zen a Ryōan-ji e l’aneddoto di Rikyū danno il senso dello spirito con cui l’autore intende congiungere il lettore con lo Zazen.
Massimo Scaligero
Paul Wienpahl, The Matter of Zen. A Brief Account of Zazen.
London, George Allen and Unwin Ltd., 1965.
Da: “Il Giappone”, Vol. 5, 1965.
Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO).
Link agli articoli originali: “John Blofeld, Paul Wienpahl“.