Un'attenzione maieutica

Scienza dello Spirito

Un'attenzione maieutica

Nel capitolo “Il sentiero della conoscenza” (Teosofia, Ed. Antroposofica, O.O. N° 9) Rudolf Steiner approfondisce alcune attitudini interiori che definisce indispensabili per chiunque voglia impegnarsi nel percorso antroposofico.

 

In particolare sottolinea l’atteggiamento preliminare fondamentale: «….rivolgere la mente a ciò che è imperituro. Se osservo una pietra, una pianta, un animale, un uomo, devo ricordarmi che in ciascuno di questi esseri si esprime un principio eterno. Devo potermi domandare: “Che cosa vive di durevole nella pietra transitoria, nell’uomo che è mortale? Che cosa sopravvivrà alla transitoria manifestazione sensibile?”»

 

Osservare la natura

 

Subito dopo ci rassicura in merito al timore che orientando la mente verso l’Eterno possa risultare indebolita l’atten­zione dovuta alla realtà contingente: «Al contrario. Ogni foglia, ogni insetto ci riveleranno misteri innumerevoli quan­do rivolgeremo ad essi non solo il nostro occhio, ma, attraverso l’occhio, lo Spirito. Ogni scintillío, ogni sfumatura di colore, ogni suono diverranno vivi per i sensi …e nulla andrà perduto».

 

Sottolinea poi come tutto dipenda dall’atteggiamento che sapremo adottare: «Il risultato dipende dalle nostre facoltà. Dobbiamo fare quello che è giusto e affidare tutto il resto all’evoluzione» (c.d.r.). Grandioso insegnamento cui viene spontaneo ricondurre un atavico monito: «Fai del tuo meglio e lascia a Dio il resto».

 

Attraverso precise indicazioni veniamo poi “tecnicamente” guidati sul come “affidarci”: «Da principio dobbiamo contentarci di rivolgere la nostra mente all’imperituro. Se lo facciamo, la conoscenza dell’imperituro ci si schiuderà appunto per questo fatto. Dobbiamo attendere, finché essa ci sia data».

 

Illuminazione

 

Ancora una volta veniamo sensibilizzati verso l’im­portanza del saper “attendere”; ogni moto di impazienza, infatti, ci fa regredire. Altrettanto dicasi per la morbosa ricerca di misteriosi esercizi imprudentemente ritenuti magiche scorciatoie. Ogni esperienza sovrasensibile, per il grado di particolare responsabilità che sempre l’accom­pagna, non può che configurarsi come concessione del Mondo Spirituale, l’unico in grado di trasmetterla a chi si confermi pronto ed indiscutibilmente in grado di garantirne un uso rigoroso. Non manca una rassicurazione incoraggiante: «E sarà data al momento giusto a chiunque attenda con pazienza e lavori».

 

Il Dottore ci dona anche la descrizione dei “sintomi” con­nessi al desiato cambiamento: «L’uomo si accorge in breve della possente trasformazione che si verifica in lui. …Egli impara a considerare ogni cosa come futile o importante secondo il nesso che essa ha con l’Eterno. Perviene ad una valutazione del mondo diversa da quella avuta prima. Il suo modo di sentire sviluppa un’altra relazione con tutto l’ambiente. L’effimero …diviene per lui anche parte e simbolo dell’Eterno: egli impara ad amare questo Eterno che vive in ogni cosa. Esso gli diviene familiare come prima lo era l’effimero».

 

E ancora una volta veniamo rassicurati sulla circostanza che il nuovo non annullerà il vecchio: «Ma nemmeno cosí l’uomo si allontana dalla vita; non fa che imparare a stimare ogni cosa nel suo giusto valore. Neanche le futilità della vita gli passeranno davanti senza traccia, ma l’uomo che cerca lo Spirito non si smarrirà piú in esse, bensí le riconoscerà nel loro valore limitato. Le vedrà nella giusta luce» (c.d.r.).

 

Per il vero “chela” si delinea pertanto un nuovo, prezioso approccio verso l’esistenza: «Gli si apre cosí la possibilità di non seguire piú soltanto le imprevedibili influenze del mondo sensibile, che spingono la sua volontà ora nell’una ora nell’altra direzione».

 

Soprattutto nei confronti della crescente consapevolezza verso il proprio operare: «Egli sa cosí di non essere piú soltanto condotto dalle cose, ma di condurle egli stesso secondo le leggi ad esse inerenti, quelle stesse che sono divenute le leggi del suo proprio essere» (c.d.r.).

 

La costante attenzione all’imperituro sempre celato nel sensibile induce dunque una metamorfosi interiore configurante le stesse norme inerenti a cose ed eventi.

 

uomo illuminato

 

Arduo cimento: non a caso un sagace motto latino recita: “Per aspera ad Astra”. In merito a quanto precede, Rudolf Steiner cosí ci preavvisa: «Quest’agire partendo dall’interiorità può essere soltanto un ideale a cui si aspira. …Ma chi cerca la conoscenza deve voler vedere chiaramente questa via. Questa è la sua volontà di libertà, poiché la libertà è agire partendo da se stessi» (c.d.r.)

 

Veniamo qui ancora una volta rinviati alle grandiose pagine conclusive della prima edizione de: La Filosofia della libertà (R. Steiner, Ed. Antroposofica, O.O. N° 4): «L’uomo sceglie, dal mondo unico delle idee, l’idea che si realizza in un’azione, e la pone a base del suo volere. …Egli non poggia che su se stesso. Deve dare da sé un contenuto al suo agire».

 

Ma non ogni “contenuto” si presta ad oggettivare un’azione libera nel senso di quanto precede: “…è lecito agire partendo da se stesso solo a chi derivi i moventi dall’Eterno. Chi si comporta altrimenti agisce per motivi diversi da quelli inerenti alle cose. Si oppone all’ordine universale, e da questo dovrà essere vinto. In altri termini, ciò che egli prescrive alla propria volontà non potrà da ultimo attuarsi. Egli non può divenire libero».

 

 

Francesco Leonetti