Un geosito può essere definito come una località, un’area o un territorio in cui è possibile individuare un interesse geologico o geomorfologico per la conservazione e la ricerca. Fatta questa premessa, quando nel 2020 segnalai la presenza di figurazioni zoomorfe presso il geosito dei Massi della Vecchia nel comune salentino di Giuggianello scrissi che alcune figurazioni in pietra potevano essere di natura antropica (prima ipotesi investigativa), ovvero realizzate dall’uomo preistorico in una sorta di sacro complesso templare per usi rituali anche collegato con i riti di passaggio o prove iniziatiche finali che nello specifico potevano avvenire nella Grotta dei Cervi di Porto Badisco a circa sette chilometri sulla costa.
Feci inoltre notare l’esistenza di un allineamento preciso tra Massi della Vecchia, Dolmen Li Scusi (nel comune di Minervino, importante per la famosa struttura monolitica con un foro solstiziale sul lastrone orizzontale), e Grotta dei Cervi in località Porto Badisco nel comune di Otranto con i suoi tremila pittogrammi paleolitici e neolitici che, secondo i miei studi, sono da attribuire proprio a riti sciamanici che coinvolgevano giovani preadolescenti di età compresa tra i sette e gli undici anni e che si firmavano con le proprie manine in una parete della grotta a completamento del processo iniziatico.
Tornando al geosito, è necessario notare che alcune sovrapposizioni di massi con rilevanza di malti interposti orientavano sulla lavorazione e modellazione antropica degli stessi che per queste precise e limitate casistiche risulta un’ipotesi tuttora valida.
L’area dei Massi della Vecchia, anche nota come Collina delle Ninfe e dei Fanciulli, o come risulta dall’antichità chiamato luogo delle “Rocce Sacre”, sembrerebbe presentare, oltre ai massi stessi, alcuni spazi con vasche e vene d’acqua sotterranea. È dunque un luogo altamente evocativo di un passato raccontato dalla mitologia classica e dalle stesse leggende popolari, che narrano di uomini e ninfe, di oracoli e divinità che convivevano in questo luogo. Nicandro di Colofone, celebre per un santuario di Apollo di cui i suoi antenati, il padre Damneo ed egli stesso furono sacerdoti ereditari, cosí scriveva nelle Eteroieumena datate secondo secolo a.C.:
«Si favoleggia che nel paese dei Messapi, presso le cosiddette Rocce Sacre, fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale. Il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: “Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio”. E i fanciulli si trasformarono in alberi, nel luogo stesso in cui stavano, presso il santuario delle ninfe».
Allusivamente parlando, ai nostri giorni questi alberi d’ulivo tra i massi hanno subito l’attacco della xilella e lo scarso fogliame ha consentito agli osservatori attenti di rilevare qualcosa che anni prima non era rilevabile. Nel sito è possibile infatti individuare un viale centrale che si origina a partire da mura formate da enormi massi megalitici,inoltre sui lati destro e sinistro del viale si sono potute rilevare ulteriori gigantesche figurazioni zoomorfe di pietra calcarea in blocchi non sovrapposti e visibili dall’alto solo attraverso l’uso di droni. Quindi il sito di interesse fu storicamente, sin dall’antichità preistorica, riconosciuto come luogo sacro circondato a sua volta dalla piú alta concentrazione di dolmen e menhir pugliesi, distribuiti nei comuni Uggiano, Giurdignano, Poggiardo, Minervino e Giuggianello, visitabili sia a piedi che in bici nel piú noto “Percorso Megalitico”.
Ricordiamo che l’area in questione fu anche sfruttata, sul finire dell’Ottocento, come cava per ricavare blocchi intagliati di pietra leccese di piccole dimensioni, e quindi fu frequentata da maestri intagliatori che avrebbero potuto, anche loro, modificare tali blocchi nella pietra madre realizzando figurazioni zoomorfe (seconda ipotesi investigativa).
Esiste tuttavia una terza ipotesi che necessita di alcuni riferimenti scientifici appropriati come ad esempio il pregevole studio geologico dell’Università degli Studi del Salento, dal titolo “Geomorphological analysis of karst landforms at the Masso della Vecchia geosite” (Salento peninsula, Italy 2017) che citiamo nell’articolo come riferimento. Questo studio parla di movimenti tettonici ed affioramento dei massi e di resti fossili in particolare attraverso tre principali eventi tettonici che interessarono la penisola salentina durante l’Eo-Oligocene, durante il Pliocene medio e durante il Pleistocene medio. In particolare, la fase tettonica piú recente è stata responsabile della fase finale di sollevamento del promontorio pugliese.
In buona sostanza nel territorio salentino e nello specifico in quello dei Massi della Vecchia, ripetuti movimenti tettonici tipici della Faglia Adriatica hanno interessato rocce carbonatiche del Miocene del Pleistocene sinanco al Cretaceo che si sono sollevate. Questo potrebbe spiegare i numerosi reperti fossili che si trovano lungo la costa salentina in particolare in località Torre Sant’Emiliano sino a decine di chilometri nell’entroterra come accade nell’area dei Massi della Vecchia dove sono stati ritrovati alcuni denti di Megalodonte.
Dal punto di vista scientifico non possiamo escludere che presso i Massi della Vecchia siano affiorati non solo piccoli fossili ma anche grandi fossili calcificati in carbonato di calcio, tipici delle fossilizzazioni di tessuti molli rispetto alle piú note fossilizzazioni ossee. In alcuni casi infatti, favorevoli condizioni assicurano la conservazione di parti molli (come nelle uova fossili di dinosauri): occorre infatti, perché ciò avvenga, che un organismo sia rimasto poco tempo esposto all’aria dopo la morte, altrimenti i materiali protoplasmatici rapidamente vanno in decomposizione. Le parti molli, costituite da carbonati e proteine, dopo la morte dell’organismo, solitamente si decompongono per i processi putrefattivi ed ossidativi. La loro conservazione, affinché si verifichi, necessita di un seppellimento rapido, una limitata decomposizione e una mineralizzazione precoce. Si conoscono casistiche di animali che si siano conservati intatti con le parti molli. È il caso dei mammut (Elephas primigenius) e dei rinoceronti lanosi, trovati sepolti nel permafrost dei ghiacci siberiani. Differente è la fossilizzazione di tessuti molli che potrebbe risultare nei Massi della Vecchia.
I RITROVAMENTI NEL GEOSITO: SCHERZI DELLA NATURA,
OPERE ARTISTICHE O GIGANTESCHI ANIMALI FOSSILI?
Le successive due figure zoomorfe rilevate nell’area potrebbero, come ipotesi, riferirsi a fossili veri e propri con predominanza di carbonato di calcio (CaCO3) e tutte le parti molli interamente fossilizzate ed appartenute ad un Megalodonte del Miocene e ad un dinosauro Parasaulophus vissuto nel Cretaceo, entrambi emersi dagli strati piú profondi a seguito di movimenti tettonici.
Primo ritrovamento con sembianze di Megalodonte: Il Megalodonte (Otodus megalodon o Carcharocles megalodon) è uno squalo di notevoli dimensioni, Il nome scientifico megalodon deriva dal greco e significa appunto “grande dente”. I fossili di megalodon si trovano in sedimenti dal Micene al Pliocene (tra 13,6 e 4,2 milioni di anni fa).
Le mascelle del gigantesco animale acquatico potevano esercitare una forza di morso da 78.000 a 89.000 Newton, anche se alcuni studi propongono fino a 108.000 Newton; per alcuni esemplari colossali; la pressione mascellare era di 500 Kg/cmq. Con questi parametri, la forza mascellare del Megalodonte è la piú potente che sia mai esistita. I loro denti erano molto robusti, adatti ad afferrare la preda e spezzarne le ossa. A causa dei resti frammentari e della struttura cartilaginea, ci sono molte stime contraddittorie sulle dimensioni del Megalodonte, che possono essere ricavate solo dai denti fossili.
SECONDO RITROVAMENTO CON SEMBIANZE DI DINOSAURO PARASAULOPHUS
Il Parasaurolophus è vissuto circa 76-73 milioni di anni fa, durante il periodo Cretaceo e fu scoperto per la prima volta da William A. Parks nel 1922 ad Alberta, in Canada. Questo dinosauro faceva parte della famiglia degli ornitopodi, che includeva anche Triceratops e Stegosaurus. Il Parasaurolophus era noto per la sua caratteristica cresta ossea sulla testa, che poteva raggiungere lunghezze impressionanti fino a 1,5 metri. Si pensa che questa cresta avesse una funzione di comunicazione o difesa, ma la sua vera funzione rimane un mistero. Il genere contiene tre specie: la P. walkeri, la P. tubicen e la P. cyrtocristatus.
Conclusioni
Il geosito dei Massi della Vecchia è noto sin dai tempi preistorici ed ha rappresentato un polo attrattivo per attività religiose rituali e per le sue leggende che hanno superato i millenni giungendo sino a noi.
Oltre ai massi emersi a seguito di movimenti tettonici che hanno interessato, in differenti epoche geologiche, la penisola salentina, è possibile che alcuni di questi massi aventi forme zoomorfe siano in realtà sculture anche sovrapposte realizzate dall’uomo preistorico o da intagliatori moderni operanti in una cava di pietre.
Tuttavia è perseguibile una terza significativa ipotesi supportata da validi studi scientifici, che considera non solo la presenza di ritrovamenti fossili di piccole dimensioni ma anche l’ipotesi, presentata in questo articolo, dell’esistenza di enormi fossili di difficile individuazione dal suolo e quindi riscontrabili solo attraverso ricognizione aerea con drone (vista aerea favorita dall’attuale riduzione del fogliame a seguito dell’epidemia batterica da xilella).
Ci si interroga come mai genti preistoriche avessero consegnato al mito e alle leggende oltre i propri confini geografici i Sacri Massi di Giuggianello. Forse perché in essi vi era qualcosa meritevole di essere visto e raccontato, qualcosa che emerge dalle profondità del passato diventando baluardo di ricchezza per il Salento, per l’umanità e per le future generazioni di giovani.
Francesco Corona