«Abbiamo bisogno del pensiero della Pasqua, ci occorre una piena comprensione dell’idea della Pasqua!» In questa perentoria sentenza è concentrato il contenuto di una conferenza tenuta da Rudolf Steiner a Dornach il 27 marzo 1921, dedicata al Mistero della Resurrezione. (in: Cosa vuol dire “Risurrezione”? – O.O. N° 203)
Nella parte iniziale ci sorprende una visione veramente inusuale del vasto patrimonio artistico raffigurante il Crocefisso: «Quanto piú perfettamente l’arte riuscí, nel corso delle successive epoche, a rappresentare i segni del dolore sul corpo umano del Salvatore appeso alla croce, tanto piú vennero sparsi i germi di un sentire cristiano materialistico».
Come non definire per lo meno scioccante quanto precede: l’immenso patrimonio artistico ispirato dai momenti conclusivi della Passione del Cristo e oggetto di secolare venerazione, addirittura responsabile di una degenerazione materialistica del Cristianesimo!
Il Dottore precisa subito come siano da intendersi le Sue parole: «Questo non vuol dire negare la profondità e l’importanza di ciò che l’arte ha rappresentato nei dolori del Salvatore». Non è questo infatti il tema in questione: «Ciononostante resta vero che, con questa immagine del Salvatore che si scioglie nel dolore sulla croce, ci si è distaccati da una vera e propria concezione spirituale del cristianesimo».
Viene dunque pienamente riconosciuto il religioso impegno nel testimoniare le sofferenze che hanno accompagnato ogni istante della Crocifissione.
Ma è proprio nell’insistente, monotematica, «…rappresentazione dell’Uomo dei dolori…» che Rufolf Steiner individua l’elemento corresponsabile del menzionato diluirsi di un autentico sentire cristiano: «Vediamo svanire dal Crocefisso lo Spirito e l’anima, intrisa di dolore, esprimersi nel fisico che viene ad essere esteriormente rappresentato da solo …senza lo Spirito che trionfa…».
In proposito come non ricordare, per esempio, che il Crocefisso di Cimabue (Basilica di Santa Croce, Firenze) ritenuto il primo italiano a rappresentare il Cristo non piú trionfante ma sofferente e con gli occhi serrati, è stato anche definito: “celebrazione del dolore”.
Ci viene poi disvelato come la descritta unilateralità di approccio abbia condotto ad un’identificazione unitaria gravida di conseguenze nefaste: «La celebrazione del Venerdí Santo venne fusa con la festa della Resurrezione, con la festa di Pasqua…»; e come nel tempo il significato stesso del giorno della morte del Redentore si sia gradualmente alterato: «Il Venerdí Santo …era diventato una celebrazione nella quale il pensiero pasquale aveva assunto una forma sempre piú egoistica. Immergersi nel dolore, sprofondare la propria anima voluttuosamente nel dolore per cercare una ‘beatitudine dolente’: questa era diventata, via via, la concezione del Venerdí Santo che, invece, doveva costituire soltanto lo sfondo per l’idea della Pasqua, che sempre meno si ebbe la capacità di comprendere nella sua vera forma».
Un improvviso mutamento prospettico ci disvela il collegamento di fondo con un’altra abolizione della componente “Spirito”, anch’essa ritenuta dal Dottore prodromica allo sviluppo della concezione materialistica: la cancellazione della Tricotomia decisa dal Concilio di Costantinopoli nell’869, quando ufficialmente si stabilí che non si doveva piú ritenere l’uomo consistente di tre elementi costituitivi, Spirito, Anima, Corpo, ma soltanto degli ultimi due: «Quella stessa umanità che aveva elevato a dogma di fede l’idea che l’uomo consista solo di corpo e di anima, ora richiedeva, per il proprio sentimento, un Redentore che morisse soltanto, un’immagine corrispondente ai propri dolori fisici…».
Una umanità dunque sempre piú irretita nelle spire dell’elemento materiale – viatico ineludibile per lo sviluppo di un’autocoscienza che ormai saldamente impostata ne imporrebbe il superamento – giunge a necessitare di una visione “carnale” della Passione, onde poterne accettare la scaturigine finale: «C’era bisogno dell’immagine del martoriato a morte per vivere, come per contrasto, il senso della Pasqua».
Questo dunque l’elemento veramente tragico, che il Dottore cosí sintetizza: «È caratteristico come, nella forma che ho appena indicato, la concezione del Venerdí Santo sempre piú sia stata posta in primo piano nell’evoluzione moderna, mentre l’idea della Resurrezione, il vero concetto della Pasqua, sia sempre di piú andato scemando».
Tiene ancora a sottolineare come nulla di quanto precede giustifichi alcun disconoscimento della sofferenza fisica: «Sarebbe …aberrante credere che il Cristo non abbia patito dolore per il fatto di essere passato per la porta della morte in qualità di essere divino …quel dolore deve essere considerato reale nel senso piú efficace che ci sia».
Ma ben altro è il vero significato del sublime evento: «Dobbiamo ricollegare ciò che è fisico-terrestre a ciò che è sovrafisico e sovraterrestre. Il pensiero pasquale consente solo un’interpretazione a partire dal Sovrasensibile, perché col Mistero del Golgota, che è il Mistero della Resurrezione, si è compiuto qualcosa che si distingue da tutte le altre vicende umane …per il quale la Terra fu solo la scena. …L’uomo venne di nuovo ricollegato col cosmo (corsivo d.r.). È questo che va compreso e il pensiero della Pasqua nella sua pienezza si capisce solo con questa comprensione. Nel momento in cui capiremo giustamente il pensiero della Pasqua, il concetto di Resurrezione, esso diventerà fervido e illuminante, e riaccenderà in noi le forze di cui abbiamo bisogno per l’evoluzione futura dell’umanità».
Francesco Leonetti