Tentare di affrontare il tema della Rosa può apparire un’impresa grandiosa, gli aspetti in cui questo fiore è coinvolto spaziano in ogni dove: nel mito, nella tradizione, nel simbolismo magico alchemico, nell’araldica, nella religione di molti popoli e culture che da tempo immemore hanno fatto della Rosa emblema e simbolo. Infine troviamo la sua presenza nella mistica araba e persiana, nel sufismo. La Rosa poi entra come componente in prodotti per la bellezza e la salute, come i suoi oli essenziali, estratti per lo piú dalle varietà gallica, damascena e centifolia, che hanno un’azione calmante e tonificante del cuore e degli organi interni, sono un potente antisettico e vengono indicati contro la depressione, la tensione nervosa, il mal di testa, l’insonnia, i problemi di fegato e di cuore e per la pulizia della pelle. La Rosa è uno degli oli essenziali piú conosciuti già dagli antichi Cinesi, Indiani e Persiani, esperti conoscitori delle sue virtú.
In aromaterapia è simbolo dell’amore vero e totale, e i problemi di cuore si placano col suo profumo. La Rosa apre il cuore, lo purifica dai sentimenti che lo danneggiano e rinforza il nostro corpo sottile.
È una pianta di Venere, pianeta femminile, fertile e benigno, che conferisce fortuna, armonia e senso estetico. Dal punto di vista simbolico, se Venere è il pianeta dell’amore, la Rosa ne è l’emblema: amore puro e casto se la Rosa è bianca, passionale se rossa. Un amuleto d’amore si preparava con un sacchettino a forma di cuore, da conservare in tasca o a contatto del petto, appeso al collo con un cordoncino, in cui vi erano posti dei petali profumati di Rosa disseccati.
Tracceremo ora a grandi linee alcuni aspetti della storia di questo fiore. Saranno inevitabili mancanze e lacune, dato che se si volesse entrare nel dettaglio di ogni argomento, si riempirebbero pagine e pagine.
Iniziamo con la Rosa selvatica che, con i suoi cinque petali, è immagine delle cinque piaghe del Redentore ed è l’equivalente della coppa che raccolse il sangue del Cristo.
Nella Vitis Mystica, si legge che ogni goccia di sangue del Crocefisso forma un petalo della Rosa della Passione. In virtú di questa relazione simbolica, le Rose dell’iconografia della Madonna del Roseto, raffigurata in dipinti da molti artisti famosi, oltre ad essere le Rose di Maria, possono essere anche le Rose della Passione. In un memoriale trecentesco della Passione compare un grande scudo bianco dentro il quale è dipinta una croce. Su di essa figurano cinque Rose araldiche da cui sgorgano fiotti di sangue. La Rosa rossa è simbolo di martirio, la bianca di castità.
Cosí scrive Charbonneau Lassay: «È evidente che in questa emblematica il fiore mistico rappresenta sia il corpo sofferente e sia il sangue di Gesú, il suo sangue che in molte rappresentazioni artistiche, si trasforma in Rose e che in una tovaglia d’altare è raffigurato colare lungo la santa lancia e ammassarsi nel cuore di una Rosa di porpora come in una coppa preziosa».
Il simbolismo della Rosa è strettamente legato alla Passione e al sangue del Cristo e, dunque, alla salvezza propiziata dal sacrificio del Figlio di Dio.
Tra le valenze simboliche della Rosa araldica a cinque petali, fiore-emblema della Cavalleria medievale, vi è quella della resurrezione, sia di quella del Cristo sia della resurrezione in Cristo di quanti hanno creduto in Lui ed hanno operato in conformità al suo insegnamento.
La Rosa selvatica ben si presta ad esprimere il simbolo della rinascita e del rinnovamento giacché, in natura, è tra i primi fiori a sbocciare nei boschi annunciando la primavera e la fine dell’inverno.
Durante la stagione fredda, i suoi frutti rosseggiano sui rami spogli, come un ricordo e una promessa di vita.
Ancora Charbonneau Lassay cosí sintetizza i vari aspetti del simbolismo della Rosa nell’arte cristiana: «Cosí dunque nella simbologia cristiana, la Rosa si presenta come uno degli emblemi piú ricchi sotto diversi aspetti, con i suoi molteplici significati di fiore dell’Amore e della Carità, della Sorgente di vita, di immagine del Salvatore, della sua Passione, della Sua e della nostra resurrezione, infine dell’eterna felicità promessa da Lui e in Lui».
Tornando indietro nel tempo, la Rosa fu per i Greci l’attributo di Afrodite, la Venere dei Romani, la Grande Madre dai tanti nomi che apparve nell’isola di Citera.
Nel quadro del Botticelli “La nascita di Venere”, la dea sorge dalle acque accompagnata da una pioggia di rose. Esse celebrano non soltanto colei che è manifestazione della bellezza divina, ma anche lo hieròs gàmos, il sacro sposalizio fra Cielo e Terra, l’amore fecondo suscitato dalla dea.
Poi nella poesia cortese Guillaume de Lorris, nel XIII secolo, narrava nell’allegorico Roman de la rose un sogno che lo vedeva giungere in un giardino cinto da mura dove era una Rosa straordinaria. Avrebbe voluto coglierla, ma i guardiani glielo avevano impedito, proteggendo il roseto con un muro e una torre.
Piú tardi, alla fine del ‘400, il Poliziano, in un sapiente gioco di allusioni sul tema dell’impermanenza della bellezza femminile, cosí scriveva:
“Quando la Rosa ogni sua foglia spande,
quando è piú bella, quando è piú gradita,
allora è buona da mettere in ghirlande,
prima che sua bellezza sia fuggita;
sí che, fanciulle, mentre è piú fiorita,
coglian la bella Rosa dal giardino”.
Nella Divina Commedia, nel Paradiso, la Vergine regna sulla candida Rosa dell’Empireo, formata dai beati disposti nella concentricità della spirale dei petali: una Rosa che dal suo centro di Luce, s’innalza come un anfiteatro verso la sua Sorgente, estrema Luce che si manifesta nel cielo notturno pieno di stelle, cosí si esprime Dante:
“In forma dunque di candida Rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa”.
Questa Rosa dei beati, illuminata dal Sole del Cristo, è l’immagine del Paradiso: su essa domina, vicinissima al Sole, Maria, Madre e Figlia del Figlio, Rosa che regna nel decimo cielo, potenza spirituale e salvifica. In senso allegorico la Rosa dei beati è l’unione mistica dell’intera umanità nel corpo del Cristo e la trasfigurazione dei credenti nel Regno di Dio.
Molti Santi hanno fatto riferimento a questo fiore, Bernardo di Clairvaux, riassumendo la contrapposizione fra la prima donna e la madre di Gesú, cosí si esprimeva: «Eva è la spina, Maria la Rosa, come dalle pungenti spine nasce la morbida Rosa, che è del tutto inoffensiva e corona degnamente il ramo, cosí dalla stirpe di Eva uscí Maria, tutta santa, e la nuova Vergine riparò l’errore della prima. Dalla Giudea spuntò Maria come dalle spine la Rosa».
In onore della Rosa-Maria si recita il Rosario, che cominciò a diffondersi all’inizio del XII secolo con il nome di “salterio mariano”. Il suo culto ricevette un grande impulso con il domenicano Pietro da Verona, poi divenuto santo, e nel XV secolo si cominciò ad usare la definizione “Rosario della beata Vergine Maria”. Il Rosario si ispirava alle corone di questi fiori e per sottolinearne il legame venivano fabbricati proprio col legno di questa pianta. Nacque anche una leggenda secondo la quale sarebbe stato l’Arcangelo Gabriele ad intrecciare con le Rose tre corone per la Santa Vergine: una di Rose bianche per il gaudio, dov’erano considerati gli avvenimenti della fanciullezza di Gesú; una di Rose rosse per i dolori della Passione e una di Rose dorate per la glorificazione di Gesú e sua Madre.
La pratica del Rosario ebbe un’ulteriore diffusione grazie a Pio V che attribuí alla Madonna la vittoria della flotta cristiana della Lega Santa contro quella turca a Lepanto, nel 1571. Due anni dopo, Gregorio XII fissò alla data del sette ottobre la solenne celebrazione della vittoria denominandola “Festa del Santissimo Rosario”.
Vi è un lungo elenco di Sante famose che hanno aneddoti legati al fiore della Rosa. Santa Rosa da Viterbo, mentre un giorno usciva di casa nascondendo nel grembiale del pane da dare ai poveri, incontrò il padre che le chiese di mostrare quel che portava con sé: lei aprí il grembiale che apparve colmo di Rose. Un identico episodio venne attribuito a Santa Zita, lucchese, governante di una agiata famiglia.
Anche l’iconografia di Santa Elisabetta d’Ungheria ci ricorda un analogo aneddoto del marito Luigi, che la incontrò mentre scendeva dal castello di Marburgo con le provvigioni per i poveri nascoste sotto il mantello. Quando le domandò che cosa portasse con sé, lei aprí il mantello da dove uscirono freschissime Rose nonostante il crudo inverno.
Roselline sono invece gli attributi della beata Colomba da Rieti. Dopo una vita condotta in odore di santità, come terziaria francescana, durante l’agonia, in punto di morte, chiese di aver il capo adornato da una ghirlanda di rose. Disse: «Copritemi di Rose cosí che possa presentarmi bella al Signore» e furono le sue ultime parole.
A Roccaporena, vicino Cascia, vi è un roseto di cui si narra che in pieno inverno Santa Rita, che giaceva ormai inferma nella sua cella, chiese ad una consorella che l’era andata a visitare di salire all’orto e portarle una Rosa; era pieno inverno e questa salí tra la neve fino alla casa, dove vide un cespuglio con due Rose fiorite. Per questo motivo nel giorno della festa della Santa, il 22 maggio, si benedicono e si offrono questi fiori ai pellegrini.
Infine un roseto senza spine fiorí nel convento della Porziuncola dove viveva Francesco d’Assisi. Si narra che una notte di gennaio, in preda alle tentazioni, il santo uscí ignudo dalla cella gettandosi in un roveto; l’arbusto si trasformò in quel roseto senza spine che fiorisce ancor oggi nei pressi della cappella del Roseto, a Santa Maria degli Angeli.
La Rosa non fu comunque solo simbolo di santità e manifestazione del Divino; era l’anno 1455 e in Inghilterra aveva inizio la “Guerra delle due Rose”, una lotta fratricida combattuta per motivi dinastici, che ebbe fine solo nel 1487.
Si contrapposero due diversi rami della casa regnante dei Plantageneti, i Lancaster, che presero ad emblema la Rosa rossa, e gli York la Rosa bianca. Vi furono innumerevoli morti e rovine, da entrambe le parti non si risparmiarono le scelleratezze, e la guerra si concluse con l’affermazione di una nuova dinastia, i Tudor, dove per vie di sangue confluirono i superstiti delle due dinastie. Il simbolo dei Tudor diverrà la Rosa rossa che ha in sé quella bianca, l’emblema ancor oggi dell’Inghilterra.
In quegli anni funesti dove casate e dinastie si scontrano in guerre sanguinose, nel centro Europa Christian Rosenkreutz compare come Maestro di un piccolo gruppo di discepoli Iniziati; cosí afferma Rudolf Steiner nella conferenza tenuta a Monaco il 22 maggio 1907: «Accenneremo solo di sfuggita a quanto si sa della storia dei Rosacroce. Nell’anno 1459 un’alta individualità spirituale, incarnata nella persona che corrisponde al nome di Christian Rosenkreutz, comparve come Maestro d’un piccolo gruppo di discepoli Iniziati. Nel 1459 Christian Rosenkreutz fu eletto “Eques lapidis aurei”, “Cavaliere della pietra aurea” in seno ad una confraternita spirituale rigorosamente chiusa, la confraternita “Rosae Crucis”. L’alta individualità spirituale, scesa sul piano fisico nella persona di Christian Rosenkreutz, agí in seguito sempre di nuovo come guida e Maestro del movimento dei Rosacroce, nello “stesso corpo”, come si dice in occultismo» (La saggezza dei Rosacroce, O.O. N° 99).
Molto il Dottor Steiner ha detto e scritto sulla Rosacroce, come poi anche Massimo Scaligero nei suoi testi ed incontri. Il Movimento Rosicruciano è e sarà l’avvenire dell’umanità, l’inverarsi del Cristo nell’umano, e nel simbolo della Croce nera con attorno le sette Rose rosse si ha il segno vivente del superamento della Morte da parte delle Forze Spirituali che l’uomo dovrà sviluppare in se stesso.
“La Rosa non ha un perché,
fiorisce perché fiorisce,
non bada a sé,
non chiede se la si veda o no”.
Angelo Silesio
da Il Viandante Cherubico
Davirita