Beleno, Belisama, Epona, alle origini dell’Epos Celtico nel Nord Italia

Siti e miti

Beleno, Belisama, Epona, alle origini dell’Epos Celtico nel Nord Italia

Gallia Cisalpina

 

In questo scritto tratteremo di alcuni aspetti legati alle divinità dei popoli che tra il IX e l’VIII secolo a.C. stanziavano nell’area grosso­modo tra il lago Maggiore, Lugano, Como e fino ad arrivare al lago d’Iseo: popolazioni quali gli Insubri, i Leponti, gli Orobi, i Camuni, i Taurini, i Cenomani ecc., un territorio che corrisponde alle attuali province di Varese, Como, Lecco, Milano, Bergamo, la Valtellina e Brescia. Storicamente la fase che li riguarda è denominata di Gola­secca, dal nome di una località in provincia di Varese e che va dal 900 al 380 a.C. quando, con la calata dei Celti Transalpini in Val Padana, questa cultura viene sostituita da quella di La Tène, dal nome dell’omonimo villaggio situato sulla sponde del lago di Neuchâtel in Svizzera, cultura che sarà definitivamente assorbita da Roma nel 16-14 a.C. con la conquista, e a volte con l’alleanza, dei territori alpini ancora indipendenti: Leponti, Camuni e Orobi.

 

Non sarà una trattazione che vuol essere esaustiva, ché se si volessero esporre tutti gli aspetti storici, culturali e archeologici o del mito e la leggenda, si riempirebbero volumi, e tra l’altro già molti sono i lavori, anche recenti, che di quei popoli trattano esaurientemente. Cercheremo allora di dare delle “pennellate”, per comporre un’opera che alla fine descriva quel che credevano e adoravano quelle genti, che diedero vita a culture e tradizioni spesso passate in secondo piano da una storiografia che ha messo in maggior risalto popoli italici piú “blasonati”, quali Veneti, Liguri, Etruschi e infine Roma, che con la sua graduale espansione, durata secoli e conclusasi con Augusto, si spinse fino in queste terre del Nord Italia, usando la forza o le alleanze con le popolazioni che mano a mano incontravano nella loro risalita.

 

Armi del periodo La Tène

Armi del periodo La Tène

 

Erano etnie radicate ai loro territori, fiere e difficili da sottomettere, spesso risiedevano in zone montane e non facilmente accessibili a Roma e alle sue legioni. Praticavano la pastorizia, la coltivazione dei cereali, la lavorazione del legname e tessitura della lana, ma quello che li distinse fu la metallurgia. Particolarmente attive nella estrazione, fusione e lavorazione dei metalli furono le popolazioni stanziate in area montana, quali i Camuni, gli Orobi e i Leponti, che individuarono zone in cui i giacimenti di minerale di ferro, rame, piombo e argento erano piú facilmente estraibili, sia con lavori in galleria che a cielo aperto, e che poi, dopo l’estrazione, veniva cotto in forni costruiti in loco, dapprima con una resa parziale poi, con il progredire delle tecniche di fusione, con una sempre maggiore resa di prodotto finito.

 

Tante le testimonianze venute alla luce nelle valli bergamasche, da cui traggo le mie origini, e nella Valsassina, in area comasca, per citarne alcune, negli ultimi decenni si è poi assistito ad un sempre maggior interesse ad una storia che per secoli ha coinvolto e dato lavoro e benessere a interi villaggi, dove il metallo, specialmente il ferro, veniva lavorato in fucine e trasformato in armi e utensili da lavoro, metallo molto ricercato poiché adatto e resistente agli usi del tempo, un’attività che è poi proseguita fino al XV, XVI, XVII secolo, e in alcune località e durata fino al secolo scorso, ad esempio in Val di Scalve, nella provincia di Bergamo.

 

Dopo tutto ciò, chi erano, cosa credevano e veneravano i popoli che andia­mo descrivendo? Sicuramente ceppi originari erano presenti già in epoca protostorica ma il periodo in cui si riscontrano piú testimonianze data dalla fase del Bronzo, 2000-500 a.C., e all’età del Ferro che in quegli ambiti ebbe inizio tra il 900 e l’800 a.C. Nel frattempo anche l’organizzazione sociale si trasformava e dagli originari gruppi tribali si venivano creando villaggi e piú tardi città, specialmente nelle pianure, quali Comum, Bergomum, Brixia e Mediolanum, dove l’apporto di popolazioni provenienti dall’area transalpina diede l’innesto alla creazione di quella che sarà l’influenza Gallo-Celtica in tutta l’area del Nord Italia, fino ad interessare il Centro Italia, ad esempio con i Galli Senoni nelle Marche.

 

Fu infatti dal mondo celtico che provennero divinità e culti che furono spesso adattati o sovrapposti a quelli preesistenti. Qui descriveremo la triade forse piú importante del loro Pantheon.

 

Belenus

Il dio solare Beleno

 

Iniziamo da Belenus, o Beleno, dal protoindoeuropeo “Bel”, Colui che è Luminoso, uno dei maggiori e piú influenti tra gli antichi dei del Nord Europa, e che tra le popolazioni nord-italiche assunse anche il nome di Berginus, accostato al dio Apollo delle culture mediter­ranee. In suo onore venivano praticati riti collegati ai Solstizi e ai Cicli Solari dell’anno.

 

Sovrintendeva alle stagioni, all’agricoltura e all’allevamento e ispi­rava le innovazioni e le invenzioni in quei popoli, come del resto Rudolf Steiner ha piú volte spiegato in sue conferenze, descrivendo come l’umanità di quei tempi fosse specialmente collegata al mondo divino e ne ricevesse ispirazione e guida per l’agire quotidiano.

 

Nella festa di Beltane, in Primavera, si celebrava la rinascita della Luce con l’accensione di fuochi e falò, mentre a fine Dicembre, con la festività di Imbolc, si ricordava la ciclica morte del dio e l’eclissarsi della Luce stessa con riti correlati a piante sempre verdi quali l’abete e l’agrifoglio.

 

Beltane

La dea Belisama

 

La sua compagna era Belisama, dea del fuoco, equivalente a Brigit e accostata alla dea Minerva. Sovrintendeva ai mestieri e alle attività che hanno a che fare con il fuoco, adorata nella Gallia Cisalpina e Trans­alpina e dalle popolazioni dell’Insubria, Orobi, Cenomani e Liguri.

 

A lei è consacrato il Biancospino, e proprio questa pianta avrebbe segnalato a Belloveso, nipote del re Ambigato – che nel VI secolo a.C. si mosse con le sue genti dalla piana del Rodano verso la Pianura Padana – il luogo di fondazione di Milano, l’antica Mediolanum, il cui nome sta a significare “in mezzo alla pianura”. Rovine di un tempio dedicato a Belisama sono state ritrovate sotto l’attuale Duomo.

 

Infine Epona, suprema signora dei cavalli: è il teonimo stesso ad esprimere la caratteristica saliente di questa figura peculiare del pantheon celtico, derivando dal gallico “epos”, cavallo.

 

La dea Epona

La dea Epona

 

L’iconografia di Epona è legata al simbolismo equestre, i suoi devoti ne hanno lasciato centi­naia di raffigurazioni, in genere bassorilievi in pietra o terracotta, piú di rado in bronzo e dediche votive. Il suo culto andava dalla Gallia all’attuale Belgio, alla Germania e fin su nella Britannia. Anche a Roma aveva seguaci, specialmente tra i legionari e la cavalleria celtica integrata nell’esercito romano, ma soprattutto era presente nelle po­polazioni celtiche del Nord Italia. Le funzioni di Epona dovevano essere molteplici e ben piú complesse rispetto al ruolo di guardiana di caval­cature e cavalieri; le rappresentazioni rimandano anche al simbolismo della fertilità e dell’abbondanza legata alla Madre Terra. Era inoltre correlata alle fonti d’acqua salutari, come pure al tema del trapasso, il viaggio nell’Aldilà; è il cavallo come trasportatore di anime a rendere la dea un’accompagnatrice dei defunti verso il mondo ultraterreno.

 

Sono stati anche evidenziati parallelismi tra Epona e il mito di Rhian­non, narrato nei Mabinogion gallesi. In tale racconto la principessa Rhiannon appare in cima ad un’altura in groppa a un gran cavallo bianco, vestita con uno splendente abito dorato.

 

Il culto di Epona sopravvisse a lungo e tale continuità del perdurare di riti pagani fu dovuta all’isolamento delle aree rurali alpine dove la diffusione del Cristianesimo, come religione ufficiale dell’Impero, ebbe maggiori difficoltà ad imporsi.

 

La Storia che si è andati a raccontare è parte di un passato, ma allo stesso tempo è nel nostro presente, poiché siamo e saremo anche ciò che in tempi lontani siamo stati, in un lungo percorso di morte e rinascita.

 

 

Davide Testa