Massimo Scaligero, dopo aver avuto nel lontano settembre 1939 questa visione – che possiamo considerare profetica dell’epoca che sarebbe seguita, soprattutto quella di cui parlava spesso, che lui collocava dopo il Duemila, proprio quella che noi adesso stiamo vivendo – ha dedicato completamente se stesso e la sua opera a destare la coscienza degli individui, ad aiutarli a capire quale sia l’unica via da seguire: quella della disciplina del pensiero, della Volontà solare, del Logos e i Nuovi Misteri, del Graal. E soprattutto ha indicato il Maestro dei Nuovi Tempi, Rudolf Steiner, come colui al quale ci si deve riferire per trarre, dal suo illuminato e illuminante insegnamento, la forza per reagire alla dissoluzione della società cui si va incontro se non si agisce per tempo, con decisione, coraggio e dedizione.
«L’ideale della umana esistenza si vincola ad una vita comoda, pacifica, senza alterazioni: il benessere materiale diviene l’assillo delle masse, onde non si esita a creare utopie di tipo consumistico, quali rappresentazioni visionarie di una società gaudente, senza leggi, senza preoccupazioni d’ordine trascendente, “senza anima”, dedita soltanto a rendere pacifico con tutti i mezzi il predominio della bestialità. È questo il caso in cui, venendo lo Spirito condizionato dal corpo nella sua bassa “fisicità”, la società s’involve e degenera.
Se poi, nel voler realizzare una tale aspirazione di vita, che subordina a sé le stesse attività dello Spirito, gli uomini trovano ostacoli in altri uomini, ovvero in applicazioni di leggi, in norme di politica, selvaggiamente essi recalcitrano e tendono a sovvertire tali forme di ordine, poiché ciò che domina in loro prepotente si ribella. Essi peraltro trovano la maniera di mascherare con le etichette dell’“ideale”, della cultura umanitaria, della democrazia, del “progresso”, questa loro fangosità profonda: è una sorta di infezione la quale facilmente si propaga là ove l’atmosfera è già stata resa accogliente da un’adeguata preparazione pseudo-intellettuale, sottilmente lobbistica, onde le masse passivamente accettano i piú grossolani errori socialitari, con il miraggio illusorio di una nuova èra di comodità e di benessere sensuale.
Nello scatenamento che sopravviene, le masse sovversive, smarriti gli ultimi lumi della consapevolezza, sono invasate da forze demoniache di bassa passionalità, di truculenta sanguinarietà, che hanno radice nel profondo della compagine psico-fisica: esse, non che ritrovarsi a un livello di comune umanità, scendono ancora piú in basso sino a toccare le stesse scaturigini di ciò che è malvagiamente istintivo, ossia la matta bestialità: è un ritorno a quel caos che l’uomo ha impiegato secoli di lotte e di eroismi, di esasperazioni dottrinarie e di esperienze politiche, a redimere in cosmos, ossia nel suo mondo, dinanzi al quale egli potesse mantenere viva l’evidenza di una sua discendenza superumana, del suo appartenere ad una categoria di dominatori della “natura”. Nessuna autorità viene piú riconosciuta, ci si accanisce soprattutto contro i simboli dell’ordine e della spiritualità, illudendosi di annientarli con semplici distruzioni materiali, che tuttavia culminano nelle piú inutili violenze, nella voluttà di una sanguinaria coprofagia che va spesso al disotto della stessa cieca istintività delle bestie. La società dunque decade, discende da un piano “umano” ad un piano “sub-umano”.
È opportuno mettere in rilievo come non esista soluzione di ritmo nella foga distruttiva, in quanto il trionfo di una tale causa costituisce la sua stessa condanna: sia pure raggiunto quel periodo di stasi in cui i sovvertitori credono di poter realizzare il loro stato ideale di animalesca felicità, l’opera distruttiva continua per un intimo e irresistibile impulso di cui gli uomini stessi non si rendono conto: è una sorta di discesa lungo la quale non si ritrova piú un punto fermo o un punto d’arresto. La sovversione divora gli uomini medesimi che l’hanno operata, alla stessa maniera che divorerà quelli che ne proseguono il sistema. Ed è, insieme con la fine di un popolo e di una nazione, la degenerazione della comunità umana»
Massimo Scaligero
Selezione da «La vita italiana», settembre 1939.