I Padri della Patria
Il processo di unificazione dell’Italia è stato raggiunto grazie a una complessità di posizioni politiche, anche discordanti tra loro. Le quattro figure centrali del Risorgimento non potevano essere piú diverse: un ricchissimo e machiavellico ministro piemontese, un filosofo mistico e repubblicano che visse quasi sempre all’estero mantenendo una corrispondenza con decine di migliaia di italiani, un re non particolarmente colto, sanguigno e vitale, un guerrigliero e stratega finissimo dotato di poteri carismatici quasi sovrannaturali. Tolti i quattro principali artefici, che noi sappiamo essere stati degli Iniziati con una missione specifica, restano i fermenti e le posizioni dei patrioti che nel corso dell’Ottocento diedero luogo al Risorgimento nazionale italiano. I patrioti, al momento della nascita della Carboneria, non erano molti, ma si moltiplicarono nelle generazioni successive. Il popolo italiano trovò il modo di realizzare la propria indipendenza e il proprio portato spirituale nel corso del tempo ed ancora oggi ha un gran compito da attuare.
Epos, Ethos, Genos, Logos, Topos
L’antropologia culturale di cui abbiamo già ampiamente scritto su questa rivista (Popoli in contrasto) esamina un popolo distinguendo cinque componenti: 1. la lingua, che è il Logos; 2. Genos, ovvero la stirpe con le sue caratteristiche costanti e statisticamente maggioritarie nelle fisionomie fisiche; 3. l’Epos ovvero la trasfigurazione simbolica della memoria storica in quanto celebrazione del comune passato; 4. l’Ethos, ovvero le norme comuni, le regole accettate e rispettate nelle istituzioni; e infine 5. il Topos, ovvero il territorio fisico nel quale vive il popolo, immagine geografico-simbolica della madrepatria.
Equilibrio delle Cinque Forze
Un popolo può considerarsi indipendente quando tutte e cinque queste componenti si armonizzano in reciproco equilibrio. Qualsiasi prevalenza dell’una o dell’altra comporta guerre e gravi squilibri sociali e culturali. Guardiamo insieme le storture dovute all’esaltazione di una singola componente: 1. Logos: se ad esempio in Italia si proibisse il dialetto o l’uso di una lingua minoritaria, si determinerebbe una grave lesione culturale poiché, come fa notare il Dottore, anche gli spiriti irregolari o piú antichi hanno una grande funzione evolutiva. 2. Genos: folle sarebbe applicare idee ispirate alla purezza della razza proibendo o esecrando matrimoni misti. I popoli, come quello ebraico che ancora oggi vivono al loro interno il mito razziale, si assumono la responsabilità di un destino assai pesante per i loro discendenti. 3. Topos: iniziare delle guerre di conquista geografica oggi sarebbe altrettanto improvvido. Se l’Italia nel 2024 si proponesse di conquistare l’Istria o Fiume, andremmo incontro a una catastrofe, anche perché con lo stesso assunto le popolazioni sudtirolesi dell’Alto Adige potrebbero preferire l’appartenenza all’Austria. La soluzione civile adatta ai nostri tempi sta nella creazione di regioni con un alto o altissimo grado di autonomia, come la Groenlandia con la Danimarca, o l’Alto Adige/ Sudtirol con l’Italia. 4. Epos: studiare solo la storia nazionale è un errore grave.
Rinunciare allo studio e alla esaltazione della Storia patria nelle scuole è invece un crimine contro coloro che si sono sacrificati donando il loro sangue nel corso dei secoli. Dedicheremo successivamente dei paragrafi alla perdita di memoria storica in Italia. 5) Ethos: L’Ethos democratico è diventato un paradigma assoluto al punto di considerarlo un assunto che va esportato (anche con le armi) in ogni paese del mondo. Nel nostro secolo la componente globalista ha perfino tentato di imporre l’idea che il neoliberismo rappresenti l’etica ideale con cui si debbano unificare in un unico stato mondiale tutti i popoli. Il multipolarismo dei BRICS sta ponendo fine a questi due assunti, e negli stessi Stati Uniti un forte movimento si sta ribellando contro queste visioni antispirituali.
Quattro guerre per la costruzione della madrepatria
Le Guerre di Indipendenza per la conquista del territorio italiano (Topos) sono state quattro e non solo tre. La Prima Guerra d’Indipendenza non portò a una vittoria territoriale ma fu importante per consolidare il sentimento nazionale, la Seconda uní la Lombardia al Regno di Sardegna, la Terza contribuí a realizzare il processo di unificazione nazionale e a stabilire il Regno d’Italia sotto forma di stato unitario indipendente. Le prime tre guerre furono combattute nell’Ottocento. Dopo la presa di Roma (1870), quasi tutta l’Italia si uní in un unico Stato. La Quarta guerra d’Indipendenza (ovvero la Prima guerra mondiale), nel 1915-18 aggiunse Trento, Gorizia e Trieste.
Mancavano però le cosiddette terre irredente, ossia terre italofone, ancora escluse: il Litorale adriatico orientale, parte dell’Alto Adige e la Dalmazia. Di queste solo una parte del Sud Tirolo è toccata all’Italia dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Karmicamente gli italiani hanno dovuto andarsene da Istria e Dalmazia, lasciando a testimonianza solo esigue comunità residenti in quei luoghi, oggi quasi completamente slavizzati.
Nelle regioni di confine Friuli-Venezia Giulia, Alto Adige e Val d’Aosta, con grande lungimiranza e spirito di convivenza, nella Prima repubblica si sono create amministrazioni autonome capaci di garantire le minoranze etniche slovene, ladine, tedesche e patois.
Settanta anni d’indipendenza
È importante notare che fino alle elezioni del 1867 chi amministrava il territorio italiano, di fatto, era o si sentiva piemontese, ma nel decennio successivo, con la partecipazione dei deputati eletti in diverse regioni del paese, si formò una classe dirigente capace di rappresentare tutto il territorio della patria. Possiamo asserire che i governi del Regno d’Italia operarono in un paese indipendente? La risposta è positiva: a decidere in Italia erano degli italiani, con sangue italiano, pur riconoscendo le forti influenze straniere, soprattutto in campo finanziario. Comunque, le scelte del nostro paese non furono determinate dall’esterno, dall’Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania o dai Rothschild.
Serviva un simbolo d’indipendenza e fu costruito. L’Altare della Patria è un monumento che rappresenta la sovranità nazionale. L’Italia fu indubitabilmente governata da italiani nelle ultime tre decadi dell’Ottocento e nelle prime quattro decadi del Novecento. Le cinque forze dell’antropologia culturale caratterizzanti la fisionomia etnica (Logos, Epos, Topos, Ethos e Genos) convissero vitalmente per 70 anni. In questo arco di tempo la situazione spirituale, quella sociale e il destino dei popoli furono coinvolti nelle inaudite sofferenze di due guerre mondiali che insanguinarono il pianeta. Di fatto nel settembre del 1943, quando i tedeschi liberarono Mussolini sul Gran Sasso, la sovranità italiana era già perduta. L’Italia del Nord con la Repubblica Sociale divenne quasi un protettorato tedesco, mentre il Centro Sud con Badoglio era una zona di occupazione militare anglosassone. Tra il 1940 e il 1943 terminarono i settant’anni di indipendenza italiana. Nel secondo dopoguerra l’idea che la nostra terra sia pesantemente gravata dall’occupazione angloamericana fu minimizzata. Il boom economico aiutò a dimenticare, la speranza dei comunisti nella Russia spingeva verso l’aspirazione irrealistica di una occupazione sovietica. Comunque, sempre di occupazione si sarebbe trattato.
Cancellazione dell’Epos italico
Per indurre l’oblio culturale e dimenticare la perduta sovranità del nostro popolo, la Gran Bretagna creò il Dipartimento della Guerra Psicologica. Fulcro di questa operazione metapolitica fu Renato Mieli, il padre di Paolo Mieli, mostro sacro del giornalismo nostrano. Nato in Egitto in una famiglia italiana di religione ebraica, Renato Mieli divenne comunista, e in seguito assunse la direzione dei programmi radio in lingua italiana a Gerusalemme. Nel 1944, fece ritorno in Italia. Agli ordini dei britannici, ottenne un passaporto contraffatto a nome “Ralph Merrill”, con il grado di colonnello. Venne designato ufficiale dei servizi segreti e lavorò, appunto, presso il Dipartimento di Guerra Psicologica, responsabile dell’autorizzazione alla pubblicazione e dell’assegnazione delle licenze per la stampa dei primi giornali nell’Italia occupata. La carta per un certo periodo fu razionata, e anche quel pretesto fu valido per indirizzare la stampa. Mieli scelse le case editrici degne della fiducia degli Alleati e costruí letteralmente nome per nome, la carriera sfolgorante della classe intellettuale che egemonizzò la cultura italiana del dopoguerra. Classe intellettuale che amplificò a dismisura la retorica della Resistenza. Gli italiani non dovevano pensare che la vittoria militare era stata opera delle truppe Alleate ma dei partigiani italiani.
Va detto che tra le file partigiane militarono anche patrioti. L’eccidio delle malghe di Porzus lo testimonia. Comunque i numeri dimostrano che il contributo di sangue offerto dagli Alleati fu sostanzioso: gli statunitensi persero ventitremila uomini a cui dobbiamo aggiungere le migliaia di caduti inglesi, indiani, marocchini, canadesi e australiani. Perdite che mai saranno raggiunte dai partigiani in armi, ma l’importante fu nascondere ai nostri compatrioti la realtà dei fatti. La campagna italiana fu una delle piú sanguinose della Seconda Guerra Mondiale, e il prezzo da pagare per quei morti, non nostri, fu la perdita dell’indipendenza nazionale. Il Dipartimento britannico della Guerra Psicologica modellò l’immaginario culturale italiano del dopoguerra, dopodiché Mieli fece una scelta liberista appoggiata da Confindustria. Malgrado ciò la classe intellettuale selezionata, sostenuta dagli anglofoni, indirizzò il proprio impegno soprattutto verso Sinistra, in modo da creare uno scenario di egemonia culturale in quel campo. Il dividi et impera presuppose che la cultura andasse a gravitare verso il PCI e gli affari e la Politica governativa spettassero alla DC e alla Massoneria che controllava i partiti laici.
L’Epos della madrepatria indipendente doveva scomparire e scomparve dalla cultura “alta”, che mai piú avrebbe tollerato, anche in forma attualizzata, un romanzo come “Cuore” di Edmondo De Amicis. Eppure, lo spazio e l’interesse c’era, poiché il libro piú venduto negli anni ‘60 fu il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. I festeggiamenti del 1961 per il centenario per l’Unità d’Italia furono nazional-popolari e non ricevettero l’alimento intellettuale che l’Epos nazionale avrebbe meritato. Fu su un piano economico-politico, non su quello culturale, che il patriottismo agí. Enrico Mattei, Aldo Moro e Bettino Craxi – che per Garibaldi provava una profonda venerazione – tentarono a modo loro dei moti d’indipendenza dal predominio anglofono e non a caso finirono male tutti e tre. Troviamo notizie su questa egemonizzazione culturale intrisa del sangue dei giusti, in un preziosissimo libro di Fasanella e Rocca: La storia di Igor Markevic: Il direttore d’orchestra nel caso Moro.
Inizio e fine di un ciclo di sovranità
Ritorniamo nuovamente al settantennale ciclo di sovranità in cui l’Italia non si trovava sotto il giogo austriaco, tedesco o angloamericano. È necessario ammettere che le identità pre-risorgimentali e regionalistiche aleggiarono anche dopo l’unificazione, Camillo Benso conte di Cavour si sentí dapprima un piemontese e acquistò con il tempo la consapevolezza e la gioia d’essere italiano. Nel 1861 le ultime parole sul letto di morte dello statista furono: «L’Italia è fatta, tutto è salvo». Astenendoci da qualsivoglia giudizio di valore, di merito o di simpatia/antipatia, su colui che fu chiamato “Il Duce”, dobbiamo focalizzarci sullo statista che concluse il ciclo dell’indipendenza italiana. Benito Mussolini il 22 aprile del ‘45, pronunciò l’ultimo discorso pubblico di fronte a un centinaio di ufficiali della Guardia Repubblicana. Le sue ultime parole chiudono ciò che era iniziato con Cavour. Mussolini disse: «Se la Patria è perduta, è inutile vivere».
La fine del ciclo dei 70 anni di indipendenza nazionale non può essere imputata unicamente a Mussolini, come del resto sarebbe insensato accusare Cavour di essere responsabile della fine del Regno di Sardegna. La Storia e l’evoluzione spirituale dei popoli coinvolge il Karma di tutti gli appartenenti a una nazione, dal primo all’ultimo. Il dato certo è che nel dopoguerra ridiventammo un protettorato angloamericano e se volessimo riacquistare immediatamente autonomia politica al di fuori della NATO, intendiamo l’indipendenza effettiva e non nominale, cioè simile a quella della Russia, della Cina, dell’India o dell’Iran, dovremmo intraprendere una Quinta guerra d’Indipendenza. Progetto questo ragionevolmente non condivisibile dal punto di vista del buon senso e non auspicabile, anche perché stiamo assistendo in questi mesi ad un declino dell’impero anglofono che potrebbe riservarci inaspettate sorprese.
Il dito di Dio nelle pagine della storia del mondo
Mazzini non conobbe la Scienza dello Spirito ma ebbe sempre la convinzione, al pari di Dante e Rudolf Steiner, che la nazione italiana fosse imposta dalla provvidenza Divina. Grazie alla persuasione di poter scorgere “Il dito di Dio nelle pagine della storia del mondo” la fiducia nella vittoria si propagò. Giuseppe Mazzini nell’Edizione Nazionale degli Scritti Inediti ci lasciò un monito importantissimo: «Ciascuno può scegliere liberamente tra il bene e il male, e quindi ciascuno è responsabile; ma non gli è dato di instaurare nel mondo, con la sua scelta il regno del male. Dio esiste per modificare gli effetti del male e per mutare in strumenti di bene per le generazioni successive, anche gli errori e i delitti di uomini perversi e traviati».
Parole di altissima spiritualità e un segnale di consapevolezza dell’Eterogenesi dei Fini. Mazzini agiva sullo spirito degli uomini piuttosto che attraverso la diplomazia o le conquiste militari. Le sue cospirazioni, per lo piú, fallirono e gli storici ci ricordano che non potevano che fallire; ma intanto egli esercitò una costante pressione, che a lungo andare si rivelò efficace, come fu ammesso dai suoi principali nemici. Non a caso Mazzini karmicamente fu colpito da malanni fisici e portato in salvo, ogni qual volta passava all’azione. E che cos’è questo se non il dito di Dio tra le pagine della Storia?
Superamento delle divisioni
Noi non possiamo bestemmiare contro la Storia rifiutando i sacrifici e i fatti che sono avvenuti. I milioni di morti per l’Italia, dai moti carbonari ai martiri, ai caduti nelle quattro guerre d’indipendenza e nelle due guerre mondiali, dei combattenti della Resistenza che credevano nell’Italia, quanto a quelli per la RSI, fino agli omicidi di Moro e Mattei, tutti indistintamente hanno lavorato per un’idea di patria, anzi di Patria, visto che sono morti per una causa ideale. Di là dallo stato di euforia per le vittorie della nazionale di calcio e i successi della moda, l’idea di Indipendenza è ancora viva ma ha estremo bisogno di propagarsi integrando i contenuti spirituali di Mazzini. Senza accompagnarsi alla dottrina del Karma, i patrioti resteranno sempre imprigionati da una logica partitica di Destra contro Sinistra. La trappola democratica è ancora presente nelle elezioni europee, lo si vede con l’accanimento capzioso con cui i globalisti, ancora oggi, hanno impedito l’abbraccio di liste tra patrioti che condividono l’ Epos, l’Ethos, il Genos, il Logos e il Topos italici. Ciò che ieri era la frattura tra Monarchici e Repubblicani oggi divide i pacifisti che riconoscono nella NATO lo strumento di oppressione. E come ieri il nemico era Metternich, oggi è il gotha finanziario che ci incanta nel nome della democrazia.
La pace prima che con il popolo russo la dobbiamo fare con la nostra Storia. I martiri che hanno dato la vita per la Patria già si abbracciano nell’Altrove e solo il riconoscimento della dottrina del Karma dei popoli porterà a questo superamento. Lo sappiamo che è difficile, si corre il rischio di venir travisati, eppure non c’è via d’uscita: questo chiedono i Tempi Nuovi e questo è richiesto a chi si rivolge alla Scienza dello Spirito.
Salvino Ruoli