L'abbazia di Sant’Eutizio e la Scuola chirurgica preciana

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L'abbazia di Sant’Eutizio e la Scuola chirurgica preciana

Il complesso abbaziale di Sant’Eutizio

Il complesso abbaziale di Sant’Eutizio

 

Nella Valle Castoriana, che prende il nome dai Diòscuri Castore e Polluce, nel comune di Preci, presso Norcia, sorge uno dei complessi monastici piú antichi d’Italia, l’Abbazia di Sant’Eutizio. Ebbe origine in una delle zone piú importanti del monachesimo prebenedettino e per diversi secoli fu centro ispiratore di tutte le attività della valle.

 

Già nel V e VI secolo vi era un intenso mo­vimento di monaci siriani che svilupparono uno stile di vita di tipo anacoretico, ma anche forme cenobitiche anticipando la Regola di San Bene­detto che sarebbe arrivata ben piú tardi.

 

Va peraltro fatto notare che San Benedetto, nato a Norcia nel 480, fu ispirato nella stesura della Regola da questi monaci eremiti, organizzati secondo la Regola Basiliana, promulgata da San Basilio, originario della Cappadocia, e della quale fu vescovo nella seconda metà del III secolo.

 

Da San Gregorio Magno, nei “Dialogorum”, si ha notizie delle origini di quella che sarà piú tardi l’Abbazia; questi suoi scritti, redatti circa nel 593, raccontano che intorno al 490 il venerando padre Spes si stanziò in quel luogo insieme ad un gruppo di eremiti, fondando un oratorio dedicato alla Vergine, nei pressi di una copiosa sorgente che scaturisce tutt’oggi da un grande masso di travertino. Alloggiavano in povere capanne e spesso in semplici cavità scavate nella roccia in cui i penitenti vivevano in assoluta povertà, meditazione e preghiera. Alla morte di Spes un suo discepolo, Eutizio, divenne la guida spirituale del cenobio e con lui la comunità ebbe un notevole impulso.

 

Sant'Eutizio

 

È di quel periodo la costruzione del primitivo monastero e poi della chiesa, che subirà successivi ampliamenti e rifacimenti; nel 536 Eutizio ne divenne abate, e alla sua morte, nel maggio del 540, le sue spoglie furono lí sepolte insieme a quelle di Spes.

 

Da quella data, e fino all’anno 1000, le notizie sono molto fram­mentarie, ma è certo che l’Abbazia costituisse il maggior centro politico ed economico della zona. Nel frattempo i monaci avevano adottato la Regola benedettina, e assunsero direttamente il ministero della cura delle anime, intraprendendo una vera e propria opera di colonizzazione del territorio, contribuendo all’incremento dell’economia rurale e allo sviluppo della cultura a beneficio delle popolazioni locali: era la Regola dell’ “Ora et Labora” che tanto apportò all’Italia e all’Europa.

 

Attorno all’Abbazia ruotava la vita delle comunità circostanti, che insieme al monastero, costi­tuirono un organismo civile e religioso, la Guaita di Sant’Eutizio.

 

Col termine “guaita”, dal longobardo “waita”, si indicavano le aggregazioni sorte attorno all’orato­rio monastico con la funzione di produzione agricola, allevamento e sfruttamento del bosco, ma anche della difesa, le “communitates”, tutt’oggi vitali nell’Appennino col nome di Comunanze Agrarie. I monaci promossero un considerevole numero di eremi e cenobi che in seguito si trasformeranno in oratori, pievi e cappelle.

 

La fama di santità di Eutizio aveva già richiamato numerosi discepoli, avviando il monastero ad un lungo periodo di prosperità spirituale e materiale. Grazie alle numerose donazioni dei Duchi di Spoleto e ai privilegi concessi da papi, vescovi e imperatori, il territorio di influenza dell’Abbazia divenne molto vasto e la proprietà fondiaria assunse un ruolo di forte promozione economica.

 

Il monastero era al tempo stesso una grande azienda dell’antichità e svolse un ruolo fondamentale nell’organizzazione economica ed amministrativa, promuovendo la colonizzazione di vasti territori ed esercitando anche una pressione politica e militare.

 

Nel periodo della sua maggior prosperità, fra il IX e il XIII secolo, la giurisdizione ecclesiastica di Sant’Eutizio si estendeva in varie zone dell’Italia Centrale: Norcia, Cascia, Spoleto, Foligno e Nocera Umbra, fino all’Abruzzo con Teramo, L’Aquila e Sulmona, nella Sabina con Leonessa e Rieti, e risa­lendo nelle Marche a Visso, Ussita, Camerino, Jesi e Senigallia.

 

Il rosone con i simboli dei quattro evangelisti

Il rosone con i simboli dei quattro evangelisti

 

Tra il 1180 e 1236 l’abate Teodino I e poi Teodino II diedero inizio a lavori di restauro e ampliamento della chiesa, in stile romanico umbro, e venne realizzato il bel rosone con i simboli dei quattro Evangelisti.

 

Ma come spesso la Storia insegna ebbe poi inizio la decadenza; con la perdita progressiva di autorità e delle proprietà sia terriere che immobiliari a vantaggio del Comune di Norcia e del Ducato di Spoleto, l’Abbazia perse la sua autonomia e dal XV secolo venne amministrata da abati commendatari di cui gli ultimi furono i vescovi di Norcia.

 

I monaci Benedettini vi rimasero fino al 1568, se pur vi fu una ripresa tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, in quel periodo furono trasferiti a Roma, presso la Biblioteca Vallicelliana, su interessamento di Filippo Neri e del Cardinal Baronio, i preziosi codici conservati nella biblioteca monastica, altri trovarono posto nella Cancelleria Vescovile di Spoleto.

 

L’opera dei monaci benedettini non era rivolta soltanto all’interno del monastero: alla bonifica della spiritualità essi unirono la bonifica del mondo che li circondava, diffondendo la loro Regola di vita. Essi svolsero un vero e proprio ruolo di riorganizzazione delle campagne con la creazione di una rete di collegamenti, di centri di aggregazione di vita delle popolazioni rurali e la bonifica di aree degradate.

 

Tutto questo però con il tempo andò a scontrarsi con il potere dello Stato, e intorno al 1700 l’Abba­zia fu abbandonata. Dopo di allora vi furono a piú riprese tentativi di riportare in vita il monastero, ma bisognerà attendere l’anno 1956 per rivedere l’apertura della chiesa e nel 1989 parte del complesso monastico è diventato “Casa di accoglienza e di Preghiera”, riprendendo l’antico ruolo di centro spirituale e culturale.

 

Tavole della Chirurgia Preciana

 

L’Abbazia ha subíto gravi danni nel terremoto del 2016, con il crollo del campanile e il frana­mento della rupe su cui sorgeva, rovinando sugli edifici monastici. Dopo anni d’attesa e vari so­pralluoghi su come intervenire, nel 2021 sono iniziati i lavori con tecnologie avanzate di rico­struzione seguendo la formula “dov’era com’era” e l’impegno a terminare l’opera entro tre anni.

 

I monaci dell’Abbazia di Sant’Eutizio furono anche gli iniziatori di quella che prese il nome di Scuola chirurgica Preciana, da Preci, il comune che piú di altri ebbe a svilupparla. Si presume che l’arte chirurgica Preciana nascesse come diretta emanazione delle conoscenze e delle arti curative introdotte nella Valle Castoriana, intorno al V secolo, dai monaci siriaci e poi portate avanti dai Benedettini, dove furono custodite e tramandate nel luogo attraverso gli antichi codici di medicina conservati nella ricca biblioteca dell’Abbazia.

 

Il capitolo 36 della Regola cita infatti “infirmorum cura omnia adhibenda est”, e in tutti i monasteri esistevano dei particolari ripostigli, armarium pigmentariorum, dove venivano conservate piante medicinali. Sarà il Concilio Lateranense del 1215 che vieterà ai monaci e al clero di praticare l’esercizio della medicina, pur potendo continuare la coltivazione e la raccolta di erbe medicinali.

 

L’arte chirurgica fu allora trasmessa e diffusa tra la popolazione locale, praticata da una trentina di famiglie che tramandavano di padre in figlio conoscenze e strumentazioni.

 

Manoscritto della scuola chirurgica di Preci

Manoscritto della scuola chirurgica di Preci

 

Gli abitanti di Preci, già esperti nella mattazione di suini e ovini, appresero nell’Abbazia l’arte chi­rurgica senza troppe difficoltà. Questi medici, chia­mati “empirici”, perché non avevano frequentato università, nel volgere di decenni perfezionarono le tecniche operatorie, grazie anche all’ausilio di nuovi strumenti da loro stessi inventati e perfezionati.

 

Il periodo di maggior fortuna della Scuola chi­rurgica preciana è tra il XV e il XVIII secolo, quan­do i medici formati presso di essa erano contesi dai potenti del tempo.

 

I “Preciani”, pur essendo in possesso di una buona cultura medica generale, erano specializzati quasi esclusivamente in tre particolari tipi di intervento: la rimozione delle cataratte, dell’ernia inguinale e la litotomia, ovvero la rimozione dei calcoli della vescica, dove risultavano insuperabili, tant’è che nel XVI secolo la percentuale di riuscita in questo intervento era per i medici preciani del 90 per cento.

 

Tavola preciana di strumenti chirurgici

Tavola preciana di strumenti chirurgici

 

La loro presenza era ambita dagli ospedali delle piú importanti città italiane ed erano richiestissimi dalle diverse corti Europee. Alcuni di essi diedero alle stampe interessanti trattati di medicina, come Durante Scacchi, nato a Preci nel 1540, capostipite della grande Scuola dei dottori di Preci; Cesare Scacchi, il fratello, la cui fama raggiunse la corte inglese tanto da essere chiamato per operare alle cataratte la regina Elisabetta I Tudor; Orazio Cattani, che fin dal 1620 era a Costantinopoli come medico del Sultano; Diomede Amici, che assunse nel 1696 la carica di Primo Chirurgo a Venezia; Girolamo Bacchettoni, al quale nel 1726 venne affidata la cattedra di oculistica dell’università di Innsbruck; Caterino Carocci, che nel 1696 fu presso la corte del sovrano austriaco Ferdinando II; Arcangelo Mensurati, che nella prima metà del XVI secolo venne chiamato al servizio dell’Arciduca d’Austria; e infine Alessandro Cattani, autore di numerosi scritti di medicina e dal 1744 al servizio presso la Corte di Napoli come medico chirurgo della Real Casa, solo per citarne alcuni.

 

Verso la fine del XVIII secolo i chirurghi preciani cominciarono a scomparire; molti di essi divennero medici, altri seguirono carriere ecclesiastiche o si rivolsero al campo della medicina fitoterapica e veterinaria. Alcuni conseguirono presso le Università la laurea dottorale in filosofia e medicina e furono richiesti come lettori di anatomia e medicina presso le Università, o come primari litotomi in vari ospedali. Nacque cosí, dalla chirurgia empirica, la professione dei “chirurghi aulici”, che conservarono le specializzazioni della litotomia e dell’oculistica.

 

 

Davide Testa