Di tanto in tanto gli uomini di scienza sanno ideare teorie capaci di destare l’ammirazione e l’interesse di molti; di fatto gettano luce, o almeno tentano di farlo, su questioni di fondo riguardanti l’intima vita degli esseri, la terra, l’evoluzione, il clima e il cosmo (i quali per cosí dire, pur costituendo il copione piú gettonato degli argomenti discussi e dibattuti d’ogni epoca, non sono mai stati spiegati in via definitiva).
Senza scordarci poi che, da quando si sono scoperte le sfide verbali sui temi d’élite, la brama di dedicarsi ad estenuanti maratone dialettiche, orali o scritte (affermando, sostenendo, confutando e criticando) è divenuta pressoché incontenibile; e sono oggi uno dei modi piú efficaci per scaricare le tensioni che ribollono nel calderone delle coscienze, alterando i ritmi dell’esistenza fino a renderli frenetici o quasi.
Per cui ben vengano le gare e le contese incruente, di stampo cultural-filosofico; anche se la storia ci insegna che non pochi orrori collettivi sono sorti proprio da scontri di questo genere, quando, cedendo al peggio, si son deposte penne e microfoni, e si sono imbracciati i fucili.
Naturalmente ciò riguarda una minoranza dell’umanità, quella degli uomini acculturati e bellicosi; per la restante maggioranza ci sono sempre le angustie di tutti i giorni: invidie, gelosie, raptus e partite di calcio, a creare tensioni perfino piú pericolose di quelle ideologiche; anche se, bisogna ammetterlo, insulti, pugni, calci, botte in testa e via dicendo, sono preferibili ai massacri scientificamente messi in atto dagli eserciti regolari di nazioni civili e democratiche, intente a difendere i loro princípi, i loro diritti e qualche volta anche i loro rovesci.
Da questo insieme di motivazioni, rimangono e persistono credenze ramificate tra dotti, sapienti e comuni mortali, in base a tendenze, cultura, inclinazioni, tare ereditarie, e quella variegata estrosità dell’anima che oggi si tende collegare all’idea della libertà individuale, magari con l’aggiunta di un pizzico artistico, velatamente osé.
La teoria che qui richiamo col nome di “Riflesso di Kurman” non è nuova; diciamo che è una rivisitazione, o una libera ispirazione se si vuole, del vecchio radiodramma di Max Frisch, noto come “Biografia. Un gioco scenico”. Proprio questa specifica dicitura apposta nel titolo originale, “Un gioco scenico”, messa accanto a “Biografia”, fa scattare un’attenzione particolare: cosa avrà voluto indicare, o alludere, l’Autore? Il termine di “gioco scenico” si riferisce alla forma scelta e voluta per la messa in onda del programma? Oppure va inteso nell’evidenza della parola “Biografia” (con estensione a tutte le biografie) mediante un’insinuazione criptica? Col risultato che da una parte l’artificio potrebbe mettere in crisi l’integrità dei fatti vissuti, e dall’altra ammantare, simile all’ombra di un mistero che sfugge, un interrogativo a dir poco inquietante: «Se alla fine dei conti ci si dovesse accorgere che le vicende trascorse sono sempre state delle inconsapevoli recite da palcoscenico, svolte nella convinzione di aver agito in base ad una nostra presunta libera decisione, allora si affaccerebbe in noi una domanda, resa ancora piú greve dal fatto che il tempo per rispondere sta esaurendosi: «Ma allora, io, per chi ho recitato fin qui?». È questo infatti il quesito che si presenta al prof. Kurman, mentre, in tarda età, giace ammalato nel letto di un’anonima clinica di una anonima città d’Europa. Domanda legittima che potrebbe capitare a ciascun uomo che si fosse dato la pena di comporla come un puzzle, pezzo dopo pezzo, attraverso studi ed esperienze.
Ma il prof. Kurman in realtà aveva in qualche modo fatto qualcosa di piú. Con la fantasia dell’entusiasmo e con l’intuito del neofita, aveva messo a punto un’idea che nel suo specifico settore poteva anche apparire sovversiva, ma tuttavia affascinava simile ad una promessa d’un sorriso. Egli era infatti il celebre docente che nel passato aveva coinvolto gli studiosi di illustri atenei ed accademie nazionali ed estere, presentando la tesi che l’aveva reso poi famoso nel campo delle scienze neuro-psico-analitiche: Il Riflesso di Kurman. «Non è vero – sosteneva in sintesi nel suo “Riflesso” – che l’uomo sia legato a un destino immutevole e predisposto; questo vale solo se l’uomo in questione non opera direttamente sul proprio volere: cambiando volontà e quindi potere decisionale, si modifica il carattere; con tale variante, il corso degli eventi si adegua; quel che accadrà dopo sarà diverso da ciò che altrimenti sarebbe accaduto di necessità».
La questione non è da poco. Persino l’astrologia, scienza tutt’altro che esatta, ma che raccoglie ancora un buon numero di estimatori, fin dalla notte dei tempi s’era fatta carico del problema. E avvertiva gli ottimisti: tu credi di modificare il succedersi degli eventi che ti riguardano, decidendo cose che mai ti saresti sognato di decidere; ma non è cosí: se hai modificato le tue idee e hai stabilito di agire in modo insolito, pure questo stava scritto fra le stelle; ciò che tu vuoi credere come tua scelta autonoma, priva di condizionamenti, altro non è che un passaggio obbligato, simile a tanti altri, di quel percorso esistenziale che sei venuto qui per compiere. Ove tu non lo facessi, sappi che il fatto di non riuscirci, era già contemplato come possibilità nel tracciato assegnato. Ergo: impossibile sfuggire al destino.
L’opinione è piuttosto diffusa; pure al giorno d’oggi conta numerosi sostenitori, anche se la maggior parte di costoro continuano a controllare il traffico a destra e a sinistra prima di attraversare la strada. Quando si tratta della propria pelle, la ragione non sdegna l’incongruenza.
Il merito del prof. Kurman e della sua teoria stava proprio nell’affermare una verità diversa, opposta e per di piú liberatoria; si può sfuggire alle trame del fato qualora venga adeguatamente modificata l’interiorità dell’uomo che lo attua sul piano terreno. In tal caso gli eventi di cui si compone il destino verrebbero a “dipendere” dall’intima struttura umana, che si sia però resa capace di auto-modificazione.
Ma dal momento che tutte le cose di questo mondo prima di venir accolte e condivise in buona maggioranza hanno bisogno di scontrarsi con le correnti degli opposti e dei dinieghi, ecco comparire (nel radiodramma di Frisch) accanto al prof. Kurman un’altra figura; un deuteragonista, che, lí per lí, si potrebbe scambiare per un medico della clinica in cui Kurman è ospitato, ma ben presto si capisce che tale figura non è reale, vive bensí sul piano metafisico; piú precisamente è un Oppositore, il quale ha il compito preciso di demolire – a stretto rigor di logica – quanto il prof. Kurman ha elaborato con i suoi studi e condensato nella sua coscienza per mettere a punto la teoria del Riflesso.
L’ Oppositore non svela il suo nome; di sé dice soltanto di essere “Uno-che-Registra”. Infatti con fredda, distaccata professionalità, induce Kurman a raccontare i fatti della sua vita, presi a caso tra i piú salienti, eppure tra quelli che oramai erano stati dimenticati perché – in apparenza – poco importanti. Ogni volta rifacendo i percorsi sorti dalle ipotetiche varianti, egli, l’Amico Invisibile (Amico?) dimostrerà al celebre scienziato che, prima o dopo, quello che sarebbe dovuto capitare capiterà comunque, e che le supposte modificazioni dovute all’effetto del Riflesso di Kurman in realtà non cambiano un bel niente; anzi, per vie tortuose e inaspettate, si ricongiungono al karma, cosí come rivoli e ruscelli, disordinati e saltellanti, si ricongiungono al grande fiume che li aspetta e li accoglie. Quale variante sarebbe intervenuta se avesse voluto cambiare il primo incontro con la donna che in seguito sarebbe diventata sua moglie? Se in quella notte a Parigi, non avesse chiamato un taxi per farla andar via? Sarebbe rimasta con lui; ma avrebbe accusato un malore improvviso e, in quanto ospite, lui non avrebbe potuto esimersi dall’aiuto e dal soccorso.
In tempo di guerra, se non avesse perduto un sacco di soldi in una bisca clandestina vicina al porto di Amburgo, e non si fosse aggirato furioso con se stesso lungo le banchine, non si sarebbe imbattuto all’alba in una famiglia di perseguitati che cercava disperatamente di sfuggire al regime; non li avrebbe aiutati ad imbarcarsi; certo, modificando gli eventi, egli in quella notte avrebbe potuto vincere al gioco, e restare nella bisca; ma in tal caso la famiglia di transfughi sarebbe stata arrestata e deportata.
Molti anni dopo, a Vienna, egli ascoltava deliziato le note di pianoforte dell’Accademia di Danza Classica che provenivano dal palazzo di fronte, mentre una turba di ragazzini in strada giocava tirandosi palle di neve. Poiché il gioco si faceva violento, egli poteva scegliere se continuare ad ascoltare i suoni melodiosi e ritmati dell’Accademia di Danza e osservare dalla finestra le belle danzatrici esibirsi in eleganti volteggi, oppure poteva scendere in strada, disperdere i ragazzini e porre fine alla loro battaglia invernale.
Oggi, a quarant’anni di distanza, voleva decidere che in quel lontano giorno di freddo e di sole non sarebbe sceso in strada? Va bene: si può fare. Ma allora sappia che l’occhio del piccolo Rosenholz sarà perduto per sempre. È questo che vuole? Sta bene al professore che la variante decisa oggi si ricolleghi con la variante definita già d’allora?
Come si può capire, il gioco entra in un crescendo sempre piú incisivo: da interessante diventa preoccupante; da impietoso si fa via via duro, maligno. Scava a fondo. Costringe il povero Kurman a rifare i conti con la responsabilità morale che grava sulla sua coscienza in relazione agli eventi della vita; lentamente finisce per capire che dal punto di vista strettamente etico non c’è alcun modo per tornare indietro nel corso del tempo; ammesso pure che ci fosse, il karma non si lascerebbe ingannare: si ricomporrebbe comunque nell’ordine iniziale, senza alterazioni sostanziali; alcune piccole modifiche sartoriali non mutano la linea di un abito ben confezionato, ma anzi lo completano, lo rifiniscono, e lo adattano al soggetto che lo deve indossare.
Ci si avvia all’epilogo: l’ammalato e inquisito non ne può piú, geme, si contorce nel lettuccio, e la sua teoria, causa di fama e di onore accademico, non gli è piú di alcun conforto. L’Oppositore, sempre piú freddo, lucido e impersonale, continua imperterrito a snocciolare ragioni e motivi che invalidano ogni possibile accenno di libertà, nella gestione delle proprie vicissitudini; gli uomini lo vorrebbero; spesso s’inventano delle favole in cui possono sentirsi paladini dell’umana libertà, ma poi, messi di fronte agli eventi, cedono le armi e si arrendono alla tristezza dell’ineluttabile.
Arriviamo al dunque: il professore, entrato oramai in un stato catatonico di semiagonia, di quelle che ti convincono d’essere abbandonato da tutto e da tutti, non trova parole per replicare e tace; di lui si avverte il respiro affannoso quasi rantolante, mentre l’Oppositore scandisce molto lentamente l’ultima frase (chi vigila con attenzione troverà in questo finale una sottile vena di sarcasmo) a conclusione del dramma: «E adesso, professor Kurman? Da dove vorrebbe ricominciare, adesso?…».
Finisce qui “Biografia”, il dramma di Max Frisch. Ma, secondo il mio parere, per quel che riguarda il cosiddetto “Gioco scenico”, ho la netta sensazione che il dramma possa continuare all’infinito nell’anima di ciascuno di noi. Nell’ascoltare il racconto, è facile immedesimarsi nel professor Kurman, e anche se ciò costituisce un tormentone, siamo del pari tentati a cimentarci con l’Uomo-che-Registra; vogliamo scoprire quanto ci sia di vero nel Riflesso di Kurman, oppure se la stringente logica dell’Oppositore abbia a prevalere senza scampo.
Sinceramente la faccenda non mi andava giú. Non volevo arrendermi all’idea di lasciare le cose in sospeso, con quella cesura forse logica ma crudele e beffarda ad un tempo. Avevo ascoltato il dramma di Frisch per la prima volta trent’anni fa. Ovvio che allora non sapevo che dire; ma il tempo trascorso ha acuito la qualità delle precisioni e alimentato alcune certezze che allora non potevo avere e che ora non posso ignorare. Adesso sarei in grado replicare all’Oppositore, perfino usando la sua stessa logica. Potrei ricordargli che il Riflesso di Kurman funziona soltanto se il carattere e il volere del “Kurman di turno” è davvero cambiato. Che senso avrebbe infatti lo slogan cosí caro all’Astrologia “Carattere è Destino”?
Ma il problema non è questo. Il problema è capire se i nostri cambiamenti sono reali, duraturi e sinceri. Un cambiamento della vita interiore, che sia solo simulato, o momentaneo, oppure derivato da moti o impulsi non elaborati e quindi fuori del controllo della coscienza, non ha il potere di modificare il corso degli eventi karmici. Di conseguenza questi tornerebbero quanto prima a riformarsi secondo lo sviluppo originario.
Inoltre, pur se un rapporto molto stretto lega gli accadimenti della vita all’evoluzione dell’anima, non è lecito dedurre che ad una variante interiore segua immediatamente e automaticamente un mutamento esteriore; perciò sarà sempre problematico stabilire se quel che si verifica di fuori sia o non sia ragionevolmente collegabile con qualcosa d’altro maturato all’interno della vita psichica.
Per finire: non è esatto (né logico e nemmeno scientifico) voler trovare nell’avvicendarsi degli avvenimenti le conseguenze di un qualche nostro moto sviluppatosi nella psiche; viceversa ci sono avvenimenti esteriori che a loro volta causano modifiche anche sostanziali nel soggetto che li incontra e li vive appieno. Per cui il rapporto karmico, ridotto ad una sorta di predestinazione di basso livello, è un avvilimento del concetto di karma; il quale cosí conciato, non fornirà indicazioni significative.
Tuttavia non sono questi i motivi per cui provo il desiderio di controbattere quella perfida ineluttabilità del destino umano, subdolamente congegnata e architettata dall’Oppositore.
Dovevo scoprirlo dal libro Filosofia della Libertà di Rudolf Steiner: fin dai primi capitoli Steiner pone il grande tema della libertà.
Due sono le questioni fondamentali della vita psichica umana:
- è possibile giungere ad una considerazione che leghi indissolubilmente la vita e la salute dell’anima al conseguimento pratico e teorico della conoscenza?
- in quali casi si può affermare con sicurezza che l’azione umana è un’azione libera?
Partendo dalla seconda domanda, Steiner risponderà: sí, è possibile che un’azione, un volere, una decisione, un scelta umana, siano davvero liberi, nella misura in cui l’anima si sia prima conquistata un suo patrimonio d’esperienza nello svolgere i percorsi relativi alla prima domanda.
Anche se a prima vista non sembra, questa affermazione ha la compostezza e l’incisività di una formula matematica. Tale formula, o paradigma, può venir applicata quale schema formale, anche in tutti gli altri casi in cui l’anima e il suo potenziale conoscitivo vengano chiamati in causa. Quindi anche nel Riflesso di Kurman. Per cui, dopo calma e obiettiva meditazione, mi permetto di sostenere una contro-teoria: il karma e il corso degli eventi che formano le nostre vite terrene, potrebbero venir percepiti ed esperiti come diversi; modificabili, suscettibili di variante.
Per accedere a una tale possibilità, tuttavia, c’è una condizione di base: dipenderà dai pensieri che l’anima ha saputo svolgere circa il grande tema della reincarnazione. Se nel corso del tempo è stata in grado di assumere pensieri e concetti sulle ripetute vite terrene che le abbiano fatto conseguire un quadro sufficientemente vasto e approfondito di quel che noi cerchiamo a mala pena di indicare con la parola “Karma”, e le abbiano conferito inoltre la capacità di creare relazioni vive e colme di vigoria spirituale tra gli elementi dell’una e dell’altra tematica, allora il seguace di Rudolf Steiner non avrà piú da porsi l’interrogativo media l’interrogativo mediante il quale “linea karmica” (personale o collettiva) ed “eventi incontrati” nel mondo, siano correlati tra loro, perché la verità di un tale rapporto balzerà davanti ai suoi occhi nitida e semplice.
Anzi è proprio in casi come questi che “volere e destino” incominciano ad avere un loro rapporto. Prima di allora, sono completamente slegati, e vengono vissuti separatamente in mezzo alle interferenze della personalità egoica, che vorrebbe farci restare nella notte fonda rendendo vano il chiarore dell’alba.
Le nostre scienze attuali stanno ancora annaspando sugli sconvolgimenti derivanti dai fatti climatici; vorrebbero trovare un colpevole unico, ma avendo intuito da un bel pezzo il nome e il cognome del malfattore, tentano di trovare un altro responsabile meno scomodo e piú sacrificabile.
Tuttavia, chi pretenda di stabilire una relazione precisa tra i comportamenti dell’umanità e i capricci climatici ed ecologici, viene spesso tacciato di esaltazione, di autolesionismo e di pessimismo mistico.
Per ora nel settore delle previsioni non partecipate, di sicuro c’è soltanto che una certa dose di pioggia aiuta in determinati casi le coltivazioni agricole, mentre l’immoralità sembra del tutto ininfluente sul destino dei popoli e delle persone, anche se da qualche parte singoli, o gruppi cominciano a sospettare una realtà opposta.
Forse uno dei maggiori impedimenti a comprendere appieno (e a diffondere) l’enorme valore della relazione colta da Rudolf Steiner tra la vita dell’anima umana ed il suo karma, sta tutta nel fatto che – se e quando accade – allo sguardo di un osservatore esterno sembra non sia accaduto nulla di nuovo.
Eppure non è cosí; chi scopre nel pensiero la legge del karma, trova negli eventi del destino l’importante arricchimento spirituale che questi portano sempre incontro agli esseri umani. Non è che si modifichi l’evento in sé (il quale può restare integro, pure nella sua gravità, bensí interviene una variante col rapportarsi al fatto, o ai fatti, da parte di chi li riceve): sorgono le ragioni per vivere quel che capita, degnamente, lealmente, senza vittimismo, senza risentimento, senza proteste, Perché sopra ogni possibile sentimento e reazione umana, si coglie nelle vicissitudini la presenza dello Spirito accolta dall’Io.
Portando un esempio limite, conquista in sé il tesoro del karma colui che, giunto al punto di poter prevedere e variare condizioni e conseguenza, si asterrà dal farlo, in quanto certo che quel passaggio karmico in corso è quanto di meglio gli possa venir offerto, sul momento, per la sua evoluzione spirituale. Questa forza di veduta, questa capacità di sostenere oneri e difficoltà, non fa parte del corredo dei sensi fornitoci da madre natura: si acquisisce lentamente nel tempo mediante la conoscenza di ciò che si chiama karma, la cui denominazione vale ancora per molti quale titolo esotico di una pratica divinatoria e poco di piú.
Il professor Kurman, malgrado la sua scienza e le sue ricerche, ha incontrato il karma, come tutti, e non l’ha mai riconosciuto per quel che esso ogni volta gli offriva; come tutti, anzi come pochi, ha voluto e saputo dimostrare al mondo dei dotti che la legge del karma non è ineludibile e inalterabile. Si è però dimenticato di aggiungere che ogni uomo è la risultante di un processo karmico in fieri, il quale ha il compito di produrre in noi l’impulso all’Iniziazione. Per cui tutte le forze umane ed extra che sono interessate a che questo non avvenga, agiscono e agiranno in opposizione, fintanto che una vera conoscenza spirituale di se stessi e dell’universo non risolva la questione-uomo, sbaragliando definitivamente l’ostacolo.
Nel frattempo, possiamo sempre baloccarci col pensiero astratto; chiederci da dove sia meglio ricominciare tutto di nuovo, per vivere un’esistenza piú felice, piú comoda, piú gradevole: ma sarà opportuno, anche se in fondo si tratta solo di un gioco con se stessi, ricordare che ogni nostra vicenda è intessuta di vicende altrui, e che un nostro voler inferire in essa, provoca inevitabilmente uno scompiglio nelle vite degli altri; a sua volta, lo scompiglio cercherà il pareggio, richiedendo a tutti gli inconsapevoli interpreti il prezzo della ricomposizione. Prezzo che nel caso piú eclatante non può non essere sacrificio.
Angelo Lombroni