I problemi della Democrazia

Etica

I problemi della democrazia

L’Io è il cavaliere, l’anima il cavallo

 

Albrecht Dürer «Il cavaliere, la Morte e il Diavolo»

Albrecht Dürer «Il cavaliere, la Morte e il Diavolo»

 

Ai piú la parola gerarchia fa venire l’orticaria. Essa deriva dalla combinazione di due termini greci: “geras”, che significa “vecchiaia” o “autorità”, e “arkhein”, che significa “comandare” o “governare”. Insieme, formano “gerarkia”, che letteralmente significa “governo degli anziani”. Se noi riflettiamo bene, qualsiasi soggetto eserciti una funzione di vertice, direzione o amministrazione, ha la necessità di essere accettato (di voglia o malavoglia, poco importa), nell’esercizio del suo ruolo dirigenziale. Il bambino ubbidisce ai genitori, lo scolaro all’in­segnante, il militare riconosce i suoi superiori, il parroco ubbidisce al vescovo, i redattori di una rivista rispondono al direttore, ogni dipendente ha un datore di lavoro a cui rendere conto del suo operato, l’arbitro comanda in campo, i cittadini devono ubbidire alle leggi dello Stato. Perfino l’anarchico riconosce tra i suoi compagni di lotta una figura che meglio rappresenti l’Ideale e da questi trae indirizzo.

 

A livello interiore è la stessa cosa: se l’Io del­l’uomo si impone sugli impulsi egoistici della psiche inferiore e non si abbandona alla dissennatezza, al vizio e alla rovina è grazie alla medesima legge interiore: l’Io è il cavaliere, l’anima il cavallo. Albrecht Dürer nella sua celebre incisione riuscí a trasmetterci la calma sicurezza dell’Io che conduce l’anima. Il Diavolo e la Morte sottolineano la valenza spirituale di una rappresentazione pregna di sacralità dell’ordine interiore e del principio gerarchico uomo-cavallo.

 

 

 

Non accennare mai al principio gerarchico

 

Polvere sotto il tappeto

 

Dal Novecento in poi il processo evolutivo e spirituale dell’uomo vede un progressivo affermarsi della Libertà, al punto tale che anche la banalissima esplicitazione del naturale principio gerarchico, soprattutto all’interno delle società spiritualmente piú evolute, crea, un certo qual senso di imbarazzo e presuppone l’avvio dei distinguo, dei “se” e dei “ma”, anche a causa dell’uso che ne fu fatto nell’ante­guerra. Un principio che tutti sanno essere indispensabile e giusto, viene nascosto sotto il tappeto dell’ipocrisia. Insomma, accennare alla gerarchia è ritenuto sconveniente.

 

 

Transitorietà delle tirannie nell’Epoca di Michele

 

Il principio ordinatore di ogni essere e di ogni comunità si basa sulla condivisione accettata. Mancando il riconoscimento dei popoli il potere diventa tirannico e la tirannia è già il sintomo di una debolezza fatale che prelude la sua caduta. La clessidra che segna la fine di ogni tirannia, scorre assai veloce nell’epoca di Michele. Difficile pensare che un regime come quello di Pol Pot in

 

Tirannia

 

Cambogia, regime tra i piú brutali del XX secolo, che nell’arco di quattro anni eliminò quasi due milioni di persone, potesse durare a lungo. Pol Pot cercò di trasformare radicalmente la società cambogiana in una società comunista agraria.

 

Una costante dei Tempi Nuovi in cui stiamo vivendo, dopo la fine del Kali Yuga, è proprio la rapidità con cui i popoli tendono ad estromettere i poteri tirannici. Il regime di Pol Pot in Cambogia fu l’espressione massima del rifiuto della modernità e della tecnica. L’eliminazione di elementi urbani, l’evacuazione forzata delle città, l’abolizione del denaro e del commercio, e la distruzione della cultura tradizionale cambogiana sottintendevano una visione del mondo totalmente de-civilizzata e ostile alla tecnica.

 

 

Tirannie tecnoscientifiche

 

Democrazia

 

Il tentativo psico-pandemico degli anni Venti del XXI secolo è stato esattamente l’opposto del progetto dei Khmer rossi di Pol Pot, anche se ha prodotto piú morti. La tirannia globalista si è esplicitata creando ad arte una mostruosità nei laboratori piú avanzati del pianeta. Il virus, i sieri genici iniettati a miliardi di persone e perfino la proibizione di applicare delle cure efficaci, hanno prodotto, stanno producendo e purtroppo pro­durranno ancora milioni di morti a causa dei disastri al sistema immunitario di chi innocentemente si è sottoposto al trattamento. Cifre imprecisate ma mostruose sull’incremento di mor­talità ed effetti avversi, produrranno reazioni di sdegno violento e persecuzioni dei responsabili.

 

È di questi giorni la notizia che il principale attore della bufala psico-pandemica, il corrotto Antony Fauci, ha ammesso davanti ad una corte di giustizia statunitense di essersi letteralmente inventato le regole della distanza e dell’uso della mascherina.

 

La verità avanza: Kazuhiro Haraguchi, ex mi­nistro degli Interni giapponese, è il primo politico di rilievo a scusarsi per lo tsunami di morti tra la popolazione vaccinata. La tirannia biopolitica è stata ben peggiore del regime di Pol Pot, anche se di segno opposto. Nel caso cambogiano c’era un rifiuto della tecnica, nel caso della psicopandemia, al contrario, si è palesata una divinizzazione della tecno-scienza.

 

Eppure, anche questo piano è fallito: enormi quantità di sieri genici vengono buttati al macero e finalmente nelle popolazioni, a differenza del pre-pandemia, iniziano a serpeggiare sospetti anche sui cosiddetti vaccini tradizionali. Infine, si noti bene, e non è un dettaglio, se nel mondo ci sono stati miliardi di persone che hanno accettato l’inganno dell’avvelenamento è anche perché il principio gerarchico ha funzionato, moltissimi hanno obbedito agli ordini del potere costituito. Ma il principio di libertà ha anche permesso la nascita di una resistenza che ha vinto sul piano del pensiero, senza scadere nella ribellione violenta.

 

 

L’importanza dell’Epos

 

La forza che sorregge qualsiasi potere ha bisogno di una narrazione ideale, di un Epos. Un tempo, fino al termine del Kali Yuga, le dinastie regnanti godevano dell’investitura divina legata alle forze del sangue, e questo vale anche per le aristocrazie nobiliari. L’ideologia in questione si chiamò Legittimismo ma a sorreggere quelle monarchie c’era un Epos popolare che vedeva nel sovrano “L’unto dal Signore”. La Chiesa di Roma riconosce l’infallibilità del Papa in virtú di un’analoga legge.

 

Le élite social-comuniste del passato governavano anch’esse in virtú di una narrazione, di un Epos. Per i partiti comunisti il soggetto demandante l’esercizio del potere di una classe sull’altra era la Storia, non piú il Divino. Il Materialismo storico è esso stesso “una specie di religione”, infatti chi è stato sentimentalmente legato all’idea comunista, avverte come un’abiura l’abbandono di quella tradizione politica.

 

Per questo motivo i vertici dei partiti di Sinistra, pur avendo da tempo, sposato la causa del neoliberismo, hanno mantenuto i simboli emotivi del Socialismo, opportunamente svuotati di reali contenuti solidaristici. L’epos narrativo del Progressismo sarebbe quello di sposare la causa delle classi meno abbienti, anche se di fatto avviene il contrario. Non è un caso che l’élite finanziaria e industriale come quella degli Agnelli-Elkan, appoggi il progressismo, mentre le classi operaie votano in massa per i partiti cosiddetti populisti.

 

Il simbolo di Che Guevara

 

L’Epos risonante di quell’idea­le socialista viene ancor oggi uti­lizzato dalle élite tecnocratiche. Personaggi come Soros, Draghi o Monti, sostenuti dalle forze della Sinistra, cosa hanno in comune con l’eroico sacrificio antimperialista di Che Guevara? Eppure, la narrazione Progressista riesce a far permanere sotto la stessa cornice, o celebrare in una stessa libreria come la Feltrinelli, queste due figure antitetiche.

 

Malgrado l’incongruenza abissale di un simile accostamento vi sono tantissime persone che proprio non riescono ad abbandonare l’antica cornice ideologica. Perciò diciamo che il sentimento che aleggia nel residuale popolo della Sinistra è semireligioso, o perlomeno basato sull’Epos, sulla narrazione epica, sull’eredità di una Storia. Lo stato di insicurezza determinato dall’abbandono di quella cornice diventa un fardello intollerabile, piuttosto si accetta la contraddizione noetica per non perdere un sentimento tranquillizzante.

 

Saluto romano

 

Lo stesso vale per i nostalgici delle fascisterie, ma questi cultori del ricordo sono un residuo marginale che dovrebbe tenere conto che le forme esteriori non possono essere resuscitate. Le camicie nere e gli “alalà” non convivono con l’imma­ginario ideale dei nostri tempi, dove un film come Matrix muove un Epos molto piú attuale.

 

I nostalgici inquadrati a braccio teso si comportano come quei vedovi inconsolabili che per decenni dopo la morte dell’amata moglie, continuano a mantenere inalterate le stanze della casa e perfino il guardaroba integro della defunta. Il caso del nostalgismo riaffiorante, tutto tatuaggi, teste rasate e camicie nere, meriterà un’approfon­fondita analisi a parte.

 

 

Riti ed apparati della democrazia

 

Firma del Primo Ministro

 

L’Epos ha bisogno di apparati, simboli e riti. I ministri italiani ripongono il loro giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica, il quale a sua volta, è stato eletto secondo la formula rituale: «Giuro di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione». In questo caso si assegna alla Costituzione il ruolo di soggetto legittimante.

 

Il giuramento è infatti un atto sacrale, anche le società liberali hanno necessità di un apparato rituale gerarchico: le cariche elettive tuttora governano gli Stati in virtú di una narrazione specifica, di un Epos che si chiama Democrazia. L’ente astratto “Costituzione” e l’ente collettivo “partito” sono indubbiamente entrati in una parabola discendente, non infiammano piú i cuori, dobbiamo avere il coraggio intellettuale di ammettere questa realtà. Coraggio che presuppone già una domanda: l’Epos democratico sta volgendo al termine nelle anime dei popoli? Sembra essere un quesito quasi insolente e provocatorio; eppure, ci sono tantissimi elementi a sostegno della tesi del declino delle democrazie.

 

 

Personalizzazione della politica

 

Non è un caso che la politica sia sempre piú personalizzata. Non c’è partito vincente che non utilizzi il nome del leader accanto al simbolo, tant’è che siamo ormai arrivati al nome proprio, non al cognome sulla scheda elettorale. Dietro a questo irreversibile fenomeno per cui il soggetto-guida goda di simpatia e di pubblica fiducia, mentre gli apparati ideologici, partitici e perfino legislativi siano in declino, c’è qualcosa di emblematico che va assolutamente esplorato. Misterioso è il fatto che in un’epoca dove le libertà individuali, i “diritti” edonistici e consumistici siano decisamente ampliati e diffusi, dove l’etica dominante non sia piú confessionale, ma rispettosa delle diverse identità religiose, dove il bigottismo di un tempo è scomparso, in quest’epoca la singola figura del politico attrae le Speranze collettive, l’immagine di un uomo o una donna sono il vero catalizzatore elettivo.

 

Vladimir Putin

Vladimir Putin

 

Guardiamo la Federazione Russa come si sia risollevata dopo la caduta del Comunismo e l’era Yeltsin. L’intero processo si riassume in un’unica personalità, in un volto: Vladimir Putin. Non è quindi casuale se lo si esalti come un eroe o lo si demonizzi come un mostro. La sostanza non cambia, ciò che conta è la statura centrale del protagonista. L’idea che un povero caso geriatrico come Biden disponga del potere di scatenare la Terza guerra mondiale, impensierisce i suoi stessi sostenitori.

 

Joe Biden

Joe Biden

 

Il primo elemento che dobbiamo considerare per comprendere il tramonto delle democrazie sta nell’attrazione autocratica dei popoli. Ci si vuole affidare ad una personalità incarnata in cui sembra risplendere un’idea. Nel dopoguerra invece ci si affidava a un’ideologia, mentre le varie personalità erano al servizio di questa. Resta il fatto che i popoli, anche quelli occidentali, sempre piú dimostrano di avvertire l’idea della giustezza del principio gerarchico (tant’è che in massa hanno obbedito ciecamente perfino all’obbligo di vaccinarsi) e in seconda battuta desiderano scegliere la personalità che li guiderà in futuro. Questo processo vede uno Spirito del Tempo, un état d’esprit che va in direzione del superamento della democrazia partitica e ci avvicina a forme di governo autocratiche di tipo populista.

 

 

L’astensionismo è una forma di disillusione sentimentale

 

Astensionismo

 

A conferma di questa spietata analisi sul tramonto dell’idea democratica c’è inoltre l’astensionismo al voto. Brutalmente diciamo che metà dell’elettorato non partecipando piú alle votazioni si affida, di fatto, alle decisioni e alla conduzione legislativa del candidato vincente. L’astensionista si mette fatalmente nelle mani della personalità che ha sedotto o convinto i votanti. Se però entriamo nel merito delle rimostranze degli astensionisti sentiamo ripetere frasi fatte come: “Perché tutti tradiscono gli elettori”, “Sono tutti venduti”, “Non possono fare niente, chi comanda sono le multinazionali”, “Nessuno mi rappresenta”. Si noti quanto disamore ci sia in queste affermazioni: è il rancore dell’amante tradito o del coniuge che cancella dal proprio orizzonte “l’ex” partner. Questo atteggiamento del tutto emotivo e irrazionale è ancora una volta un sintomo di allontanamento dalla democrazia e un avvicinamento verso forme di governo diverse.

 

Le élite di tutto il mondo sono consapevoli di questo irreversibile processo, ma il problema esiste soprattutto per l’Occidente. Per quanto riguarda le altre civiltà, la retorica democratica non ha piú presa, o come si direbbe con un anglicismo, non ha piú appeal.

 

 

Corruzione e ricatto nelle democrazie

 

Corruzione

 

Gli astensionisti hanno indubbie ragioni. Ciò che piú allontana i popoli dalla democrazia è il fatto che i rappresentanti del popolo, gli eletti, sono spesso ricattati e corrotti. Per quanto riguarda la corruzione, ormai la presa di coscienza collettiva è vasta e va perfino oltre la reale portata del fenomeno della disonestà venale. Esistono dei Politici di Buona Volontà che da ora chiameremo PBV. Chi assurge a incarichi di vertice è pesantemente ricattato, e questo è un fattore di cui i media non parlano mai, poiché metterebbe in luce i mandanti che stanno dietro al ricatto. Sta di fatto che i PBV, qualora rifiutino i benefici economici perché intimamente onesti, si ritrovano a dover fare i conti con intimidazioni pesantissime riguardanti la loro sfera personale e familiare. Il primo modo per eliminare un PBV è quello di infamarlo ingiustamente attraverso una combinazione di menzogne e trappole giudiziarie in modo che sia estromesso dal circuito del potere a fine mandato. Qualora i poteri forti della Cabala (vedi Superare l’asservimento) non riescano in questa impresa si passa ad un secondo livello, si cerca di colpire la famiglia del PBV e gli affetti piú cari.

 

Facciamo un esempio immaginario: potrebbe accadere che una politica di rango, appartenente alla categoria PBV, veda andare in frantumi il proprio matrimonio. Immaginiamo che suo marito, colmato di onori e rifornito di cocaina e donne bellissime, perda il senso della realtà e dell’onore, palesando un comportamento pubblicamente inaccettabile. In questo caso la politica in questione è costretta, visto l’incarico pubblico che ricopre, a porre fine alla relazione familiare sciogliendo il rapporto e devastando cosí la propria vita privata. Immediatamente dopo questo terribile colpo sarà naturale che tenga strettamente accanto la prole anche nelle visite di Stato. In quanto proconsole di un Impero e non governante di uno Stato sovrano, la politica in questione, per salvare il salvabile, dovrà a questo punto piegarsi accettando umiliazioni abissali. I Romani imponevano l’umiliazione di passare sotto i gioghi, oggi basta una fotografia dove la rappresentante del popolo riceve un bacio sulla testa dall’imperatore che paternamente perdona. Naturalmente siamo nel campo della pura fantasia, ma l’esempio calza.

 

Robert Fico

Robert Fico

 

 

Il terzo livello di intimidazione è ancora piú grave: si passa alla violenza fisica. Robert Fico primo ministro della Slovacchia si è schierato contro la Cabala e ha ricevuto in cambio dei colpi di pistola che quasi lo hanno mandato all’altro mondo. Due ore dopo l’attentato qualche servizio segreto dell’Oc­cidente ha fatto sparire tutta la corrispondenza e le pagine social dell’at­tentatore. Oggi come un tempo: Enrico Mattei ha subíto un “incidente” aereo, di Aldo Moro abbiamo parlato a lungo, e poi i casi di John e Robert Kennedy e di tutti gli altri PVB che hanno pagato con la vita.

 

 

L’esercizio della sovranità ha bisogno di tempo

 

Il vero problema della democrazia sta nell’intercambiabilità del personale politico che non riesce a sviluppare un progetto organico per il proprio popolo nell’arco di poco tempo. Il mandato politico è a scadenza, e questa è la regola delle democrazie anglosassoni. I popoli però si rendono (subcoscientemente) conto che veder passare i loro leader come meteore non fa il bene della Patria. Le persone semplici intuiscono che cambiare a ogni piè sospinto direttore d’orchestra, magari prendendo il primo venuto che passa per strada, non fa bene all’orchestra e non fa bene alla musica. Eppure, la regola del mandato a tempo resta inflessibile, e per convalidarla si alimenta lo spettro della corruzione e dei benefici di cui gode la politica. Perché? È ovvio: in questo modo i poteri globalisti, attraverso il ricambio e il divide et impera con il gioco Destra/Sinistra, controllano l’andamento delle nazioni.

 

Ora però il panorama è mutato e il declino dell’Occidente e la forma di governo che si sta profilando piú adatta per Stati realmente indipendenti e sovrani non è piú questa. La sovranità presuppone che il leader eletto possa estendere nel tempo un progetto di governo e questo getta nel panico i poteri forti che fino a ieri spadroneggiavano in tutto il mondo. Ecco il motivo per cui un patriota come Vladimir Putin è tanto amato in patria e fuori di essa. La sovranità vera dell’organismo legislativo presuppone una continuità di mandato democraticamente rinnovabile.

 

Argo Villella

Argo Villella

 

Naturalmente non è un sistema risolutivo, in quanto la soluzione vera non è l’autocrazia populista, ma la Tripartizione dell’organismo sociale come indicata da Rudolf Steiner ed approfondita per una vita da Argo Villella, un fedele discepolo di Massimo Scaligero.

 

Una vita sociale

 

 

In una pagina conclusiva del suo Una Via Sociale, Argo scriveva nel 1978: «Vogliamo concludere queste nostre con­siderazioni richiamandoci al dolore che suscita vedere ogni uomo oggi, a prescindere dalle sue convinzioni e dal suo colore politico, patire un oscuro senso di soffocamento e di angoscia di fronte alla massa di problemi irrisolti che lo premono da tutte le parti, tentando di schiacciarlo. Vorremmo sapere trasfondere la fiducia che ci viene dalla certezza che l’invadenza delle tenebre può ancora essere affrontata con la decisione e la forza della spada di Alessandro di fronte al nodo gordiano».

 

Molte volte la preghiera è la spada di Alessandro, preghiamo per chi conduce le nazioni.

 

 

Salvino Ruoli