Howard Keva Kaufman, Swami Prabhavananda

Recensioni
Bangkhuad, una comunità di studio in Thailandia

di Howard Keva Kaufman

Thai Community

 

Pubblicata dall’Associazione per gli Studi Asiatici, questa monografia di Kaufman è dedicata a un piccolo villaggio che coltiva il riso umido nella zona del delta nella Thailandia centrale. Il valore di tale opera sta soprattutto nell’indicare un tipo di comunità che vive prevalentemente di interessi spirituali, una per la quale l’organismo economico ha una propria funzione autonoma e in tal senso serve la comunità, e non è da essa servito o reso un mito. Bangkhuad è un luogo indicativo della possibilità di un rapporto armonico del principio socio-economico con quello di una comunità umana basata non sui bisogni fisiologici, ma sull’espe­rienza religiosa.

 

L’opera include una descrizione della vita, dei costumi quotidiani, della struttura economica e dell’organizzazione giuridica di Bangkhuad, con speciale attenzione agli aspetti comunitari e soprattutto alla funzione del wat – la chiesa buddista – alla sua organizzazione e alla sua influenza sulla comunità stessa. Il wat è il centro religioso e sociale della comunità: la sua influenza si estende a vari aspetti della vita dei Bangkhuad, come un ordine esterno che è il riflesso dell’ordine innato nell’organismo religioso. Naturalmente ci riferiamo a un mondo la cui armonia è strettamente basata su un ordine tradizionale; per tale ragione, come lo stesso autore chiarisce, non è possibile prevedere quanto ancora potrà durare, dopo il contatto con le abitudini della civiltà meccanizzata.

 

«Gli uomini piú anziani, il cui contatto con Bangkok e la vita di città è limitato, sono naturalmente immersi nei vecchi modelli culturali di vita. Il wat è il loro centro di interesse e il loro fulcro di orientamento. Sono però i membri piú giovani della comunità, gli uomini di età tra i 20 e i 40 anni, quelli per i quali la vita rurale a Bangkhuad ha assunto un carattere di incertezza e persino di frustrazione. Per loro il wat simboleggia meno un centro spirituale che uno sociale. Non sono ancora abbastanza anziani per cercare le consolazioni della religione» (p. 217).

 

L’opera è completata da un’appendice di proverbi locali, da un glossario e da una bibliografia.

 

Massimo Scaligero

 

 

Howard Keva Kaufman, Bangkhuad, A Community Study in Thailand

New York, J.J. Augustin Incorporated, 1960.

Da: East and West, Dicembre 1962, Vol. 13, No. 4.

 




 

L'eredità spirituale dell'india

di Swami Prabhavananda

 

Eredità spirituale dell'India

 

Mentre con i Brāhmana termina il ciclo della letteratura sulla liturgia sacrificale, si può dire che con le Upanishad vi sono segnali della necessità di tornare indietro e affrontare il soggetto del rituale, il puro Io, immerso nella sua Infinità. È come se il tema ātman-brahman, che si trova al centro delle Upanishad, fosse gradualmente e continuamente confermato nell’evoluzio­ne verso un’esperienza umana e individuale: un tentativo, in altre parole, di porre contro l’aspetto contingente dell’individuo l’origine trascendentale di quest’ultimo. È uno sforzo che continua da secoli in India fino all’insegnamento di Rāmakrishna e all’azione dei suoi migliori discepoli – fino alla mirabile sintesi dello Yoga elaborata da Sri Aurobindo.

 

Un tentativo di mantenere un legame con il trascendente, nonostante l’esperienza umana diventi sempre piú materiale: un tentativo volto a riportare in evidenza alla memoria una realtà che correrà il rischio di essere dimenticata o negata quando un’esperienza esclusivamente sensibile del mondo diventa la base di una nuova civiltà, che non può essere una cultura nel vero senso della parola se nega gli elementi spirituali che in ogni caso formano il suo tessuto interno. Questa è la contraddizione della nostra civiltà contemporanea, che trae la sua forza dall’elemento spirituale per poi negarlo.

 

L’opera di Swāmi Prabhavananda è una sintesi di quella che era ed è stata la missione del­l’India, ovvero la tutela dei valori sui quali si fonda l’esperienza umana e senza i quali l’ele­mento umano non avrebbe piú alcun senso. Egli segue il senso di questa missione attraverso le varie forme della spiritualità indiana: dal pensiero espresso nei testi originali e nelle Scritture sussidiarie, ai grandi movimenti religiosi ascetici (jainismo e buddismo), fino ai sistemi di “conoscenza” (Nyāya Vaisesika, Sāmkhya, Patanjali, Purva Mīmāmsā, Vedanta Sutra) e ai grandi esponenti del Vedanta, da Gaudapāda e Sankara fino a Rāmakrishna. È evidente che egli non tratta tale soggetto solo come un aspetto culturale ma come una forma di ricerca personale, come un’esperienza interiore.

 

È senza dubbio uno dei custodi e continuatori di questa eredità. Sarebbe però auspicabile che questa eredità fosse trasmessa come lavoro interiore dell’animo dell’asceta moderno, che si mostrerebbe cosí capace di cogliere il processo della civiltà moderna come qualcosa che vive e si muove in lui. Perché questo sarebbe l’unico modo, per una tale eredità, di continuare a funzionare, cioè essendo la controparte trascendente di un sistema di scienze e tecniche che ha ridotto anche il trascendente a un livello razionale. In un tale sistema culturale, il trascendente è contemplato ma non vive. È diventato un nome: è fondamentale restituirgli i contenuti indicati dal suo nome. Solo cosí una tale eredità spirituale si può dire che abbia una reale funzione.

 

 

Massimo Scaligero

 

Swami Prabhavananda, The Spiritual Heritage of India.

Londra, George Allen and Unwin, 1962.

Da: East and West, Giugno-Settembre 1962, Vol. 13, No. 2/3.

 




 

Link agli articoli originali in inglese: “Howard Keva Kaufman, Swami Prabhavananda”