Il ficus ruminalis

Botanima

Il ficus ruminalis

Ficus carica

 

I vari generi di piante di Fico appartengono tutte alla famiglia delle Moracee. La specie piú nota è il Ficus carica, albero originario dell’Asia occidentale, ampiamente coltivato nelle regioni mediterranee per i suoi frutti.

 

Il frutto del Fico, in realtà, è un falso frutto, essendo un’infiorescenza globosa cava (siconio) di cui la parte commestibile è rappresentata dal ricettacolo carnoso. I fiori femminili, giunti a ma­turità, si trasformano in piccoli acheni. Va rile­vato che l’impollinazione è legata alla presenza di un insetto, il Blastophaga psenes, un imenottero che compie il suo ciclo vitale nell’interno delle infiorescenze.

 

Fichi

 

Nel corso dell’anno si hanno tre fruttificazioni: la prima da giugno a luglio, che produce i Fichi primaticci, detti “fioroni”, la seconda da agosto a settembre che dà i Fichi piú dolci e zuccherini, e la terza in autunno con i Fichi tardivi.

 

Fichi 3

 

Il “caprifico”, in pra­tica il Fico selvatico, cre­sce spontaneo ed è ricco di fiori maschili dove si sviluppa l’insetto responsabile dell’impollinazione.

 

Dopo questi accenni di Botanica, passiamo ora a raccon­tare, per quanto succintamente, la Storia e il Mito legati a questo albero.

 

Il Fico, nell’antica Roma, era considerato albero sacro ai due gemelli Romolo e Remo di cui il primo, Romolo, fu il fondatore dell’Urbe.

 

Il mito del Fico ruminale

Il mito del Fico ruminale

 

Plutarco narra che il servo, incaricato dal re Amulio di eliminare i gemelli nati da Silvia «Sistemò i due bambini in una cesta e scese al fiume con l’intenzione di scaraventarli nella corrente. Vedendo però che il fiume era gonfio e impetuoso, nel timore di avvicinarsi troppo, lasciò la cesta lungo la riva e tornò sui suoi passi. Un’onda piú alta delle altre giunse a lambire la cesta, la sollevò delicatamente e, pian piano, la sospinse in una insenatura limacciosa che oggi chiamano Germalus, ma che un tempo si chiamava Germanus dal nome “germa­ni” che si dà ai fratelli nati dagli stessi genitori. Sulla sponda del fiume cre­sceva un Fico selvatico che i Romani chiamavano Ficus Ruminalis o, come crede la maggior parte degli studiosi, dal nome di Romolo, oppure perché gli armenti, al mezzogiorno, si ritiravano a ruminare sotto la sua ombra o, ancora meglio, perché sotto quel fico i bam­bini furono allattati e gli antichi latini chiamavano “ruma” la mammella. Sot­to il fico, narra la storia, stavano i due gemelli quando la lupa veniva ad allattarli e un pic­chio l’aiutava a nutrirli e a custodirli. Questi due animali sono ritenuti sacri a Marte e, per il picchio, i Latini hanno una venerazione e un rispetto partico­lari» (Plutarco, Rom. 3-4).

 

I fichi in un affresco della villa di Poppea a Oplontis (Torre Annunziata)

I fichi in un affresco della villa di Poppea a Oplontis (Torre Annunziata)

 

Secondo una leggenda di Roma, la durata della città era connessa a quella del Fico Ruminale. Per questo motivo la pianta era oggetto delle piú assidue cure: lo spuntare di nuovi polloni era interpretato come segno fausto; il deperire, al contrario, pronosticava sciagure e suscitava nella popolazione apprensione e timore.

 

Macrobio descrive nei suoi “Saturnali” che il simbolismo del latte come nutrimento divino, nell’antica Roma è intimamente associato al Fico. Alle none di luglio, dette “nonae caprotinae”, le donne romane si percuotevano a vicenda con rami di Fico e offrivano libagioni di lattice di Fico a Giunone Caprotina.

 

Spostandoci nell’antica Persia, i testi sacri narrano che il dio Mithra si riparasse dal freddo tra i generosi rami di un Fico, si coprisse con le sue foglie e si alimentasse dei suoi frutti.

 

Un mito greco narra anche che Demetra donò a Phytalos, che l’aveva ospitata, la prima pianta di Fico. Sul luogo, chiamato Hiera Syke, o “Sacro Fico”, sorse un tempio dedicato a Demetra e a sua figlia Persefone. Pausania trascrive cosí il testo dell’epigrafe posta sulla tomba di Phytalos a com­memorare il luogo: «Demetra per la prima volta mostrò / quel frutto della tarda estate / che la stirpe dei mortali chiama fico…».

 

Il Fico riguarda poi altre divinità; ad esempio tra i suoi epiteti, Zeus aveva quello di Sykàsios, “Zeus del fico”, associato all’idea di “generazione divina”  e Dionisio, che in alcuni miti è creatore e protettore del Fico, era detto Sykites. Sarebbe stato infatti lui a donarlo agli uomini e per questo mo­tivo, nell’isola di Nasso, la maschera rituale usata per rappresentare il dio era scolpita nel legno di Fico.

 

Ancora Macrobio riferisce che gli abitanti di Cirene, nei loro sacrifici a Saturno, offrivano torte impastate col miele e si cingevano le tempie di Fichi appena colti perché ritenevano che fosse stato Saturno lo scopritore del miele e dei frutti del Fico.

 

Cavalier d’Arpino «La cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva e le foglie di fico»

Cavalier d’Arpino «Nella cacciata dall’Eden Adamo ed Eva si coprono con le foglie di fico»

 

Veniamo ora al racconto della Genesi, dove nel­l’immaginario medievale il frutto proibito era raffi­gurato spesso in una mela e l’Albero della conoscenza in un melo. In molte altre immagini, dipinte o scol­pite dell’Eden, compare invece il Fico perché di quest’albero sono le foglie con cui si coprirono, dopo il peccato, Adamo ed Eva.

 

In fonti rabbiniche come “L’Apocalisse di Mosè” e in scritti di Tertulliano, veniva indicato come frutto dell’Albero della conoscenza proprio il Fico.

 

Nella Scuola gnostica dei Doceti, informa Ippolito, il Fico rappresentava l’Universo nella totalità delle esistenze che lo compongono, e l’Essere Supremo, origine di ogni manifestazione, era simboleggiato dal minuscolo seme del Fico: «Che è piú piccolo di ciò che è piccolo e piú grande di ciò che è grande e contenente in sé infinite potenzialità».

 

Sant’Agostino narra che anch’egli, quando era ancora un giovane sprovveduto, condivideva la comune credenza che nel frutto del Fico fossero racchiuse minuscole particelle di Dio, o angeli, e che se una persona santa si fosse cibata di questo frutto li avrebbe cosí liberati.

 

Nelle Sacre Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento il Fico, insieme con la vite, è simbolo non soltanto di fertilità ma anche di vita gioiosa nel regno messianico, in questo senso va colto il valore della maledizione che il Cristo scaglia contro l’albero di Fico rendendolo sterile, ma che in realtà è rivolta agli esponenti della Tradizione precedente i quali, pur attendendo il Messia annunciato dai Profeti, non lo riconobbero quando apparve sulla scena della storia umana.

 

Il Fico è presente anche nel passo del Vangelo di Giovanni dove il Cristo, incontrando Natanaele gli dice: «Non ti vidi soltanto quando tu venisti a me, ma prima che Filippo ti chiamasse io ti vidi quando eri sotto il fico!». (Giov. 1, 48). Nella decima conferenza del ciclo Il Vangelo di Giovanni in relazione con gli altri tre e specialmente col vangelo di Luca, tenuta a Kassel il 3 luglio 1909, il Dottor Steiner dà la spiegazione di questo incontro tra il Cristo e Natanaele affermando come ciò sia in rapporto all’Iniziazione e dove pure cosí si esprime: «La parola “il fico” è qui adoperata nel medesimo senso come per il Buddha, il fico è “l’Albero del Bodhi”; è il segno dell’Iniziazione», questo solo per accennare a come anche il Buddha sia legato alla presenza del Fico, se pur di altra specie, si trattava in quel caso del “Ficus religiosa”, detto anche Bo, o Bodhi, l’Albero Cosmico della dottrina Buddista.

 

Nell’Antico Testamento vi sono tante citazioni sull’albero del Fico e i suoi frutti, qui ne vengono citate alcune: «Non temere, terra, ma rallegrati e gioisci poiché cose grandi ha fatto il Signore. Non temete, animali della campagna, perché i pascoli del deserto hanno germogliato, perché gli alberi pro­ducono i frutti, la vite e il fico danno il loro vigore» (Gioele 2, 21-21).

 

Ed ancora: «Egli sarà arbitro tra molti popoli e pronunzierà sentenza fra numerose nazioni; dalle loro spade forgeranno vomeri, dalle loro lame, falci. …Siederanno ognuno tranquillo sotto la vite e sotto il fico e piú nessuno li spaventerà» (Michea 4, 3-4).

 

Trattando degli impieghi medici del Fico, Plinio menziona il potere della pianta, nelle varie sue parti, contro i veleni: «Il lattice del Fico, per sua natura, contrasta il veleno dei calabroni, delle vespe e di altri insetti, i germogli giovani, o i fichi primaticci, scelti tra i piú piccoli, presi in pozione dopo averli fatti macerare nel vino, giovano alle punture degli scorpioni. Si fa anche gocciolare il loro latte sulle ferite, e vi si applicano le foglie» (Nat. Hist. 23, 118-128).

 

Latte di fico

Latte di Fico

 

Piú vicino a noi il Valnet indica il Fico adatto ai convalescenti, ai vecchi e i bambini, dato il suo potere nutritivo e l’alta digeribilità, nell’astenia fisica e nervosa, nelle irritazioni gastro-intestinali, (gastriti, coliti), nella stipsi e negli stati febbrili acuti.

 

Se ne fa un decotto con i rametti teneri contro le bronchiti, laringiti e tracheiti, lo stesso si usa nei gargarismi e aiuta cosí nelle infiammazioni delle gengive; con le foglie se ne prepara un infuso per i disturbi cir­colatori e infine con i rametti giovani appena tagliati si toccano calli e verruche per farli scomparire, lo stesso risultato si ottiene sfregandoli la mattina e la sera col lattice dei frutti o delle foglie.

 

Maria Treben

 

I Fichi essiccati contengono molta fibra alimentare e sono consigliati per prevenire il diabete o le malattie cardiache. Pur essendo molto dolci, hanno meno zuccheri dei fichi freschi, riducono il colesterolo e migliorano la regolarità intestinale. Rallegrano la nostra tavola soprattutto nel periodo natalizio.

 

Il lattice del Fico e i rami giovani venivano pure usati come caglio per produrre formaggi e ricotte, in alternativa al caglio animale.

 

Pratiche e rimedi ormai non piú in uso ma che ancora una volta mostra­no come la Natura sia una Grande Farmacia, la “Farmacia del Signore”, come la chiamava Maria Treben, esperta di cure erboristiche.

 

 

Davirita