Satipatthāna. il cuore della meditazione buddista

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Satipatthāna. il cuore della meditazione buddista

di Nyanaponika Thera

 

 

Come affermato da E. Graham Howe nella sua prefazione, Satipatthāna è una via di libertà che conduce all’Illuminazione, e questo è un manuale di allenamento interiore, basato sulla “Via della consapevolezza” del Buddha. Dobbiamo all’amore attivo di Nyanaponika Thera e alla sua capacità di penetrazione sottile dell’ar­gomento, l’interpretazione e la traduzione in termini moderni di disciplina spirituale di questo insegnamento del Buddha.

 

Nell’Introduzione, Nyanaponika Thera spiega la sua intenzione di offrire al lettore moderno un’idea del significato della meditazione nell’ascetismo buddista, mostrando cosa può ancora significare come mezzo di formazione dell’uomo interiore. Il carattere dinamico e attivistico dei tempi moderni li rende inadatti a tali discipline, che possono essere coltivate solo in un’atmosfera di quiete e silenzio. Va tuttavia notato che è come protezione contro la tumultuosa invadenza del mondo esterno che il percorso della meditazione può essere considerato di interesse attuale, anche se è aperto solo a coloro il cui temperamento li rende particolarmente inclini a studiare l’uomo interiore.

 

Poiché la meditazione è un argomento a cui si fanno innumerevoli riferimenti nei testi buddisti, l’autore si è rivolto alla tradizione piú sicura. Tuttavia, tutti i metodi, sottolinea, alla fine convergono nella “Via della Consapevolezza” (satipatthāna-magga) chiamata dallo stesso Maestro “l’unica via” (ekāyano maggo). Dopo un attento studio introduttivo della disciplina mentale, uno studio di valore essenzialmente pratico, viene fornita una perspicace spiegazione delle quattro fasi della contemplazione: sul corpo, sul sentimento, sullo stato mentale, sui contenuti mentali. La prima fase è l’aspetto yogico del buddismo, in cui le facoltà mentali sono attive come qualcosa che può essere di aiuto al devoto non ancora in grado di attingere alla Saggezza trascendente, che, come classificata dal Nagarjuna, è un percorso rigoroso e accidentato rispetto a quello della Bhakti.

 

Gli esercizi che hanno come scopo la “contemplazione del corpo” coprono entrambi i tipi di pratica: appartengono in parte alla pura attenzione e in parte alla chiara comprensione. Viene quindi considerato un aspetto psicologico, e a questo proposito la spiegazione data dell’idea di meditazione è importante. Questa è un’espressione occidentale che viene applicata indiscriminatamente a tre diverse fasi dell’esercizio interiore: consapevolezza, concentrazione, saggezza. In pratica, quindi, si dovrebbe distinguere tra la meditazione, che ha come oggetto la consapevolezza cosciente incentrata su qualche tema o oggetto che le serve solo come pretesto, e la meditazione la cui qualità è conferita ad essa dall’oggetto su cui si concentra. A volte questa è attività spirituale in sé, o può essere comunione con un’immagine del mondo superiore. Nel primo caso il contenuto può essere tratto dall’esperienza ordinaria; nel secondo caso esso (kammatthāna) appartiene alla sfera della saggezza stessa. In questo l’uomo moderno può trovare una chiave della meditazione, in quanto la meditazione può, in una prima fase, essere considerata come una determinazione mentale applicata a qualche oggetto appartenente al mondo dei sensi, mentre, in una fase successiva, la determinazione del pensiero stesso può essere l’oggetto e il riferimento ai sensi diventa superfluo.

 

Il processo che conduce alla contemplazione dei Contenuti Mentali (dhamm’ānupassanā) può essere cosí compreso. L’intero Discorso sui Fondamenti della Consapevolezza può essere considerato nient’altro che un’istruzione teorica e pratica completa per la realizzazione di quella verità liberatrice di Anattā, avendo i due aspetti di “Non-sé” (Impersonalità) e “Vuoto di Sostanza”, sostanza essendo intesa come inclusiva anche della sostanza interiore o psichica.

 

Gli atti di meditazione, concentrazione e contemplazione non hanno infatti nulla di artificiale; pongono l’uomo in una condizione che gli consente di assumere l’atteggiamento che lo spirito raggiungerebbe se agisse senza impedimenti da parte del mondo (come sarebbe evidente in alcune manifestazioni della natura se potessimo contemplare con un occhio puro, con un “occhio illuminato”, i fiori, l’alba, l’arcobaleno). Chi medita diventa, in effetti, indipendente dal caos delle percezioni sensoriali, dalla visione frammentaria del mondo, dalle influenze della mente subconscia. In questo stato di indipendenza, le forze profonde dell’anima, che prima erano ostacolate e velate, si risvegliano e possono operare in conformità al proprio principio. Nella contemplazione, l’asceta compie in sé un’opera di sintesi dei diversi significati delle cose disposti in un’unità che non è arbitraria, perché è l’unità stessa su cui si basa il mondo. La sua visione diventa cosí limpida, corrispondente al Mistero essenziale dell’essere. L’atto di volontà che l’asceta compie meditando, è già un atto di libero arbitrio che inizia a muoversi al di fuori della natura, oltre la sfera delle inclinazioni personali. Questo atto di volontà porta il pensiero al di sopra del livello dell’argomentazione razionale e lo reinserisce in una dimensione interiore, rispetto alla quale ogni discorsività sembra essere illusione o errore. La bontà, la compassione, l’amore a questo punto, anche se non coltivati per se stessi, diventano movimenti spontanei dell’anima, non acquisiti artificialmente e quindi fittizi, ma rivelandosi come la realtà stessa della vita dell’anima nella sua relazione con l’Essere.

 

La quiete e il silenzio non si acquisiscono dall’esterno, ma si assicurano in assenza di quelle tensioni vitalistiche che, anche quando colorate di sensibilità mistica, respingono la tenuità del mondo spirituale. Il consueto movimento verso il mondo esterno, con l’intento di “prenderlo”, “afferrarlo”, “possederlo”, è ciò che deve essere eliminato dal nostro essere interiore. La spiritualità non si lascia afferrare né costringere da ciò che non può contenerla.

 

Tutto ciò che dentro di noi imita il moto del desiderio possessivo, nella sua aspirazione verso il mondo spirituale, in realtà lo rifiuta. Il nostro compito non è quindi tendere verso, non cercare di afferrare, ma piuttosto lasciare cadere tutte le tensioni umane, anche se aspirano verso l’alto, perché sono comunque espressioni dell’ego. La via della Meditazione conduce quindi all’autoliberazione; è la via che conduce alla realtà essenziale, simile a quella data da Yajnavalka nelle Upanishad. Tutto ciò che percepiamo nel mondo esteriore, nello spazio e nel tempo, nella misura in cui non è percepito nella sua essenza, ostacola la liberazione. D’altra parte, colui che sa mettere a tacere in sé tutti i predicati e tutte le impressioni, entra di nuovo, nella quiete e nel silenzio, in contatto con quell’essenza; sente che la realtà ultima dell’universo sta nascendo in lui.

 

L’interpretazione e il coordinamento del metodo di Nyanaponika Thera e le illustrazioni che egli fornisce delle varie fasi del cammino spirituale, formano non solo un insieme sostanziale di valore per coloro che si sentono spinti a praticare la contemplazione piú profondamente, ma è anche di per sé un’opera di meditazione, perché per comprenderla, il lettore deve compiere un atto meditativo.

 

Massimo Scaligero

 


 

Nyanaponika Thera, Satipatthāna. Il cuore della meditazione buddista.

Seconda edizione – The Word of the Buddha Publishing Committee, Colombo, 1956.

Da East and West, settembre 1959, Vol. 10, No. 3

Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (IsIAO).

 

 

Link all’articolo originale in inglese: “Satipaṭṭhāna. The Heart of Buddhist Meditation by Nyanaponika Thera