L’essere umano che rivolga lo sguardo alle Gerarchie arcangeliche preposte alla guida dell’Umanità è legittimamente portato ad immaginare un operare concorde, privo di elementi di contrasto.
In una conferenza del 1° agosto 1924 (in Considerazioni Esoteriche su Nessi Karmici, vol.3°, ed. Antroposofica), Rudolf Steiner ci disvela una realtà drammaticamente diversa: «Di tutti gli Arcangeli, il cui numero è sette, sei si rassegnarono non del tutto, ma con abbastanza intensità (piú degli altri Gabriele, ma anch’egli non totalmente) che gli esseri umani si trovassero dinanzi alla maya, alla grande illusione, poiché per le loro condizioni non piú corrispondenti a quanto essi erano stati destinati in origine, erano decaduti dalla loro originaria figura».
Caduta, conseguente alla seduzione luciferica, che grazie alla rivelazione del Dottore, riconosciamo prodromica alla nostra possibilità di svilupparci in esseri liberi e contestualmente causa dei maggiori ostacoli: «Poiché l’essere umano è ormai peccatore, ed essere peccatore significa appunto essere disceso dalla primitiva altezza, egli non può vedere il mondo come avrebbe potuto guardarlo se fosse rimasto senza peccato, cioè prima della sua caduta. Di conseguenza egli vede il mondo offuscato, non nella sua vera figura, ma pieno di illusioni e fantasmi».
Dunque, sia pure con diversa intensità, sei Arcangeli sostanzialmente accettano lo “status quo”. Ma non il settimo: «Solo e unico Michele (sono costretto a valermi di termini banali) …non volle cedere, affermando: io sono il reggente dell’intelligenza che deve essere diretta in modo che non vi penetri l’illusione, il fantasticare, cose che portano l’uomo a vedere nel mondo solo in modo oscuro e nebuloso».
Rudolf Steiner medesimo ci manifesta il proprio personale trasporto di fronte alla visione di questa titanica lotta solitaria. «È una vista indicibilmente esaltante, piena di grandiosità tale da sopraffarci, il vedere Michele ergersi come il massimo oppositore nella schiera degli Arcangeli».
L’Arcangelo Solare dunque combatte aspramente quantomeno su due fronti: su quello esterno è chiamato a fronteggiare il Suo fiero oppositore tradizionale, Arimane, potenza cosmica dotata del massimo intelletto possibile, perché ha già del tutto acquisito per sé l’Intelligenza una volta gestita da Michele nel Cosmo e poi discesa sulla Terra quale progressivo appannaggio del singolo essere umano; in quello “interno” si vede costretto a resistere alla pressione dei Suoi “pari grado”, sostanzialmente acquiescenti di fronte al “meritato” declino dell’uomo peccatore.
Atteggiamento rinunciatario che Michele fermamente respinge perché: «Ad ogni ripetersi di un periodo micheliano, avvenne che sulla Terra l’intelligenza come mezzo conoscitivo non solo assunse carattere cosmopolitico …ma divenne tale da compenetrare gli uomini di questa consapevolezza: noi possiamo anche ascendere alla Divinità!».
Affermazione perentoria, tutt’altro che rassegnata, che già nella parte finale della precedente Reggenza micaelita dovette confrontarsi con atteggiamenti sfiduciati in relazione alle possibilità umane di riscatto: «A partire dalla Grecia, nelle sedi degli antichi Misteri era dovunque diffusa un’atmosfera di scoramento …dominava il sentimento: l’uomo non può».
Ma già allora incrollabile la convinzione del pugnace Arcangelo: «L’uomo deve arrivare alla pan-Intelligenza: deve arrivare sulla Terra ad afferrare il divino in forma priva di peccato. …La posizione di Michele rispetto agli altri Arcangeli è appunto che egli protesta nel modo piú vigoroso contro la caduta degli uomini».
Caduta cosí gravida di conseguenze da ingenerare in Arimane la convinzione di poter arrivare a controllare l’intelligenza un tempo gestita da Michele nel cosmo, mentre diventa intelligenza terrena e gradualmente si inserisce negli esseri umani.
«Dietro le quinte dell’esistenza infuria in sostanza la lotta di Arimane contro la corrente micheliana e …rientra nei compiti degli antroposofi il sentire che le condizioni sono queste, che il cosmo è, per cosí dire, impigliato in questa lotta».
Dunque, aspro, irriducibile, il contrasto tra le schiere arimaniche e quelle micaelite: le prime mirano ad un’acquisizione personale dell’intelligenza gestita dall’uomo; al contrario: «Michele non vuole attirare l’intelligenza personalmente a sé, ma vuole invece (e volle per millenni, per la durata di eoni) gestire la pan-Intelligenza; e ora che gli uomini dovrebbero avere l’intelligenza, vuole gestirla come qualcosa di comune a tutti gli uomini, qualcosa che come intelligenza generale va a beneficio di tutti gli uomini».
Emerge evidente la fondatezza della definizione di Michele come Arcangelo Solare: cioè quale fedelissimo servitore del Logos che, come la luce della nostra stella si dona imparzialmente ad ogni realtà terrena, cosí ha offerto se stesso per la salvezza di ogni essere umano, nessuno escluso; opposta l’azione delle potenze ostacolatrici, da sempre impegnatissime a indirizzare l’umanità ai loro fini, soprattutto esasperando l’egoismo di singoli e popoli: “Divide et impera”.
Francesco Leonetti