A quei tempi,
un corriere dello zar
rischiava molto.
Attraversando steppe,
guadando fiumi,
valicando monti,
poteva capitargli
di affrontare
valanghe, frane,
turbini di sabbia,
agguati di predoni
e rivoltosi.
E poi quel vento
gelido, affilato
come il knut dei cosacchi,
discendeva
ululando dagli Úrali,
dai ghiacci
dell’Artico,
mordeva nei garretti
il cavallo,
facendolo scartare
dalla pista,
impazzito di paura,
feriva all’uomo
le narici e gli occhi
e la gola
con mille acute spine.
Ma lui, Strogoff,
non si arrendeva,
impavido
bruciava le distanze.
Il panorama
di Madre Russia
gli scorreva ai lati
familiare,
per attimi incantato,
paesaggio
alternante le stagioni:
neve, germogli,
sole, foglie morte.
Lui cavalcava
solitario, mai
si sarebbe fermato.
Trascorrevano
i giorni, i mesi,
le tempeste, il morso
tirato a sangue.
Nella galaverna
lo sfaglio di cristalli
tra gli zoccoli,
i lampi, la vertigine,
la corsa.
Sembrava eterno
il suo destino, il nome
già consegnato
ai fasti della gloria.
Non pensava, Strogoff,
solo ogni tanto
un ricordo fugace,
una memoria
di volti cari,
abbandonati, brevi
passaggi d’ombre,
spettri, nulla piú.
Aveva solo
sguardi per la via
da percorrere,
e in ultimo la mèta.
Poi la cattura,
evento non atteso,
inciampo della sorte,
la tortura:
una lama rovente
soffocò
in tenebre la luce
dei suoi occhi.
Fu allora che glorioso,
nei precordi,
si accese uno scenario,
vide fiumi
scorrere in vene
d’oro, fioriture
riverberanti
dall’interno, vita
palpitante
di arcane meraviglie.
Pianse allora Strogoff.
Non lo faceva
dagli anni dell’infanzia.
Poche lacrime,
che spensero
l’ardore del metallo.
E lui fu salvo.
Conservò la vista
per la natura esterna,
materiale.
Ma piú ancora
per l’altra, rivelata
dalla pura esperienza
del dolore.
Specchio del mondo
fisico caduco,
di quanto fuori
è semplice apparenza,
dentro se stesso
un doppio trascendente
compenetrato
della vera essenza:
nuvole, cieli,
primavere, stelle,
un territorio
tutto da scoprire
e illuminare col pensiero.
Il nobile
Strogoff, corriere dello zar,
da allora
diventò cavaliere,
navigante,
esploratore
della terra ignota
che dorme
dentro l’anima in attesa
di venire scoperta,
risvegliata.
Fulvio Di Lieto