I ricordi siamo noi

Socialità

I ricordi siamo noi

 

Viviamo di ricordi. Potremmo quasi dire che i nostri ricordi siamo noi. Riportiamo alla mente quando rammentiamo, al cuore quando ricordiamo, alle membra quando, appunto, rimembriamo.

 

Tabellina del nove

 

Iniziamo dalla prima infanzia, imparando attraverso il rammentare il nome di tutto ciò che ci cir­conda. La scuola è tutta basata sul rammentare, sul memorizzare in maniera quanto piú possibile automatica, come accade per le tabelline, i teoremi, una volta le poesie – oggi praticamente bandite – e poi le battaglie (la storia è fatta soprattutto di battaglie!), le capitali degli Stati di ogni continente (interessante oggi scoprire quanta fantasia nelle risposte dei giovani alle domande sulle capitali: degli Stati Uniti = New York; del Brasile = Rio, della Spagna = Barcellona ecc.).

 

Crescendo ricordiamo gli eventi importanti che hanno segnato i periodi precedenti, torniamo spesso su quelli piacevoli, cerchiamo di dimenticare quelli che ci hanno fatto soffrire, che però sono stati utili per imparare a evitare situazioni negative in seguito.

 

Con il tempo i ricordi si fanno piú densi di significato: gli amori, le scelte professionali, le prime delusioni, i primi traguardi raggiunti. In quel periodo si torna difficilmente sui ricordi del breve passato, si vive piú intensamente nel presente e si guarda piuttosto al futuro.

 

Poi può arrivare il matrimonio, i figli, e se si torna ai ricordi, sono soprattutto quelli della libertà della passata adolescenza e della prima gioventú. Si è comunque però focalizzati per il presente sulla propria carriera e per il futuro sulla preparazione da dare ai figli, necessaria per una loro una professionalità di qualsiasi tipo.

 

Il tempo scorre veloce, e i ricordi cominciano sempre piú spesso a tornare alla mente. Tanti sono i momenti che hanno segnato una svolta, o si sono distinti per raggiungimenti conquistati, o per la tenerezza di un amore vissuto.

 

Arriva poi un tempo in cui i ricordi affollano la mente. Sono tanti, troppi. Si gira in macchina per le vie della città e ogni luogo ricorda un periodo di vita, persone conosciute e frequentate, familiari scom­parsi: la casa dei nonni, dei cugini ai quali eravamo tanto legati nell’infanzia e che hanno preso ognuno la propria strada, lontana; il piccolo appartamento abitato subito dopo le nozze, la casa in cui i figli sono cresciuti, le scuole, i ristorantini dei primi appuntamenti…

 

Nell’ultimo periodo della vita il rimembrare diventa un atteggiamento naturale e continuo, con il rischio di vivere piú nel passato che nel momento presente, e poco nel futuro, che appare indistinto, o improbabile. Questo tranne che nel caso delle malattie che sembrano dilagare oggi sempre piú, che inghiottiscono e azzerano lentamente ma inesorabilmente tutti i personali ricordi, che sono parte di noi, della nostra storia, e se si perdono svanisce con loro la nostra stessa essenza. Rimane un indefinito presente senza appigli cui tenersi.

 

Nella vecchiaia è importante crearsi interessi attivi non lasciandosi sedurre dalla comoda passività della poltrona davanti allo schermo televisivo, che addormenta piacevolmente rendendoci sempre meno attenti e presenti.

 

Di prima mattina, nella fila alla posta parlavo con una signora di un’età avanzata quasi come la mia. Aveva voglia di riempire il vuoto dell’attesa prima dell’apertura dell’ufficio chiacchierando del piú e del meno. Il piú erano i ricordi di una Roma solo sognata, di una bellezza e di un’armonia che veniva dalla sua fantasiosa ricostruzione scenica. Il meno era l’attualità, da rifuggire perché tutta sbagliata, e citava trasmissioni televisive che l’avevano indignata o fatta soffrire. Le ho detto che forse non è il caso di vedere quelle trasmissioni, che sembrano fatte per denunciare, ma in realtà affermano quanto si vuole che lo spettatore pensi. Lei mi ha risposto: «Se non guardo la televisione, che faccio tutto il tempo? La giornata è lunga fino alla sera!». In effetti, se non si sono costruiti interessi nel corso della vita, il tempo della pensione ci lascia ricordi edulcorati e spettacoli subiti.

 

Ma i ricordi sono la storia, personale e anche della società tutta. La condivisione dei ricordi da una generazione all’altra è cronaca vivente di un’epoca che i piú giovani non hanno conosciuto. Io ho dei ricordi vivissimi dei racconti di mia nonna, che mi facevano intravedere modi di vivere tanto lontani e interessanti da evocare: lo studiare al lume di candela; l’ineffabile timbro sonoro di Enrico Caruso al “Costanzi”, l’attuale Teatro dell’Opera; le macchiette maliziose di Maldacea al Salone Margherita; Buffalo Bill arrivato dall’America con tutto il suo spettacolo circense del Wild West, con i pellirosse, i cavalli, il rodeo ecc.; gli spostamenti in città in omnibus, che erano carrozze a due o a quattro cavalli, e alla ripida salita di Via Quattro Fontane si aggiungeva un quinto cavallo per aiutare nello sforzo i poveri animali…

 

E poi i ricordi di mia madre, fervente “Giovane italiana”, tutto sport e speranze in un futuro di glorie italiche, presto cancellate da chi quelle glorie temeva e osteggiava.

 

Autobus a Roma nel 1945

Autobus a Roma nel 1945

 

I miei nipoti a loro volta hanno ascoltato i miei ricordi del triste dopoguerra, delle camionette militari che fungevano da autobus, su cui ci dovevamo inerpicare salendo traballanti scalette. Poi l’epoca del boom economico, i primi jeans, le illusioni di un benessere pagato a cambiali, tratto in fotocopia dall’America e presto svanito con la ben orchestrata, e preparata a tavolino, pseudo-rivoluzione giovanile del ’68.

 

Il ricordo come cronaca può essere utile per capire il presente. Le condizioni sono diverse, ma solo apparentemente: in realtà ci sono sempre i burattinai che comandano da dietro il teatrino, le comparse che eseguono il balletto voluto, e gli spettatori ignari del gioco ma coin­volti e pronti sempre a subire quanto deciso in alto, da chi comanda. E quelli che comandano credono di essere loro a decidere, mentre sono anch’essi pedine di un gioco che si svolge oltre il velo della maya.

 

La disciplina interiore aiuta a sviluppare la memoria. Ma non la comune memoria, anzi, spesso al­l’inizio del lavoro si perde una parte di memoria: quella automatica. In realtà se ne costruisce una nuova e diversa, piú viva e intensa: la memoria del cuore.

 

Non si deve vivere di ricordi, ma bisogna capire l’importanza che hanno per la costruzione della nostra personalità. Sapendo questo, quando compiamo un’azione o prendiamo una decisione è essenziale chiederci: “Come vorrei ricordare questo mio comportamento?”. Soprattutto dovremmo evitare di provare imbarazzo al solo rievocare una nostra azione sgradevole o poco etica. Applicarci dunque, giorno per giorno, alla costruzione di nostri ricordi di cui non doverci pentire o vergognare in seguito. E compiendo azioni positive, saremo ricordati in futuro con un sorriso da chi ci conosce e forse ci vuole anche un po’ di bene.

 

 

Marina Sagramora