La coppia che conosca il Sacro Amore, è invero “morsa dal Drago”, perché acquisisce coscienza dell’antico male dell’anima, del limite dell’anima senziente. Viene detto peraltro che «il morso del Drago non si cicatrizza». La ferita di Amfortas è inguaribile, ma verrà sanata dalla Lancia riconsacrata da Parsifal. Occorre comprendere questa simbologia: il morso del Drago è antico, perché precede l’epoca dell’autocoscienza; anzi, questa nascerà in conseguenza di quello.
Massimo Scaligero
La Letteratura medievale del Graal
Nel Medioevo possiamo identificare due principali tipologie di opere letterarie: quelle appartenenti al ciclo carolingio e quelle appartenenti al ciclo bretone. Tutti e due i cicli hanno un punto in comune: la lealtà dei vari protagonisti verso il proprio Signore, che nel primo ciclo è Carlo Magno e nel secondo è re Artú. Analizzeremo in sintesi alcune opere letterarie fondamentali per meglio comprendere la relazione esistente tra le varie tematiche misteriche associate alla Cerca del Graal, in particolare quelle di Chrétien de Troyes, Robert de Boron e Wolfram von Eschenbach.
Tale relazione trova nel concetto del Sacro Amore l’elemento portante per la ricomposizione dell’antica frattura edenica anelata e di continuo disattesa dalla coppia umana ovvero la relazione operante nei rari momenti della reciproca donazione di sé dal segreto dell’anima, quale virtú restauratrice di una sonorità originaria da recuperare.
Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes (XII secolo).In quest’opera il Graal appare per la prima volta sotto forma letteraria. Ricordiamo al lettore che esistono simbologie antecedenti come quelle espresse nel mosaico pavimentale della basilica di Otranto in Puglia (1163). Nel racconto di Chrétien il Graal non è ancora identificato con il Calice contenente il Sangue di Cristo. Non si sa neppure di preciso che forma abbia, perché Chrétien, descrivendo il banchetto nel castello del Re Pescatore, dice semplicemente che «un graal antre ses deus mains / une dameisele tenoit» («un graal tra le sue due mani / una damigella teneva») e descrive le pietre preziose incastonate nell’oggetto d’oro. Il Graal viene citato di nuovo in una delle scene finali, quella in cui un eremita rivela a Perceval che il Graal reca un’Ostia, nutrimento spirituale, per il padre del Re Pescatore. Il racconto riguarda un re zoppo la cui ferita alla gamba rende la terra sterile. L’eroe, il Perceval, incontra il re pescatore ed è invitato ad una festa al castello. Il Graal è ancora presentato come un vassoio di vivande ma è anche parte di una serie di reliquie religiose, tra cui una lancia che stilla sangue (interpretata come la Lancia di Longino) ed una spada spezzata. Lo scopo delle reliquie è di incitare l’eroe a porre domande circa la loro natura e quindi rompere l’incantesimo del re infermo e della terra infruttuosa.
Giuseppe d’Arimatea di Robert de Boron. Fu Robert de Boron, nel suo Joseph d’Arimathie composto tra il 1170 e il 1212, ad aggiungere un dettaglio, non presente nei Vangeli canonici né negli apocrifi, che il Graal sarebbe la coppa usata nell’Ultima Cena, la stessa nella quale Giuseppe d’Arimatea avrebbe poi raccolto le gocce di Sangue del Cristo sulla croce, uscite dalla ferita infertagli dal centurione Longino, poco prima che il suo Corpo venisse lavato e preparato per essere sepolto.
Giuseppe avrebbe quindi lasciato la Palestina per rifugiarsi nelle Isole britanniche, portando con sé il Sacro Graal, raggiungendo la valle di Avalon (identificata con Glastonbury) che sarebbe diventata la prima Chiesa Cristiana oltre la Manica. Qui lui avrebbe affidato il Graal al proprio cognato di nome Hebron, detto anche il “Re Pescatore”, il quale a sua volta l’avrebbe trasmesso ai suoi discendenti, ognuno denominato col suo stesso titolo in qualità di custode della sacra reliquia.
Il Parzival di Wolfram von Eschenbach. Una successiva interpretazione del Graal è quella che si trova nel Parzival di Wolfram von Eschenbach (1210), secondo il quale il Graal sarebbe una pietra magica (www.larchetipo.com/2023/06/esoterismo/la-saggezza-dei-rosacroce/) che produce ogni cosa che si possa desiderare in virtú della sua sola presenza.
Questa pietra sarebbe caduta dalla fronte di Lucifero, staccatasi precisamente nello scontro fra gli angeli del bene e del male e cadendo poi sulla Terra. La madre di Parzival, Herzeloyde, dopo la morte del padre Gahmuret, lo alleva in solitudine nella foresta perché cresca lontano dalla pericolosa vita delle armi.
L’incontro con quattro cavalieri annulla però i disegni della madre; il giovane è preso dal gusto dell’avventura e si reca alla corte di re Artú, riceve l’investitura uccidendo il Cavaliere Rosso e viene iniziato dal vecchio Gurnemanz all’educazione cortese e cavalleresca. Quindi, grazie al suo coraggio, ottiene in sposa la bella Condwiramurs.
Durante le peregrinazioni che ogni cavaliere deve compiere, giunge al castello del Graal, dove vede il re ferito Amfortas e la discesa dall’alto del Graal. Tutti attendono che egli domandi il perché dell’infermità del re, ma Parzival non pone la domanda, segno di non sufficiente cristiana carità e comprensione, e viene cacciato dal castello. Parzival allora vaga per lunghi anni, compiendo gesta onorevoli per riscattarsi, finché giunge al giardino incantato di Klingsor, dove la bella Kundrie cerca di sedurlo. Ma Parzival, “il cavaliere senza macchia e senza paura”, evita la tentazione alla quale non hanno resistito né il re Amfortas né gli altri cavalieri. Il mago nero Klingsor è furioso e lancia contro Parzival la lancia di cui è in possesso: la lancia di Longino! Parzival non viene colpito ma anzi recupera la sacra lancia e torna al castello del Graal. Con essa potrà finalmente guarire la ferita del re Amfortas e diverrà il nuovo re del Graal.
L’opera di Eschenbach ispirò Richard Wagner nella sua grandiosa opera Parsifal, considerata il massimo capolavoro del grande compositore tedesco, sia per la potenza e ricchezza della musica, sia per le scene e l’intensità del suo messaggio spirituale. Wagner, insieme alla moglie Cosima, compie un viaggio in Italia, e riceve impressioni molto profonde, persino sconvolgenti, dai luoghi visitati, dalle quali trae spunto e linfa creativa per le sue composizioni. Nel giardino di Villa Rufolo a Ravello, che lo incanta, nasce in lui l’ispirazione per la scena del Venerdí santo, e nel Duomo di Siena, dal quale rimane folgorato, ambienta la scena conclusiva dell’opera. Il suo viaggio giunge fino a Palermo, dove, nel 1882, termina la composizione della sua grandiosa opera. Si reca poi a Venezia dove l’anno dopo muore, nel palazzo Vendramin Calergi.
Il Parsifal di Wagner viene rappresentato per tradizione a Bayreuth, in occasione del Festival, e altrove viene eseguito in particolare durante la Settimana Santa.
Amor Cortese, Amore Platonico, Sacro Amore
“Amor cortese” è un termine utilizzato per indicare la concezione filosofica, letteraria e sentimentale dell’Amore all’epoca dei trovatori delle corti provenzali, basata sull’idea che solo chi ama possiede un cuore nobile. Il rilievo assegnato alle virtú cortesi (come la lealtà verso il proprio signore, la generosità nei confronti dei piú deboli, la liberalità nei rapporti umani), è fondamentale perché ogni cavaliere possa davvero definirsi tale, e quindi anche essere degno dell’amore della propria dama.
La prevalenza della tematica amorosa – in cui il rapporto tra il cavaliere e la donna amata diventa spesso una metafora del rapporto feudale ma anche la sublimazione di qualcosa di sacro e spiritualmente superiore – codifica una serie di atteggiamenti che poi saranno alla base di buona parte della lirica d’amore dei secoli successivi tra il cavaliere e la donna amata (che può essere una creatura perfetta ed irraggiungibile), oltre alla serie di prove ed esami cui l’amante deve sottoporsi per dimostrare la propria eccellenza o l’autenticità della propria passione.
Le strategie del corteggiamento spesso devono essere segrete o comunque fortemente allusive. Da qui spesso l’utilizzo di senhal (il nome fittizio dietro il quale si celava la donna cui era rivolto l’amore) o pseudonimi, per celare ad altri il nome dell’amata.
L’“Amore platonico” è una forma elevata di amore priva della dimensione passionale-erotica. Platone considera l’attrazione fra i corpi il primo dei vari livelli di amore, benché egli aggiunga che questo livello vada abbandonato per giungere a quelli superiori (amore dell’anima, per le leggi e le istituzioni, per le arti e le scienze).
Oltre all’amore platonico esiste una forma d’amore chiamata da Scaligero “Sacro Amore”
(www.larchetipo.com/2024/10/esoterismo/il-concetto-di-sacro-amore-di-massimo-scaligero/)
che costituisce, come tappa terrena superiore, il ricongiungimento della coppia edenica prima del peccato originale, ma che si svolge in una dimensione eterico-animica percepita da entrambi i componenti della coppia.
Volendo chiarire meglio, diciamo che il Serpente nel giardino dell’Eden simboleggia la degradazione della forza originaria secondo la corrente della brama, ed il livello dal quale questa deve risorgere. La gioia sessuale dei corpi fisici fornirà una parvenza del ritrovamento di un bene originario ma puntualmente perduta. La ri-ascesa dell’uomo al suo rango originario ha quindi come barriera gli strati della degradazione dell’eros che dovranno essere alchemicamente superati. Il compito dell’eroe solare chiamato anche Eroe del Graal, non è quello di un totale distacco ascetico o di un dominio di forze a lui trascendenti secondo un incipit rituale, bensí un procedere mediante alchimia interiore. Le forze originarie dell’Eros non opportunamente rettificate nei princípi formativi del Sacro Amore e della successiva ricomposizione della coppia primordiale edenica, possono indurre due limiti estremi, uno inferiore, dovuto al sopravvento delle morbosità egoiche (arimaniche), l’altro superiore, prodotto da deliri di onnipotenza (ovvero da forze di esaltazione luciferiche).
La coppia terrestre in grado di manifestare, per virtú acquisite ed accordate dalle Gerarchie Superiori, o piú semplicemente in virtú di convergenze karmico-cosmiche rese immanenti, questi impulsi di redenzione eterica, si trova a vivere l’esperienza esaltante dell’Amore Cosmico o Sacro Amore. Tutto ciò potrà essere reso possibile se entrambi i sessi, con i loro corpi eterici attivi, risultano immersi in una sorta di neonato corpo eterico esteso (il Rebis, l’androgino alchemico) che anela ai piani superiori ovvero alla ricomposizione dell’antica frattura edenica.
L’Alfa e l’Omega, che in epoca paleocristiana erano letti come unico simbolo espressione della sonorità del Verbo, ovvero nella vibrazione primordiale dell’OM induista, espressione del Bindu vibrante della luce cosmica (l’occhio in cima alle due componenti maschile Alfa-Lingam e femminile Yoni-Omega), nei secoli successivi perderanno via via la componente vibrazionale cosmica per poi separarsi come singole lettere distinte da riunificare e successivamente, per via iniziatico-ascetica, da far vibrare novellamente. Platone, con le sue opere e il suo concetto d’amore platonico, fu uno dei primi Iniziati solari ad insegnarci come riunificare le due componenti separate. Componenti che, ricordiamo, costituivano de facto le note lettere dell’alfabeto greco e di altri alfabeti sacri.
I quattro quesiti che Dante pone ad Adamo:
1. Quanto tempo è passato dalla sua creazione?
2. Quanto tempo è rimasto nel Paradiso Terrestre?
3. Quale fu la colpa che causò il peccato originale?
4. Quale era la lingua da lui parlata?
Adamo spiega a Dante che il peccato originale non fu l’aver mangiato semplicemente per gola il frutto proibito, bensí il non aver voluto attenersi ai divieti divini. Egli è rimasto nel Limbo, attendendo di esserne tratto fuori per ascendere al Cielo esattamente 4.302 anni ed è vissuto sulla Terra per 930 anni, quindi dalla sua cacciata dall’Eden sono trascorsi in tutto 6.498 anni. La lingua da lui parlata era già scomparsa quando gli uomini iniziarono a costruire la Torre di Babele, in quanto il linguaggio è opera dell’intelletto umano e non può che essere mutevole nel tempo; l’azione del linguaggio è di per sé naturale, ma l’esprimersi in un modo o in un altro è arbitrio dell’uomo. Prima che Adamo scendesse nel Limbo, il nome di Dio era “I”, mentre in seguito fu detto “El”, cosa perfettamente comprensibile in quanto gli usi degli uomini mutano continuamente. Adamo conclude dicendo che egli rimase nel Paradiso Terrestre sette ore in tutto.
I Fedeli d’Amore
Dante definisce “Fedeli d’Amore” nella Vita Nova coloro ai quali sono destinati i suoi versi e gli unici in grado di comprenderne il significato. Secondo alcuni studiosi i Fedeli d’Amore sarebbero una confraternita, forse un ordine laico affiliato al Tempio, dal quale aveva bisogno di protezione contro i sospetti dell’Inquisizione. Il linguaggio dei Fedeli d’Amore e le allegorie che usano sarebbero analoghe a quelle delle confraternite iniziatiche dei Sufi e dei mistici ebraici, ben documentate storicamente. Secondo Guénon gli stessi Stilnovisti avrebbero avuto contatti con i Templari e le dottrine dei Sufi, confraternite che insegnavano agli adepti le tecniche per raggiungere l’estasi, la dissociazione dello Spirito dal corpo per raggiungere la visione dell’Assoluto inesprimibile, che è l’itinerario stesso della Divina Commedia.
L’ordine gerarchico interno era diviso in sette gradi della scala iniziatica che corrispondono ai sette pianeti e alle sette arti liberali. Le Iniziazioni si svolgevano a Pasqua, lo stesso periodo in cui si svolge il racconto della Divina commedia.
«E pensando io acciò che m’era apparuto,
propuosi di farlo sentire a molti, li quali erano
famosi trovatori in quel tempo: e con ciò fosse
cosa che io avesse già veduto per me medesimo
l’arte del dire parole per rima, propuosi di fare
uno sonetto, nel quale io salutasse tutti li Fedeli d’Amore…»
(Dante Alighieri, Vita Nova I, 20)
Dall’influenza del Sole operante da fuori della Terra e da quella della Luna unita ancora alla Terra, e dall’intero Zodiaco sorge la possibilità che l’uomo tragga da sé l’essere androginico. Il mistero dell’Androgine è contemplabile come il momento di un potere formatore dell’uomo, scaturente dalla sua possibilità di accogliere forze piú elevate epperò piú profonde, in rapporto all’elemento lunare potenziato sul piano fisico dalla separazione del Sole dalla Terra. Le correnti capaci di dominare l’elemento lunare infero saranno ravvisabili nel simbolismo della Vergine, rispondente all’aspetto dell’Iside-Sophia. Secondo Scaligero la via alla restituzione della forza radicale dell’Androgine costituisce l’impresa allusa nella saga del Graal, che rimanda al simbolo della Iside-Sophia. Questa infatti assume e redime in sé l’Ecate tenebrosa. Si vedrà ugualmente perché la donna detiene le chiavi della reintegrazione dell’uomo, onde la Vergine verrà chiamata Janua Coeli, e come l’attuale civiltà rischi di perdere definitivamente il senso di tale reintegrazione, riducendo la donna a compagna erotica dell’uomo, o a mera genitrice di figli. La separazione dei sessi, come perdita della unità androginica, è la conseguenza del prevalere dell’elemento terrestre-lunare nell’umano, cui si contrapporranno le forze trascendenti originarie, del Logos Solare.
La ferita di Amfortas e il morso del Drago
Ogni coppia mossa da immediato impulso affettivo reca sacralmente la vocazione alla ricomposizione della coppia primordiale edenica, e tuttavia ogni volta la tradisce per insufficiente apertura della coscienza all’elemento originario da cui quella muove. La ferita di Amfortas è inguaribile, recitano i poemi analizzati, ma verrà sanata dalla Lancia riconsacrata da Parsifal. Nell’immagine del mosaico di Otranto, Re Artú cavalca non un cavallo ma un caprone, questo tema ricorda la cavalcatura demoniaca mentre Parsifal nudo (nudità=purezza) compie un salto mistico nell’Eden poiché degno di compierlo e poiché le stesse Gerarchie Superiori lo hanno concesso. Se il cavaliere raffigura il principio spirituale della personalità impegnato nelle varie prove, il cavallo non può che rappresentare la forza padroneggiata, ma questa forza-luce potrebbe prendere il sopravvento e volgersi al suo lato oscuro, alle forze negative del male simboleggiate dal caprone. Inoltre, il simbolo della Sacra Lancia impugnata da Artú può significare il duplice aspetto dell’impresa: l’arma che ferisce è quella stessa che può risanare. La lancia che, impugnata dal cavaliere impuro (Re Artú bloccato nell’immagine dal felino simbolo di giustizia), produce dolore, malattia e morte, e quella stessa che, impugnata dal cavaliere senza macchia perché senza paura e brama (Parsifal), suscita vita, risana, dona immortalità. Essa rende invincibile chi la usa, per la virtú che la fa micidiale e risanatrice al tempo stesso. Analogamente l’individuazione che sorge come principio di annientamento della luce originaria è la stessa forza che, liberata, risorge come centro di luce e fonte di vita.
Il moderno uomo dialettico, però, non può conoscere con immediatezza questi temi misterici, anzi inconsciamente li avversa. Egli può conseguirne coscienza, solo se supera in sé il limite dialettico. Il sentiero dell’ascesi solare può condurlo alla soglia del mondo spirituale, dove la prova decisiva, esotericamente detta “Prova dei tre mostri”, lo attende. La coppia iniziatica conosce come intimo processo dell’anima ciò che la letteratura occulta chiama “il morso del Drago”, lo scopre in quanto inizia a percepire le vibrazioni sonore (Alfa ed Omega) del sentiero solare, e comincia a intendere il potere del risanamento dell’antica frattura e procedere di nuovo alla riaccensione cosciente ed immanente del Fuoco metafisico, la riconquista del mistero del piú alto potere capace di scendere come virtú sanatrice nel terrestre e guarire tutte le ferite.
Kether
Bibliografia utile e citazioni:
http://library.weschool.com/lezione/amor-cortese-poeti-provenzali-trovatorilingua-d-oc-10911.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Parzival
Atti ufficiali della conferenza templare Castello di Palombara Sabina a cura di Francesco Corona (2006)