Cenere

Poesia

 

Cenere

Fenice

Covando grevi spore di silenzio

si ostina un tempo che non ha futuro

e del passato inutilmente fruga

combuste rimanenze, vagheggiando

che al fondo del tritume un’ora indenne

baleni, a prova dei trascorsi ardori.

Serrati in cerchio, muti, l’infeconda

mondiglia lungamente rimestiamo,

e il corpo reca il marchio degli esíli,

delle sortite estreme, dei naufragi.

Avulsa dagli spazi, rintanata

nei sordidi covili disumani

vendemmia d’altre arsure ha la città:

larvate essenze spandono nell’aria

acredine di muschio dai sepolcri,

incensi cui si fondono devote

sonorità che vagano cercando

di definirsi in sillabe, parole,

per consegnarci un monito, un presagio,

o una reliquia, stimolo ai ricordi

di quello che fu nostro, e che perdemmo.

E che ritroveremo, se ci assiste

la face d’oro vivida nel cielo,

di là dai tetti, in un agone incerto

col fitto tenebrore suscitato

dai nembi trascorrenti in orde cupe.

Nell’alternanza di fulgore e buio

esprime quel chiarore un vaticinio,

ridesta a nuovo la certezza che

malgrado l’ombra la speranza resta.

Forse impastata di pietà, di pianto,

la cenere darà la sua fenice,

e tutto sarà luce immensa, e canto.

 

 

Fulvio Di Lieto