La scomparsa di una persona cara interrompe un rapporto umano non di rado protratto per un’intera esistenza: la sofferenza che ne consegue è stata oggetto di ripetuti approfondimenti da parte di Rudolf Steiner: nel mese tradizionalmente dedicato a chi ci ha lasciato, piú vivo torna il desiderio di richiamarsi alle Sue Parole.
In una conferenza a Tubinga del 16 febbraio 1913 (in Indagini occulte sulla vita tra morte e nuova nascita, O.O. N° 140) cosí il Dottore si esprime in merito alle difficolta che si presentano tentando un dialogo con i defunti: «Se si indaga su cosa stia alla base di un fatto simile, come risposta si ottiene che non c’è proprio alcun linguaggio comune fra il defunto e la persona rimasta in vita. Non c’è niente che potrebbe compenetrare l’anima di quella sostanza tramite la quale essa resta percepibile. Queste due anime si sentono separate perché non esiste alcun linguaggio comune».
Dunque il trapassato e chi è rimasto sono entrambi viventi, si cercano, probabilmente in qualche misura si trovano, tentano di contattarsi, ma la mancanza di un linguaggio comune vanifica ogni loro sforzo.
Diversa la situazione in passato: «Se andiamo indietro nell’evoluzione dell’umanità, troviamo che le anime possedevano una certa eredità spirituale, di quella spiritualità che le rendeva percepibili l’una per l’altra, indipendentemente dal fatto che fossero qui sul piano terreno, o una nel mondo fisico e l’altra in quello spirituale. Ma quell’antico bene ereditario di interiorità spirituale …non esiste piú al giorno d’oggi».
Ed è nel cosiddetto “superstite” che va ricercata la causa: «Un’anima che è stata molto amata …oltre la morte non viene piú trovata dall’altra anima, poiché in quella rimasta indietro non vive nulla che possa venire percepito dal defunto».
Come il Dottore ha ripetutamente chiarito, nel “Kamaloka” si vive intensamente di ricordi: ma alla luce di quanto precede, anche i piú intensi di quanto condiviso in momenti lieti e meno lieti, si rivelano del tutto inani a stabilire un contatto; occorre altro: «Ciò che infatti può venire avvertito dall’anima dell’estinto è il conoscere spirituale, il sentire spirituale e il percepire spirituale. Questo è il legame dell’anima qui sulla Terra con il mondo spirituale».
Ci viene addirittura specificato come neppure un atteggiamento devotamente religioso, certamente efficace nel passato testé richiamato, si riveli idoneo: «Non basta piú neppure il sentire religioso di un tempo, per dare a un’anima qualcosa che possa venire percepito dall’altra».
Precisazione davvero grave, considerando come la preghiera tradizionale configuri ancora per tanti l’unica possibilità di rivolgersi alle sfere ultramondane.
Occorre di piú: «Se viene lasciata indietro un’anima che quaggiú si occupa di sapere, di conoscenza dei mondi spirituali, che lascia scorrere attraverso di sé pensieri al riguardo, allora questi pensieri possono venire percepiti dall’anima trapassata». In mancanza di quanto precede, si verifica addirittura un’estensione della penosa incomunicabilità quando anche l’altra anima attraversi la soglia: «Quando entrambe le anime sono poi passate attraverso la morte …non riescono affatto, oppure solo con grande difficoltà, a giungere a una comunicazione reciproca, perché non possono adoperare alcun linguaggio comune».
A questo punto il Dottore ci rende partecipi di una meravigliosa realtà da Lui medesimo percepita nei Mondi Spirituali: «Come veggente si giunge a ciò che l’antroposofia è, nel suo senso profondo: è il linguaggio che a poco a poco parleranno i vivi e i morti, quelli che vivono nel mondo fisico e quelli che vivono tra la morte e una nuova nascita».
Dunque la Scienza dello Spirito non solo come alta Rivelazione della Realtà Sovrasensibile e del relativo rapporto con quella sensibile, ma quale futuro linguaggio comune alle due sfere: «Le anime che sono rimaste indietro e hanno accolto in sé rappresentazioni dei mondi sovrasensibili, possono pure venir percepite e viste (c.d.r.) da quelle trapassate, e se hanno dato amore prima di morire, potranno farlo anche dopo la morte.».
Che dono meraviglioso! La possibilità di trasmettere ancora Amore ad un defunto intensamente amato non si interrompe: «Questo ci porta la convinzione che l’Antroposofia è un linguaggio che rende percepibile per il mondo del Sovrasensibile quanto accade nel mondo della realtà fisica».
Desolante l’alternativa: «Come prospettiva per l’umanità intera c’è il fatto che le anime devono divenire sempre piú solitarie, e non potranno piú gettare alcun ponte dall’una all’altra, se non riusciranno a trovare il filo che deve venire teso da anima ad anima per mezzo dell’accoglimento di concetti spirituali».
Ancora una volta Rudolf Steiner ci ricorda la vera essenza della “Via”: «Questa è la realtà dell’Antroposofia, perché essa non è semplice teoria. Il sapere teorico è il meno (c.d.r.). Quello che accogliamo in noi è un vero elisir dell’anima, una sostanza reale. Tramite questa sostanza l’anima che ha attraversato la morte vede l’anima che è rimasta indietro. Commozione e profonda gratitudine ci ispira quanto Rudolf Steiner avverte come urgente risposta indispensabile: «Il veggente …sa di non poter fare altro che parlare al suo prossimo della sapienza spirituale, e stimare giunto il tempo in cui tale sapienza deve entrare nei cuori umani. Possiamo dire che chi fa risalire dalla conoscenza dei mondi spirituali stessi la missione di parlarne, sente questo come una necessità urgente contro la quale non può mai andare: sarebbe il peccato piú grave».
Francesco Leonetti