Lanciano per chiese, edifici medioevali e punti panoramici, è tra le città piú interessanti della provincia di Chieti e dell’Abruzzo. Di origine assai antica, una tradizione riportata da due suoi storici del ’600, Giacomo Fella e Pietro Pollidori, attribuisce la sua fondazione ad un compagno di Enea, Solima, che la chiamò Anxanum, dal nome di suo fratello Anxa; contemporaneamente, sempre secondo la tradizione, Solima fondava Sulmona, e nel Medioevo si faceva spesso riferimento nei diplomi e nei documenti alla comune origine delle due città. Solo sul finire del Medioevo si comincia a trovare Lanzano e infine il nome attuale ma, come in genere per la nascita di tutte le città antiche, sono dati che sfumano nella leggenda e nel mito.
Prima della conquista romana quei luoghi erano la terra dei Frentani, una forte popolazione italica, Anxanum diviene poi sede di importanti empori e mercati che la rendevano ricca e potente. Vi si esercitava soprattutto l’arte della tessitura della lana e della lavorazione delle pelli, l’arte farmaceutica e unguentaria e la fabbricazione di aghi che la rese rinomata.
Piú avanti Federico II e poi Carlo II d’Angiò accordarono alla città privilegi speciali e questo fece sí che Lanciano, già nei primi del ‘300, potesse avere un suo Mastrogiurato che presiedeva all’amministrazione, assieme ad un Collegio eletto dai cittadini.
Nella prima metà del trecento, sui ruderi di un antico tempio dedicato ad Apollo, veniva costruita la chiesa di S. Maria Maggiore, una delle piú belle espressioni dell’architettura gotico-borgognona dell’Abruzzo, altre chiese di grande valore artistico sono la Basilica, detta La Madonna del Ponte, la chiesa di Sant’Agostino, di San Biagio, Santa Lucia e di San Francesco, dove sono conservate le reliquie del Miracolo Eucaristico.
A pochi chilometri dalla città sorge l’Abbazia benedettina di San Giovanni in Venere, il nome ricorda infatti che fu fondata, intorno all’VIII secolo, sui ruderi di un tempio dedicato a Venere, ed ebbe il suo massimo splendore nel XII secolo, sotto l’abate Oderisio. Dedicata a Giovanni Battista, conserva nel “Portale della Luna” bellissimi bassorilievi dove sono istoriate la vita del Santo, Santa Elisabetta, San Michele e San Nicola di Bari.
Tornando a Lanciano non va dimenticata la fiorente vita culturale che ha fatto sí che verso la fine dell’800 nascesse l’Editrice Rocco Carabba che, tra l’altro, diede alla stampa il ciclo della “Cultura dell’Anima” diretto da Giovanni Papini e furono tra i primi a tradurre scritti e conferenze del Dottor Rudolf Steiner.
La chiesa di San Francesco, eretta nel 1258 al posto di una chiesa basiliana dedicata a San Legonziano del sec. VII-VIII, conserva le reliquie del Miracolo Eucaristico, il primo che la Chiesa cattolica ricordi. La chiesa sorse nel luogo in cui la tradizione vuole fosse stato martirizzato Longino, il centurione originario di quei luoghi, che si convertí dopo aver trafitto il costato di Gesú Cristo in croce. Il Miracolo avvenne nell’VIII secolo, nella chiesa di San Legonziano dei monaci Basiliani. La storia dice che un monaco, mentre celebrava la Messa, fu tormentato dal dubbio circa la reale presenza di Gesú Cristo nel Sacramento; il prodigio si verificò con la conversione dell’Ostia santa in carne e del vino in sangue, che si raggrumò in cinque piccoli globuli irregolari. Queste sacre reliquie furono conservate per cinque secoli dai monaci basiliani e poi dai Benedettini succeduti nella chiesa di San Legonziano e poi in quella di San Francesco.
Il Miracolo Eucaristico fu oggetto di diverse ricognizioni delle autorità ecclesiastiche, nel 1574, nel 1637, nel 1770 e nel 1886, le piú recenti indagini risalgono agli anni ‘70 del secolo scorso. Le reliquie sono conservate in un ostensorio d’argento del 1713, le cinque parti di sangue tanto pesano tutte assieme quanto ciascuna separatamente.
Per concludere non si può non accennare al Miracolo di Bolsena avvenuto nell’estate del 1263 quando un sacerdote boemo, di nome Pietro da Praga, iniziò a dubitare della reale presenza di Gesú Cristo nell’ostia e nel vino consacrati mentre celebrava una messa a Bolsena nella Grotta di Santa Cristina. Secondo quanto tramandato dalla tradizione al momento della consacrazione l’ostia cominciò a sanguinare sul corporale. Intimorito e confuso il sacerdote cercò di nascondere il fatto e avvolse l’ostia nel corporale di lino, si recò poi dal papa Urbano IV, che si trovava ad Orvieto, per riferire l’accaduto e il pontefice inviò a Bolsena il vescovo di Orvieto per verificare la veridicità del racconto e per recuperare le reliquie.
Urbano IV dichiarò la soprannaturalità dell’evento e, per ricordarlo, l’11 agosto 1264 estese a tutta la Chiesa la solennità del Corpus Domini. Affidò inoltre a Tommaso d’Aquino il compito di preparare i testi per la liturgia delle ore e per la messa della festività, stabilí inoltre che il Corpus Domini dovesse essere celebrato il primo giovedí dopo l’ottava di Pentecoste.
Ora l’ostia e il corporale sono custoditi in un reliquiario nel duomo di Orvieto. La Messa di Bolsena, che raffigura il Miracolo, fu affrescata da Raffaello nel 1512 nella Stanza di Eliodoro, una delle Stanze Vaticane. Un fatto per noi su cui riflettere è che riguardo a quel che accadde a Bolsena, Tommaso d’Aquino scrisse il testo della messa e Raffaello affrescò l’episodio del Miracolo nelle Stanze Vaticane.
Davide Testa